Il 2010 può essere sintetizzato come un altro anno a debito per l’Italia

visto che non ha presentato particolari novità in termini di risultati nei conti pubblici e si è chiuso con l’abituale aumento del debito; la crescita di 81,998 miliardi rispetto all’anno precedente ci ha sospinto verso la spaventosa cifra di 1.843,227 miliardi di euro. Si tratta di un debito di ben 30.414 euro che grava su ciascuno degli oltre 60 milioni residenti, in base alla rilevazione demografica Istat al 30 novembre 2010.

 

Il debito pubblico

La Tabella 1 mostra la progressione del valore del debito pubblico negli anni 2009 e 2010. Il 2010 si è mostrato migliore delle attese grazie all’avanzo maturato nel mese di dicembre (26,697 miliardi); certamente più favorevole del 2009, che aveva chiuso con un incremento del debito di 97,777 miliardi. Sempre nella Tabella 1 possiamo osservare come abitualmente gennaio sia un mese di forte incremento del debito; mentre giugno e dicembre tendano ad essere dei mesi di recupero positivo, una situazione che probabilmente beneficia dei versamenti a saldo di giugno e degli acconti di fine novembre sulle imposte per l’anno successivo. Curioso l’avanzo di novembre 2009, quasi certamente favorito dai rientri associati allo scudo fiscale. Occorre precisare che stiamo parlando di variazioni del debito, e il fatto che nel 2010 il debito sia aumentato in misura inferiore del 2009 non significa che non sia cresciuto in termini assoluti. Infatti il debito è passato dai 1.700 miliardi di gennaio 2009, ai 1.761 di fine 2009, per concludere a 1.843 miliardi di fine 2010.

 

Tabella 1

Tabella 1

 

Non si tratta di un incremento del debito causato da due anni particolarmente sfortunati e condizionati dalla crisi economica che ha colpito tutti i Paesi dal 2008; la Tabella 2 presenta la costanza della scarsa virtuosità italiana nei conti pubblici a partire dal 2000. Come si può notare, non appare nemmeno un anno in cui il debito non sia aumentato di almeno 10 miliardi; in termini percentuali, ad eccezione degli anni 2002, 2003 e 2007 il debito è sempre cresciuto più del 3,5% all’anno, anche in periodi di bassi interessi sul debito pubblico: sintomo di un disavanzo cronico determinato da scarsa attenzione alla spesa pubblica. Il debito pubblico è così passato dai 1.300 miliardi di euro del 2000 ai 1.843 del 2010, con un incremento di 542,866 miliardi corrispondente a un +41,75%.

 

Tabella 2

 

 

La Figura 1 mostra l’andamento grafico del debito pubblico e dello stock di Titoli di Stato, di cui ci occuperemo più avanti, negli anni dal 2000 al 2010. È osservabile come le due tendenze siano similari tra loro, confermando che l’incremento del debito pubblico viene costantemente finanziato da una maggiore emissione di Titoli di Stato; inoltre appare evidente come il fenomeno sia cresciuto di importanza dal 2004, riscontrabile nella maggiore inclinazione delle curve.

 

Figura 1


 

Solo a titolo di curiosità, si rileva che un incremento percentuale del 41,75% del debito (periodo 2000-2010), in assenza di varianti e azioni correttive, ci porterebbe ad avere nel 2020 un debito alla folle cifra di 2.612,774 miliardi di euro, corrispondente a oltre 43.000 euro pro capite a popolazione costante. Osservando ancora più in dettaglio, la Tabella 3 presenta l’evoluzione delle entrate e delle spese statali nel biennio 2009-2010; si riscontra come il disavanzo dei conti pubblici sia endemico, visto che solo in tre mesi su 12 in ciascun anno si sia riusciti a raggiungere un saldo positivo tra incassi e pagamenti. Questi dati mostrano in modo inequivocabile l’attuale situazione di grave disequilibrio fra ciò che lo Stato incassa e quanto spende; una condizione che potrebbe diventare ingestibile nel caso di aumento degli interessi da riconoscere ai Titoli di Stato. Certamente, va detto, una situazione non migliorabile attraverso l’imposizione di una patrimoniale, che potrebbe mitigare l’importo del debito nell’immediato, ma che risulterebbe vana nel medio termine senza la rimozione delle cause di disequilibrio nei conti pubblici.

