Pensare all’ICT come enabler per un mondo più Green rappresenta un’opportunità che deve però passare da una revisione critica in funzione di una reale eco-sostenibilità degli asset ICT e dei fornitori

 L’ICT sta oramai diventando una facility, alla stregua del televisore o della lavatrice. Per questo l’attenzione all’eco-sostenibilità del settore è sempre più sotto i riflettori. Ma c’è anche altro. Studi specialistici stanno dimostrando che il ruolo dell’ICT nell’ambito dell’eco-sostenibilità globale ha due facce, entrambe molto importanti. C’è, infatti, il consumo diretto di risorse e il relativo impatto ambientale dei dispositivi. Ma c’è anche ciò che l’ICT può fare per abbattere l’impatto di altri settori. Analizziamo entrambi i punti, con un occhio alle metodologie e risorse per valutare l’eco-sostenibilità del proprio environment ICT e di quello dei fornitori.

Misurare il fornitore ICT
Greenpeace, sin dall’Agosto 2006, pubblica ogni cinque mesi un rapporto sullo stato di eco-sostenibilità dell’industria elettronica, rappresentata dai suoi principali attori. Nel tempo questa analisi è diventata un punto di riferimento per la valutazione dei produttori del settore. L’ultima versione (ottobre 2010) contiene numerosi dettagli, ma in particolare un indicatore visivo che mostra in una scala da 1 a 10 (il 10 rappresenta l’eccellenza) il livello raggiunto da ciascun soggetto. L’indicatore (vedi Figura 1) racconta in modo efficace tanto il posizionamento delle aziende considerate, quanto il punteggio che potrebbero avere se non fossero soggette a eco-penalità assegnate in seguito al mancato raggiungimento di “promesse verdi” effettuate in passato. Senza entrare nel dettaglio di chi è più virtuoso, osserviamo i parametri utilizzati. Le voci sono raggruppate in tre categorie: Utilizzo di sostanze chimiche, Energia e Gestione dei rifiuti. La figura 2 mostra l’elenco in dettaglio, così come presentato nel sommario di un’azienda; per ciascuna delle voci si ha anche una descrizione qualitativa del giudizio quantitativo espresso. Il rapporto è un notevole strumento di supporto decisionale a chi volesse orientare i propri acquisti ICT verso produttori che mostrano attenzione alla loro eco-sostenibilità. Ma è anche la base per provare a quantificare il posizionamento della propria realtà aziendale.

Misurare il proprio asset presente o futuro
L’analisi di Greenpeace ci aiuta a scegliere un brand, ma nulla ci dice sull’impatto ambientale di specifici prodotti (sia per un analisi del proprio parco ICT, che per valutare i dispositivi verso cui siamo orientati). A queste necessità risponde un altro servizio: l’EPEAT (Electronic Product Environmental Assessment Tool). EPEAT è ad oggi il più grande registro di dispositivi elettronici “verdi”. Con 3.200 prodotti, provenienti da 45 marche, registrati in 41 Paesi, è una fonte abbastanza esaustiva a livello internazionale. Per essere inserito nel registro EPEAT, un prodotto deve rispettare 23 requisiti; a quel punto esso è valutato in una scala a tre livelli (Bronzo, Argento, Oro) in funzione della conformità con ulteriori 28 requisiti opzionali. In Italia (vedi Figura 3) vi sono ben 457 prodotti considerabili “ICT verdi”. La selezione dei parametri si basa sullo standard IEEE 1680. Questi sono suddivisi in otto gruppi e sul sito di EPEAT si può trovarne la lista esaustiva. Al di là di quelli più ovvi, si segnala la presenza del gruppo “longevità”, con ben quattro requisiti, due dei quali necessari. Un fattore molto interessante in un settore in cui obsolescenza e spinte evolutive sempre più pressanti sono un problema che impatta sensibilmente il TCO.

