Non c’è solo l’azione degli speculatori a mettere in dubbio la tenuta dei debiti sovrani del Vecchio Continente. A minare le basi dell’Ue interviene ora anche un problema di rappresentatività delle sue istituzioni agli occhi dei cittadini

Non subito, ma alla fine, se le previsioni degli analisti circa l’incapacità della Grecia di tornare a finanziarsi in maniera autonoma sui mercati entro il prossimo anno sono verosimili, il nuovo prestito internazionale al governo ellenico da parte dell’Fmi e del fondo Efsf (European financial stability facility) arriverà.

Si parla di circa sessanta miliardi, sulla cui erogazione la Germania, alle prese con la solita reticenza motivata dalle esigenze elettorali, al momento frena, ma che si prospettano come indispensabili alla luce della scelta ufficiale dell’Unione di proseguire sulla strada della salvaguardia assoluta dell’integrità della zona euro.

Giudizi negativi delle varie opinioni pubbliche nazionali a parte, qualcosa però comincia a non quadrare anche dal punto di vista strettamente finanziario.

Forse scoprendo il vaso di Pandora, qualche giorno fa il columnist del Financial Times Martin Wolf ha infatti restituito un quadro abbastanza esaustivo dello stato in cui attualmente la Grecia, ma potenzialmente altri Stati dell’area euro potrebbero venirsi a trovare: “Per Atene, le possibilità di tornare ad accedere ai mercati privati del credito a condizioni sostenibili sono irrisorie. D’altra parte, continuare a rimandare il momento della resa dei conti con i creditori non fa altro che rendere più penosa la quantomai probabile ristrutturazione del debito contratto dalla Grecia. Il debito pubblico del Paese si avvia a raggiungere la quota del 160% del Pil, e con un onere del genere la ricerca di condizioni di finanziamento che non gravino ulteriormente sul debito è di fatto irrealizzabile. Se poi si considera che a partire dal 2013 il neonato Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria godrà, insieme all’Fmi, dello status di creditore privilegiato, allora sarete d’accordo con me che nessun creditore privato sano di mente potrebbe mai anche solo pensare di prestare soldi a uno Stato nelle condizioni della Grecia”.

Insomma, l’Eurozona starebbe diventando il classico cane che si morde la coda.

E mentre ai piani alti della Commissione e dell’Eurotower economisti ed esperti di alta finanza discutono se per Atene (e in prospettiva per gli altri Pigs) sia meglio ristrutturare prima o dopo, e tutto o in parte il debito, quel che preoccupa è che nelle piazze e alle urne i sentimenti anti europeisti della popolazione si fanno sempre più frequenti: tralasciando le prevedibili, e tutto sommato comprensibili manifestazioni di protesta con cui qualche giorno fa i delegati del Fondo Monetario Internazionale e dell’Ue in visita nella capitale greca sono stati accolti dalla folla, è forse accettabile, per un’Europa che intende salvarsi dalla crisi, ritrovarsi a tirare un sospiro di sollievo di fronte alla scelta, presa all’ultimo dalla Finlandia, di sostenere il piano di aiuti per il Portogallo, permettendo così all’Eurozona di raggiungere l’unanimità dei consensi necessaria per sbloccare il prestito?

Una carta di riserva Bruxelles dovrebbe sempre avercela. Non è facile, soprattutto di questi tempi, però se l’Europa vuole un futuro dovrebbe anzitutto trovare il modo di rappresentare, sempre e comunque, l’alternativa migliore per i propri cittadini. Il tempo ci dirà se sarà riuscita nella sfida.