Dall’intervista concessa da Giovanni Linzi, General Manager Sales di IBM Italia, a FBR Italy emerge chiaramente che la “stupidità” è il vero pericolo di ogni organizzazione, dalla piccola impresa al Sistema Paese

Ne discende che l’evoluzione verso l’Intelligente Enterprise è una necessità esistenziale, un prerequisito per evitare l’atrofia strutturale, la vulnerabilità competitiva e il declino operativo.

 

La società attuale è fatta di aggregazioni, di sistemi, di reti, ed è caratterizzata da fenomeni incrementali di complessità e turbolenza. La funzione aziendale maggiormente investita dal cambiamento in atto è la funzione di Management e il dominio delle variabili gestionali che governa si estende dal ristretto insieme tipico delle Società Industriali (Lavoro, Capitale, Impianti, Risorse) all’attuale, molto più ampio e comprendente almeno tre nuove variabili emergenti: l’Intelligence, la Conoscenza e il Tempo.
Il compito primario del Management non consiste solamente nell’attività previsionale, ma assumono una rilevanza crescente sia la necessità di comprendere l’ambiente competitivo, sia l’aspetto decisionale, inteso come la capacità di orientare i processi dell’organizzazione, di guidarne l’evoluzione verso gli obiettivi stabiliti e di valutare continuamente le alternative strategiche. Tutto ciò è possibile solo se il Management può disporre di un’ampia visibilità sui problemi emergenti, sulle opportunità che si presentano, sui rischi di ogni alternativa strategica, sui processi da attivare. L’interesse manageriale si estende dalla risoluzione dei problemi contingenti alla comprensione predittiva degli stessi, poiché la natura di questi si è fatta molto più complessa e la portata delle soluzioni notevolmente più ampia e critica. Le Tecnologie dell’Informazione assumono una rilevanza fondamentale nel contesto descritto poiché concorrono alla creazione di nuove tecnologie produttive, pervadono i processi produzione operativi, sono un elemento di aggregazione di prodotti o servizi, contribuiscono in modo determinante all’incremento e alla disseminazione della conoscenza e supportano i processi decisionali.

In sintonia con il mercato
Questi temi sono stati al centro dell’intervista che Giovanni Linzi, General Manager Sales di IBM Italia, ha concesso all’autore di questo articolo nel corso della Conferenza “The New Intelligent Enterprise” organizzata da The Innnovation Group e MAT EDIZIONI il 26 maggio 2011.
[ NdA. All’indirizzo http://tv.fbritaly.it/view/514/572/0000000159/Intelligent_Enterprise_un_paradigma_per_avere_successo.html è disponibile anche una videointervista effettuata da Roberto Masiero, CEO di TIG].
 

Cos’è un’impresa intelligente e quando possiamo qualificare un’organizzazione come tale, se non in generale, almeno in un certo contesto?

Osserviamo innanzitutto che esiste un rischio comune a ogni impresa ovvero che, dopo un periodo di vivacità intellettuale, intrinsecamente correlato con un alto grado di competitività, si verifica una diminuzione del suo livello di competitività. Ogni idea, pur essendo inizialmente innovativa, cade fatalmente in uno stato di obsolescenza, perciò l’azienda che l’ha concepita tende a chiudersi su se stessa, diventando “limitata”, perdendo gli elementi di differenziazione e di innovazione che la caratterizzavano, a meno che non sia governata da una dirigenza creativa, in grado di riposizionarla ascoltando il mercato ed entrando in conversazione con esso. Un tema interessante è come rendere compiutamente “più intelligente” un’impresa o un’organizzazione di qualunque tipo. Definiamo innanzitutto cos’è un’organizzazione intelligente. Come afferma il professor Carnevale Maffè, il mondo dell’impresa deve essere tradotto in risultati finanziari di eccellenza, quindi un’impresa intelligente è quella che riesce a dotarsi di un modello di business in completa sintonia con il mercato, tale da produrre dei risultati finanziari migliori rispetto alle altre imprese che operano nel medesimo segmento o in segmenti completamente nuovi. Ovviamente tutto questo supponendo di poterne misurare tutta l’attività in termini esclusivamente finanziari, una metrica non sempre possibile (e che non fa parte della mia cultura personale). Se prendiamo in considerazione il mondo della Pubblica Amministrazione, un’organizzazione intelligente è quella struttura organizzativa pubblica che eroga una certa gamma di servizi in tempi rapidi, a costi ridotti, ed è totalmente funzionale al benessere del cittadino e delle imprese che fanno riferimento al mondo della PA. Un sistema bancario intelligente è quello che è capace di produrre utili e profitti servendo, nel contempo, sia il cittadino che le imprese secondo le logiche del credito.
Queste definizioni sono semplici ma non banali. Esse riguardano un’impresa che svolge il suo ruolo caratteristico senza pesare sullo Stato; sono coerenti e funzionali alla realtà del mercato e del contesto in cui operano.

