Le alleanze tra aziende possono aiutare la competitività del Sistema Italia sui mercati internazionali

Il 95% delle imprese nazionali, come noto, impiega meno di 50 addetti: in passato questa caratteristica peculiare del nostro tessuto economico ha svolto anche un ruolo positivo in termini di flessibilità e produttività, ma oggi, in un contesto globale sempre più competitivo il “nanismo” italiano appare più che altro un limite.

Le ridotte dimensioni spesso comportano l’impossibilità di effettuare acquisizioni e investimenti, limitando anche le possibilità di ricerca e sviluppo.

Per questo negli ultimi anni anche Confindustria ha insistito molto sul tema dell’aggregazione tra imprese, ma la fusione semplice si scontra con un’altra caratteristica peculiare del nostro capitalismo, ovvero il peso delle famiglie all’interno delle realtà societarie. Questo comporta una naturale resistenza alle aggregazioni e dunque, nel nostro contesto, la formula dell’alleanza tra aziende può invece godere di maggiore successo. In Italia esistono diverse formule per mettere insieme le imprese: la più antica e la più diffusa, soprattutto a livello industriale, è quella dei distretti territoriali.

Negli ultimi anni questa tipologia era finita sul banco degli imputati con l’accusa di scarsa flessibilità ed eccessiva commistione con la politica, ma non bisogna dimenticare che le imprese che vi aderiscono godono di un vantaggio fiscale unico nel suo genere: grazie alla tassazione aggregata concordata, di fatto i distretti possono stabilire con l’Agenzia delle entrate la quantità di imposte complessivamente dovute per un triennio. Inoltre, secondo il secondo Rapporto dell’Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani, che ha messo sotto la lente d’ingrandimento 101 distretti (9 in più rispetto al 2010), i distretti hanno evidenziato buoni segnali di ripresa dalla crisi economiche. Le imprese operanti nei distretti censiti dall’Osservatorio sono circa 286.000, occupano 1,57 milioni di addetti, pari a un terzo del totale delle imprese manifatturiere, con una dimensione prevalentemente piccola (il 98,3% non supera i 49 addetti, mentre l’85,5% non va oltre i 9 addetti) e realizzano un export pari a 75 miliardi di euro.

Un sondaggio condotto dall’Osservatorio Nazionale Distretti Italiani su un campione di 1.500 aziende ha sottolineato che nel 2010 il 34,3% delle imprese ha registrato un incremento del fatturato rispetto al 2009 (era il 4% l’anno precedente), mentre quelle che hanno osservato un calo di fatturato sono state il 19,3%. Per il 2011 le imprese che prevedono un incremento del fatturato sono il 24%, il 69% indica una tenuta dei livelli raggiunti nel 2010 e soltanto il 7% una diminuzione. Brillano, in particolare, le esportazioni dei 101 distretti, che nel periodo gennaio-settembre 2010 sono cresciute del 10,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

 

Non solo distretti

 

In ogni caso per le imprese vogliose di partnership la formula del distretto non è l’unica possibile: ad esempio in Italia sono molto diffusi dei Consorzi. In questo caso si tratta di una forma di cooperazione a cui ricorrono le imprese di piccole e medie dimensioni di uno stesso settore per incrementare la propria posizione competitiva sul mercato mediante la riduzione delle spese generali di esercizio.

Poco conosciuto è un vantaggio di questa formula dal punto di vista fiscale: gli utili conseguiti non sono soggetti a tassazione se reinvestiti entro i due anni successivi in investimenti fissi o in iniziative rientranti nell’oggetto del consorzio (art. 7 legge 240/1981). Più flessibile e slegato dall’ambito territoriale è invece il concetto di reti di impresa: si tratta di una forma di coordinamento tra imprese piccole e medie per incrementare la propria forza sul mercato, ad esempio scambiandosi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica e tecnologica.

A partire dal 2009 il legislatore ha cercato di inquadrare questa tipologia nella disciplina del “contratto di Rete” (Legge 30 del 30 luglio 2010), che prevede la detassazione degli utili di esercizio (sino a un milione di euro) se destinati al fondo patrimoniale o accantonati a riserva, stabilendo comunque un tetto massimo complessivo di 20 milioni per il 2011 e di 14 milioni per 2012 e 2013. Proprio alle reti d’impresa ha pensato recentemente il Governo per rilanciare l’offerta turistica nazionale. Secondo il decreto legge sullo sviluppo, entrato in vigore il 14 maggio, potranno essere istituiti nei territori costieri, Distretti turistico-alberghieri a burocrazia zero.

Le imprese costituite in rete potranno rivolgersi a un unico interlocutore per risolvere qualsiasi adempimento di tipo previdenziale o fiscale.