Perché tanta attenzione al “Green ICT”?
L’invasività dei dispositivi ICT in tutte le nostre attività è nota. Quello che forse non è noto è il trend di crescita del numero di dispositivi: si parla di una loro triplicazione tra il 2010 e il 2020. E probabilmente è una stima conservativa. Sebbene l’efficienza energetica sia in continuo miglioramento in termini di potenza di calcolo per watt, il parallelo incremento delle capacità e del numero pongono seri interrogativi sulla sostenibilità dell’impatto ambientale di una tale espansione tecnologica. Ma le sole motivazioni di tipo ambientalistico non sarebbero (purtroppo) sufficienti a giustificare il grande interesse che si sta sviluppando negli ultimi tempi per questo settore. Ci sono infatti altri elementi, che contribuiscono a sollevare il problema nelle aziende. Innanzitutto un costante incremento delle bollette energetiche dovuto a un maggior consumo, con tutti i costi indotti in termini di logistica. Se il problema è di minore entità nei singoli uffici, diventa macroscopico nei data center. Quando poi si passa da PMI a aziende medio grandi, allora il costo energetico inizia a incidere sempre più nei budget divisionali in modo apprezzabile, e il problema diviene importante. L’analisi precedente non giustifica però ancora l’attenzione rivolta verso l’ICT dai più disparati settori. Quando ci si riferisce all’eco-sostenibilità, più che fare riferimento alle varie risorse utilizzate, si parla sopratutto della quantità di “CO2 equivalente” (CO2e) emessa nell’intero ciclo di vita. Questo parametro è assunto a indice globale dell’impatto ambientale, in quanto copre tutti gli aspetti (diretti ed indiretti) in una sola voce. Se si guarda all’impatto dell’ICT in termini di CO2e globale emessa, si trova un modesto 1,25%, non tale da giustificare il focalizzarsi su questo aspetto. Anche considerando una triplicazione di impatto, assumendo il caso peggiore (per l’ICT) che le altre attività umane non peggiorino il loro impatto ambientale, arriveremmo ad un magro 3,5% nel 2020. E se invece consideriamo stime più realistiche, scendiamo addirittura ad un 2,7%.
Da uno studio dell’ottobre 2010 (ASEAN Workshop on Green ICT) emerge un’informazione importante, quella che giustifica l’interesse verso il Green-ICT: un uso appropriato dell’ICT in settori “non-prettamente-ICT” può portare a un abbattimento complessivo delle emissioni di CO2e pari a cinque volte la produzione dovuta all’ICT stessa. Allora il punto è chiaro: tecnicamente si parla di ICT come enabler per una Low-Carbon Economy.

ICT come enabler per una Low Carbon Economy
Vediamo qualche esempio pratico delle opportunità che questo scenario apre, in termini di CO2e risparmiata nel 2020.

Motori più intelligenti e quindi efficienti. Di recente abbiamo osservato qualche risultato in questo settore, con i dispositivi di start/stop negli autoveicoli. In realtà la cosa riguarda anche l’automazione industriale (-1 Gt CO2e).

Edifici intelligenti. Sistemi intelligenti per la gestione delle risorse negli edifici, dall’illuminazione al condizionamento, dal controllo degli accessi alla gestione degli scenari d’uso (-1,7 Gt CO2e).
Reti energetiche intelligenti. Usare sistemi di grid intelligenti nei vari aspetti della produzione e distribuzione dell’energia (-2 Gt CO2e).

Supporto al monitoraggio e controllo. Questa è forse la funzione più scontata, ma è importante non dimenticarla. ICT è anche la filiera di misura e calcolo dell’impatto ambientale, gli strumenti di archiviazione delle informazioni, oltre che del data-mining e analisi degli stessi. Senza informazioni, non c’è modo di garantire un vero abbattimento delle emissioni di CO2e.
E ci sarebbero anche altri settori, tipo la Logistica (-1,5 Gt CO2e), Educazione (eLearning e istruzione a distanza), Sanità (eHealth), processi industriali (ERP), ecc.

 

Pensare all’ICT come un enabler per un mondo più “Green” rappresenta un’ottima opportunità, sopratutto poiché sta diventando una necessità globale, e il momento è propizio a causa della crescente sensibilità diffusa a tutti i livelli. Questo però deve anche passare per una revisione critica in funzione di una reale eco-sostenibilità del proprio asset ICT e dei propri fornitori. E gli strumenti ci sono…

 

Metriche Verdi: Il “Green ICT Framework” e il modello CMM

 

 

 

Che cosa si intende per “Green ICT”? Questo schema mostra il modello “Green IT Framework” sviluppato in Australia. Si basa sulla definizione di quattro macro-aree di interesse per il Green ICT, ciascuna composta da sotto elementi che focalizzano i punti di vista chiave. Da notare la quarta, su cui si punta per abbattere la produzione di CO2e in settori non-ICT. Trasversalmente a queste macro aree ci sono cinque azioni da considerare per ciascuna di esse. Definito l’oggetto della misurazione (i vari elementi della figura) è possibile passare alle misure. Per quantificare la maturità di ciascun elemento si applica una Best Practice usata in molti settori tra cui l’ICT: il Modello CMM (Capability Maturity Model). Sviluppato dalla Carnegie Mellon University, definisce cinque livelli di maturità, applicabili a qualunque sistema, tecnologia o processo. Da questa struttura sono nati diversi modi di creare un “Green-ICT-Index”. Tutti prevedono un’aggregazione dei valori di maturità per ciascuna componente. Le differenze nascono dal tipo di normalizzazione per macro-area e dal peso dato a ciascuna componente. Senza entrare nel dettaglio, si possono fare alcune osservazioni. Intanto il meccanismo di quantificazione e generazione dell’indice è semplice e alla portata di tutte le organizzazioni. Il meccanismo di pesi permette di adattarlo facilmente alla realtà nazionale in cui si opera e alle sue priorità. Inoltre il margine di miglioramento dell’ICT come enabler è molto ampio. Ovvero, le opportunità di business per l’ICT in settori non specifici saranno un elemento importante del prossimo decennio. Ma anche il margine di miglioramento del TCO (Total Cost of Ownership) degli asset ICT è ampio, offrendo la possibilità di migliorare la competitività delle aziende.