 

La natura del mercato e dei contesti si è fatta molto più complessa e la portata delle turbolenze è notevolmente più ampia, pervasiva e critica. Come rispondere a queste sfide?

La complessità globale, in generale, e quella del mercato esterno, in particolare, sono le grandi difficoltà da affrontare. Da qualche anno stiamo vivendo in uno stato di grande discontinuità legata al mondo della politica, a quello dell’economia, allo spostamento dell’asse geopolitico, alla fine di un periodo di stabilità. Da sessant’anni – cioè dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino al 2008 (e nonostante siano occorsi molti eventi definiti “epocali”) – la situazione mondiale è rimasta stabile dal punto di vista del modello politico dominante (l’esistenza dei Due Blocchi). Oggi, con lo spostamento dell’asse politico ed economico verso i Paesi Emengenti e con la crisi finanziaria del 2008, stiamo vivendo un grande momento di discontinuità, che crea altra complessità nel mercato. Questa, a sua volta, si aggiunge a un ulteriore strato di complessità generato dall’inserimento prepotente di una notevole dose di nuove tecnologie. Nel corso degli ultimi decenni, il mondo si è sempre più “instrumentato” e interconnesso, producendo un ulteriore incremento di discontinuità perché queste dinamiche abilitano modelli di business nuovi e diversi, che “rompono” quelli del passato e obbligano l’azienda a fare ciò che sosteneva Carnevale Maffè nel suo intervento: porsi in ascolto, creare un canale di comunicazione differente nei confronti del mercato. Questa necessità, tra l’altro, generando una quantità di informazioni gigantesca, cioè altra complessità, spinge i manager a passare dalla semplice lettura dei dati a quella di un’attenta valutazione delle informazioni che scaturiscono dalla loro combinazione. Bisogna distillare l’informazione in “qualcosa” che sia fruibile per prendere decisioni, ed è questo, esattamente, il fattore critico di successo per rendere intelligente un’impresa. Gran parte dei leader aziendali lamentano (e ne attribuiscono la colpa all’IT) che le loro imprese sono assolutamente ricche di dati ma povere di insight, intendendo con questo termine quell’insieme organizzato di informazioni che sia “azionabile” (cioè immediatamente trasformabile in azioni) e che consenta di prendere decisioni basate, se non sui fatti, almeno su ipotesi che, a loro volta, siano basate su dati qualitativamente eccellenti.

 

Questa ipotesi presuppone che le aziende siano in grado di concepire, realizzare e rendere operativa una propria architettura dell’informazione. Quali sono gli impatti del paradigma dell’Intelligent Enterprise sulle strutture informative aziendali?