 

Tabella 3

 

Lo stock di Titoli di Stato

La Tabella 4 mostra come negli ultimi tre anni, pur essendo aumentato lo stock di Titoli di Stato, la spesa per interessi sia diminuita, grazie alla diminuzione del tasso medio riconosciuto agli investitori. Una situazione che difficilmente potrà rimanere tale e che appare destinata a invertire la tendenza, sia a fronte di rialzi dei tassi per contrastare l’inflazione sia a causa di rendimenti più alti spinti da una maggiore percezione del rischio sovrano da parte dei mercati finanziari. Si deve comunque riconoscere l’attenta strategia del Dipartimento del Tesoro nell’agire sulla durata della vita residua dei Titoli di Stato: in diminuzione fintantoché ci si trovava di fronte a un calo dei tassi e in aumento già a partire dal 2009 in previsione di un loro futuro incremento.

Tabella 4

 

La Figura 2 mostra come nel corso dell’ultimo biennio il Dipartimento del Tesoro sia riuscito ad allungare la vita media residua dei Titoli di Stato. Va qui precisato che si tratta di un valore medio sull’intero ammontare dello stock, senza dimenticare che il risultato è stato principalmente ottenuto attraverso l’emissione dei nuovi titoli senza mutare in modo significativo l’appetibilità della domanda.
 

Figura 2

 

La Figura 3 mostra l’evoluzione dello stock di Titoli di Stato nel periodo tra dicembre 2008 e dicembre 2010; nel grafico appare evidente l’incremento dell’ammontare dei Buoni del Tesoro Poliennali (BTP – colore blu) e la diminuzione, seppur marginale, di Buoni Ordinari del Tesoro (BOT – colore rosso).

 

Figura 3

 

La Figura 4 presenta, invece, la suddivisione dello stock di Titoli di Stato fra tasso fisso e variabile; si può osservare come la presenza del tasso fisso sia aumentata nel periodo tra dicembre 2008 e dicembre 2010 a scapito della componente a tasso variabile. La forte preponderanza del tasso fisso costituisce una parziale difesa al rialzo dei tassi di interesse che dovrebbe interessare i prossimi anni, almeno fintantoché il fisiologico turnover di rimpiazzo del debito non vedrà salire il peso significativo delle nuove emissioni a tassi correnti di mercato. Fin qui abbiamo esaminato in dettaglio la composizione del debito statale e del suo finanziamento attraverso lo stock di Titoli di Stato; ancora una volta dobbiamo ricordare che l’elemento critico in tutto ciò è l’ammontare del servizio del debito, cioè l’ammontare della spesa in interessi utilizzata per la remunerazione dei Titoli di Stato. Non v’è dubbio che prospetticamente questa cifra sia destinata a crescere. Anche in presenza di un saldo primario di bilancio positivo, cioè una differenza positiva tra entrate statali e spesa pubblica, il servizio del debito rappresenta un elemento dannoso che contribuisce ad erodere in maniera sempre più rilevante il bilancio statale. Calati nella realtà italiana, questi aspetti rendono la situazione ancora più preoccupante: saldi primari di bilancio negativi si aggiungono alla spesa per interessi, con il risultato di rendere inesorabile l’incremento del debito pubblico. A ciò non vi sono altri rimedi che incrementare le entrate, aspetto che contempla una maggiore tassazione con devastanti effetti sulla crescita economica e sulla competitività del Sistema Italia, oppure procedere a una feroce guerra agli sprechi, tagliando le spese della pubblica amministrazione, aspetto che si accompagna sempre con tagli dei servizi e del welfare. Qualunque soluzione contempla un’amara medicina che giungerebbe dopo anni di contrazione economica, di sofferenti condizioni sociali e che porrebbe a serio rischio i conti di larghi strati della popolazione.

 

Figura 4

 

 

Il Prodotto Interno Lordo

La sostenibilità del debito pubblico di uno Stato comunque non viene valutata in base al suo ammontare o alla spesa per interessi, ma anche in rapporto al Prodotto Interno Lordo (Pil). Un Prodotto Interno Lordo in crescita potrebbe anche sostenere un maggiore debito; dato che la crescita del Pil corrisponderebbe a una maggiore produzione e a conseguenti a maggiori introiti nelle casse statali (non vengono qui affrontati gli aspetti critici dell’indicatore come reale misura di maggiore ricchezza di una nazione). Per questo come elemento di stabilità, l’Unione Europea ha ritenuto di definire nel Trattato di Mastricht i parametri di convergenza che avrebbero dovuto essere rispettati da tutti i membri della zona Euro, al fine di evitare scompensi fra le differenti economie. L’insorgere di scompensi in un sistema monetario comune si sarebbero riversati sull’affidabilità del debito dei singoli Stati, oltre a influenzare la crescita e la competitività di ciascun membro. Problemi che puntualmente si sono presentati e che hanno portato all’adozione delle misure di intervento concertate tra la Banca Centrale Europea (BCE) e il Fondo Monetario Internazionale (FMI).
Senza entrare nel merito dei parametri di Mastricht, ci si limita qui a ricordare che essi prevedevano un rapporto debito/Pil contenuto al 60% e un deficit annuale/Pil limitato al 3%. A questi requisiti si aggiungevano altri parametri di convergenza, che non vengono qui menzionati in quanto esulano dalla trattazione. 

