Si è parlato di New Intelligent Enterprise il 26 maggio a Milano al convegno organizzato da The Innovation group in collaborazione con Mat Edizioni

I numeri non mentono: secondo una recente indagine, le aziende con risultati economici migliori utilizzano strumenti di Business Analitics 5,4 volte maggiore rispetto ai propri concorrenti e ottengono risultati tre volte migliori. La necessità di confrontarsi continuamente con mercati turbolenti e che si modificano senza sosta impone a ogni impresa di instillare sempre più intelligenza all’interno della propria organizzazione. Oggi e soprattutto in futuro la competitività delle aziende si giocherà non solo nella gestione efficiente dei processi operativi, ma soprattutto nella capacità di gestire in modo nuovo e integrato i processi ad alta intensità di comunicazione, interazione e conoscenza sia all’interno sia all’esterno dell’azienda, soprattutto coi clienti.
Il convegno ha analizzato il passaggio verso l’azienda intelligente. Ma cosa significa essere una “intelligent enterprise”? L’ha spiegato Ezio Viola, analista e partner di The Innovation Group: «È un’azienda che possiede dei “sensori” e li utilizza per creare valore aggiunto. Questo vuol dire essere un’azienda attenta e informata e quindi capace di raccogliere e utilizzare informazioni strutturate provenienti da fonti certe, in base alle quali prendere decisioni tempestive con azioni vicine ai punti gestionali in cui si misurano i benefici e le conseguenze. Significa inoltre saper anticipare, prevedendo e preparandosi al futuro basandosi anche sul passato e sulla capacità di osservazione esterna. Un’azienda intelligente deve anche esser capace di collegare, condividere e fare leva sulle varie funzioni interne ed esterne, incrementando la collaborazione e creando vantaggi».
Sono quindi necessarie Ict e competenze per puntare al passaggio dalla Business intelligence alla Business analytics e giungere alla new intelligent enterprise.
Eppure se si vuole definire quali siano le caratteristiche dell’impresa intelligente, l’intervento di Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di Strategia alla Sda Bocconi, ha esordito definendola ‘un ossimoro organizzativo’, ovvero una contraddizione in termini: «C’è tanta intelligenza in un’impresa quanta ce ne mettono le persone che si interrogano sistematicamente sul nuovo, sui mercati e sui competitor. L’intelligent enterprise è quindi una comunità di intelligenze tra persone che condividono pensieri e conoscenze. È un modello d’impresa che trova nuove forme di scambio di conoscenza». La vera sfida oggi diventa proprio capire come “fare intelligenza”: «Un tempo – prosegue Maffé – bastava controllare i conti mentre oggi bisogna saper leggere tra le righe e trasformare l’intelligenza in un valore economico, cosa che richiede tre passaggi fondamentali: la capacità di mettersi in ascolto, poi sistematizzare i rumors raccolti e infine mettersi in una fase di conversazione» analisi che si inserisce tenendo in massima considerazione il nuovo panorama sociale in cui solo in Italia Facebook conta 18 milioni di utenti e dove i clienti cercano e trovano un nuovo rapporto con le imprese. 
L’impresa intelligente oggi ha davanti a sé questioni che riguardano l’Ict in primis, ma non in modo esclusivo. Nel delicato passaggio dalla Business intelligence alla Business analytics è necessario un insieme di competenze con l’It che comprenda sia la conoscenza della specificità del business, sia la capacità di gestione dei dati ma non solo. Se gli strumenti dell’Information management tradizionale sono datawarehouse, Erp, Business intelligence, reporting, la Business intelligence introduce un valore in più con l’obiettivo di dare alle aziende la capacità di capire, individuare e trovare soluzioni ai fenomeni e ai mutamenti da gestire. 
Sono quindi necessari cambiamenti nell’organizzazione aziendale: «È necessario un approccio esteso che coinvolga prima di tutto il marketing e le attività legate al cliente perché l’obiettivo è aumentare la produttività di tutti i processi aziendali, facendo massima attenzione al rischio del Big data, la gestione della marea di dati».
It, analytic e business sono i tre comparti che devono lavorare in simbiosi. La vera sfida si sposta quindi sul superamento dell’ostacolo umano, perché in Italia mancano le competenze per gestire l’auspicato passaggio verso l’impresa intelligente.