Non tutte le organizzazioni hanno concepito un’Enterprise Architecture. Normalmente ogni impresa ha realizzato una sua architettura di processi, una sua architettura applicativa, una sua architettura di piattaforme, ma pochissime hanno definito un’architettura delle informazioni, intendendo con questo avere stabilito che ogni dato abbia sempre il medesimo significato, che non vi siano ridondanze, generatrici di confusioni semantiche. Tutti i dati quindi devono essere identificati, censiti e definiti per costituire una fondazione informativa affidabile (una Information Management Foundation), che consenta di realizzare una gestione dell’informazione atta a prendere decisioni strategiche, basate sui fatti e tempestiva.

 

In concreto, quali sono i vantaggi che la business intelligence e gli analytics possono portare al management di un’organizzazione?

In breve possiamo dire che la gestione intelligente dell’informazione, insieme agli analytics, possono dare destrezza operativa all’impresa. Gli analytics, infatti, non sono strumenti che operano solamente nell’ambito della relazione con il cliente o del suo social network. Non trattano esclusivamente quelle metriche relative al fatto che la clientela matura le proprie propensioni d’acquisto in maniera differente rispetto al passato, ma sono degli strumenti che abilitano la flessibilità delle imprese.
Questo significa essere capaci di migliorare l’efficienza dei processi ovvero, in altri termini, di liberare risorse e capacità che non portano valore per concentrarle in ambienti che hanno scarsità di risorse economiche. Esse permettono di depotenziare attività a poco valore (o prive di valore) per rafforzare quelle che generano valore, cioè producono degli elementi differenzianti e quindi un vantaggio competitivo. Consideriamo, per esempio, alcuni settori economici emblematici. Nel campo della distribuzione una quota che varia – in funzione del livello di efficienza dell’impresa – dal 15 al 25 percento del capitale è bloccato nella supply chain. Una gestione oculata, intelligente, delle operation e dell’order-to-cash può consentire – e qui il ruolo degli analytics è importante – di semplificare alcune attività e rendere efficiente questo processo, liberando risorse che possono essere importantissime per il potenziamento di ciò che crea una differenziazione sul mercato. Se si prende in esame il mondo delle banche, il problema relativo alla qualità degli asset finanziari – che può essere più o meno buono in funzione della capacità di valutazione dell’istituto e rispetto al quale si possono prendere decisioni sulla concessione del credito – fa sì che ci siano importanti risorse dell’azienda impegnate proprio nel processo di quality assurance. Ogni anno il sistema bancario italiano accantona a riserva diversi miliardi di Euro proprio per questa voce: ebbene, queste risorse sono di fatto sottratte dai processi di generazione del valore, valore per le banche, per il Sistema Paese, per i clienti.  Una gestione intelligente del rischio, basata sulla capacità di leggere i dati, strutturati e non strutturati, può produrre un enorme vantaggio in termini di generazione dell’efficienza. Se prendiamo in considerazione il settore pubblico o quello delle assicurazioni, notiamo ancora che una quantità imponente di risorse sono erose dalle malpractices, o dall’evasione fiscale, o dalle frodi nel sistema sanitario. Queste ricchezze potrebbero essere indirizzate, grazie a una gestione intelligente delle informazioni, alla crescita del Paese. L’agilità che il Sistema-Paese e ogni sistema-impresa ricevono “instrumentando” i processi e migliorandoli attraverso una gestione basata sulla BI e sugli analytics libera risorse, talenti preziosi, abilita nuovi modelli di business e di lavoro, consentendo, tra l’altro, di indirizzare gli sforzi e le risorse recuperate verso altre tematiche che consumano altra ricchezza (spesso quantificabile in centinaia di miliardi) sottratta alla produttività e alla generazione di valore.