 

Tabella 5

 

La Tabella 5 mostra l’andamento del Pil nel periodo 2000 – 2010, mentre la colonna successiva mostra le variazioni in termini assoluti. Sono piuttosto evidenti il rallentamento del 2008, il forte calo nel 2009 e la modesta ripresa nel corso del 2010. La colonna seguente mostra la differenza percentuale del Pil (incremento o decremento) in termini di valori concatenati, come pubblicati dall’Istat e che costituiscono il reale risultato della produzione. Possiamo notare come nel decennio diverse volte i valori si siano scostati poco dallo zero (anni 2002, 2003, 2005), di come il risultato sia stato disastroso nel 2009 (-5,20%) e che in soli due anni (2000 e 2006) il risultato sia stato superiore al 2%. La somma di tutte queste variazioni del Pil ammonta a un +6,43%, che corrisponde a una crescita media dello 0,58% annuo. Un valore che, seppur differente nella ricerca condotta da El Pais in base ai dati del Fondo Monetario Internazionale, ci posiziona al 179esimo posto, classificandoci penultimi e prima di Haiti nella crescita economica nel decennio. Nelle ultime due colonne vengono riportati i valori osservati in base al Trattato di Mastricht. Nella colonna deficit/Pil è possibile notare come dal 2000 al 2010 solo in tre anni (2002, 2003 e 2007) il valore sia risultato compatibile alla soglia del 3% definita in ambito europeo. A discolpa occorre dire che il superamento della soglia non è stata una peculiarità esclusivamente italiana; anche Paesi “virtuosi”, come Francia e Germania hanno nel corso della decade superato questo limite. L’ultima colonna mostra l’andamento del debito pubblico rispetto al Pil; gli sforzi di riduzione di questo rapporto nella prima metà della decade non sono stati sufficienti a riportarlo al di sotto del 100%. Con la crisi economica, a partire dal 2008, il dato è fortemente peggiorato; una congiuntura che ci ha portato a raggiungere il 119% nel 2010. Anche in questo caso dobbiamo rilevare che il peggioramento di questo rapporto è stato ampiamente mostrato dalla quasi totalità delle nazioni europee, con incrementi ben più consistenti che nel nostro Paese. Semmai ciò che contraddistingue i nostri conti è la precarietà della condizione di partenza e lo sviluppo sempre più negativo della situazione nel suo insieme. Una precarietà che mostrerà tutti i suoi aspetti preoccupanti qualora l’incidenza della spesa per interessi dovesse aggravarsi; evenienza che probabilmente si manifesterà e che renderà impossibile il contenimento della pressione fiscale, che ha ormai già raggiunto livelli insostenibili.

 

Conclusioni

Con questo Quaderno di Ricerca si è cercato di dare una panoramica sui conti economici italiani in termini di debito pubblico, stock di Titoli di Stato e crescita del Pil, esaminando la loro evoluzione nel periodo fra il 2000 e il 2010. L’intento è stato quello di evitare il più possibile tecnicismi economici per rendere la lettura comprensibile anche a chi non possedesse particolari competenze in materia. Non sempre questo obiettivo è stato soddisfatto, mentre altre volte la trattazione appare eccessivamente riduttiva di dinamiche complesse; di questo ce ne scusiamo, convinti che il lettore esperto avrà certamente modo di approfondire meglio l’argomento. Gli elementi esaminati in questo Quaderno di Ricerca ci sembrano, a nostro modesto avviso, portare ad alcune riflessioni:

 

  • Il debito pubblico italiano è costantemente in aumento e in accelerazione.
  • La spesa pubblica continua a mostrarsi sovradimensionata rispetto alle entrate.
  • Le emissioni di Titoli di Stato sono in aumento per finanziare il debito pubblico.
  • La spesa per interessi aumenterà ulteriormente, aggravandosi con il rialzo dei tassi.
  • Il Pil presenta tassi di crescita insufficienti rispetto all’aumento del debito.
  • Nuove tassazioni o imposizioni patrimoniali sono inutili senza riduzioni della spesa.
  • Il permanere delle tendenze in atto renderà sempre più difficile l’emissione di Titoli di Stato; i rendimenti dovranno progressivamente alzarsi per renderli appetibili sino a che il mix di debito pubblico e spesa per interessi verrà considerato non più sostenibile dallo Stato.

Maurizio Mazziero è un analista finanziario e consulente, si occupa di formazione e reportistica per Istituti Bancari e Aziende, affiancando quest’ultime nell’attuazione di strategie di hedging dal rischio prezzi.