 

La gestione intelligente dell’informazione consente di raggiungere un miglior livello di efficienza e di liberare una quantità enorme di risorse. Non sorge allora il problema del riposizionamento dell’IT come variabile organizzativa di tipo strategico?
E’ vero, c’è ancora la percezione che l’IT sia una voce di costo mentre è il fattore abilitante dell’innovazione. Se ci guardiamo intorno, constatiamo l’alto livello di strumentazione che la realtà circostante ha raggiunto, quindi se non ci si organizza, se non si crea un sistema nervoso che organizzi l’informazione, che la faccia fluire, non avremo alcun ritorno significativo in termini di efficienza. Gli sforzi saranno vani, si guarderà all’IT ancora come una voce di costo, come una funzione aziendale secondaria e non si raccoglierà l’enorme potenzialità che possiede come fattore abilitante per creare nuovi modelli di business o per allineare le potenzialità della tecnologia alle issues di business, alle grandi sfide dell’umanità come la gestione delle risorse umane, la gestione della complessità della vita delle città, la gestione del traffico, le grandi supply chain, la scarsità di cibo, tutti temi urgenti e pressanti.

 

Il gioco si fa duro, ma si dice che quando questo accade, i duri devono incominciare a giocare. Cosa può fare IBM per rispondere a queste sfide di portata globale?

IBM ha organizzato il proprio posizionamento strategico sullo Smarter Planet, una concezione della tecnologia coerente con i concetti appena espressi. Lo Smarter Planet si propone di favorire l’allineamento dell’innovazione tecnologica alle grandi sfide del presente e del futuro. E’ stata concepita una risposta completa, articolata in un approccio strutturato che individua quattro grandi pillar: la business agility, orientata al miglioramento dei sistemi, la nuova intelligenza, il tema del green-and-beyond, ovvero come gestire un sistema dal punto di vista ambientale, e il quarto pillar è relativo alla componente infrastrutturale, che riteniamo sia il cuore dell’innovazione. Sono stati selezionati nove settori industriali e per ognuno di questi abbiamo definito delle industry solution cioè delle soluzioni – composte da hardware, software, servizi, metodologie, competenze – che tendono a indirizzare le grandi tematiche del settore. Per le banche, per esempio, una è relativa al tema dei pagamenti, c’è poi il tema dell’Integrated Risk Management Framework – la gestione del rischio è un problema gigantesco per le banche e le costringe ad accantonare risorse ingenti – c’è il tema della revisione dei sistemi legacy, del Core Banking Trasformation – che oggi è un fattore inibitore, e altre ancora. Questo è il nostro contributo per rendere il pianeta più intelligente. Sul tema specifico della Business Analytics, l’IBM sta investendo risorse enormi perché riteniamo che sia una delle aree abilitanti l’innovazione. Nel corso degli ultimi cinque anni abbiamo acquistato ben 25 aziende – per un totale di 14 miliardi di dollari – che vanno a complementare la nostra offerta, per essere sempre più protagonisti in questo segmento. Abbiamo potenziato le nostre competenze creando una practice di consulenza con 8000 consulenti dislocati in tutto il mondo; i nostri 8 centri di ricerca sviluppano soluzioni di analytics per i vari settori industriali; facciamo leva sui 6 miliardi di dollari che investiamo annualmente nulla ricerca; siamo la società che ha maggior numero di brevetti ogni anno (da 18 anni) eccetera. Per sommi capi, il contributo di IBM è questo.

 

Qual è il ruolo della Business Analytics nel contesto delle linee di business di IBM?

La Business Analytics è una delle quattro aree strategiche che IBM ha definito come “portanti” nell’ambito della sua missione denominata IBM 2015 Roadmap dove, sempre evocando i freddi indici finanziari, noi intendiamo raddoppiare, nel periodo 2010-2015, il valore per i nostri azionisti passando da 10$ per azione a 20$. Certamente sarà uno sforzo gigantesco, dovremo ottimizzare al massimo la nostra struttura, ridisegnare il nostro modello di business dal punto di vista geografico, dell’offerta, assumere e formare molte persone. Anche noi dobbiamo adattarci e cercare di mantenere quell’intelligenza che abbiamo già accumulato e trasmesso nei nostri 100 anni di storia (che IBM festeggia quest’anno), combattendo quella tendenza al “ripiegamento su se stessi” che tutte le imprese hanno, soprattutto quelle grandi come la nostra. I grandi numeri hanno grandi inerzie perché l’organizzazione rischia di diventare burocrazia, quindi ogni tanto ci vuole qualche “spirito libero” che faccia il challenge al processo evolutivo”.

Intelligenza vo’ cercando
La stupidità aziendale richiama immediatamente la parola “crisi”, perché questo è lo stato in cui cadono le aziende che non continuano a rinnovarsi. Non sempre una crisi è foriera di lugubri auspici sul futuro: pur essendo generalmente poco amata, essa indica l’emergenza di un problema imprevisto e in attesa di soluzione, viene attribuita a una situazione eccezionale in cui si viene a trovare un sistema il quale, proprio a causa di un evento critico, viene portato in uno stato di stallo, di equilibrio instabile, suscettibile di un’evoluzione positiva o di una caduta verso il disastro completo. E’ ormai risaputo, essendo un trend storicamente confermato dai fatti, che ogni sistema organizzato attraversa, nel corso della sua evoluzione, dei periodi di stallo, dopo i quali può accadere che si avvii verso un declino che può essere temporaneo o definitivo. Il primo esito è seguito da una ripresa delle attività, eventualmente in un contesto diverso dal precedente, identificato dopo un rethinking o un reengineering dell’organizzazione stessa; il secondo consiste in una degradazione progressiva dell’organizzazione, che si conclude con la sua definitiva scomparsa dall’ambiente in cui operava. Il declino organizzativo è una condizione nella quale si verifica una diminuzione sostanziale delle risorse di un’impresa in un certo periodo di tempo. È associato spesso a un declino ambientale, come una diminuzione della domanda, o a una trasformazione del mercato di riferimento, come un cambiamento nelle preferenze dei consumatori.
Tre sono le cause principali di un declino organizzativo. La prima è l’atrofia organizzativa, un fenomeno disgregante che si ha quando l’organizzazione diventa inefficiente e sovra-burocratizzata. L’atrofia – che segue spesso un lungo periodo di successi economici – è preceduta da alcuni segnali forti, quali il numero eccessivo delle persone di staff, la “pesantezza” e l’artificiosa complessità delle procedure amministrative, la mancanza di comunicazioni e di azioni di coordinamento efficaci, una struttura organizzativa inadeguata (sorpassata, sostenuta da tecnologie macchinose e obsolete o inadeguate alla morfologia strutturale attuale). La seconda è la vulnerabilità, cioè l’incapacità di un’organizzazione di prosperare all’interno del suo ambiente, difendendosi dagli attacchi della concorrenza. Questo accade spesso alle piccole organizzazioni, che non sono ancora pienamente consolidate: esse sono vulnerabili rispetto ai cambiamenti dei gusti dei consumatori o della situazione economica della comunità.
La terza è il declino ambientale, uno stato nel quale si assiste a una diminuzione dell’energia e delle risorse disponibili per supportare l’organizzazione. Quando l’ambiente diminuisce le sue capacità di sostentamento di un’organizzazione, questa deve diminuire progressivamente le sua attività oppure spostarsi in un altro ambiente di riferimento.
Il declino, se non viene gestito adeguatamente, può portare ogni organizzazione alla dissoluzione completa, attraversando alcuni stadi di degradazione crescente. Esiste una sola contromisura alla possibilità che un’organizzazione, un’impresa, entri in uno stato di declino: intercettare i segnali, deboli o forti, che sempre preannunciano gli eventi critici.
Per questo servono certamente i tool della Business Intelligence e dell’Analytics, la conoscenza incapsulata nei Big-Data e gli effetti sinergici prodotti dall’Unified Communication … ma anche tanti “spiriti liberi”, in grado di parlare con il mercato, di amplificarne le voci, di riportarne le esigenze all’interno delle organizzazioni.
In caso contrario vincerà la “stupidità”.