“Decidi di cambiare prima di essere costretto a farlo” diceva Jack Welch, ex-CEO di General Electric Corporation … e Paolo Marinovich propone un modello per il change management chiaro, efficace e, soprattutto, pragmatico, dettato dall’esperienza e supportato da un’implementazione reale

“Il cambiamento è azione, richiede energia e deve essere sostenuto da un forte commitment, che deriva dalla capacità del management di porsi nuove sfide, di disegnare nuovi traguardi. L’obiettivo finale è di formare e rompere connessioni all’interno e all’esterno dell’azienda, di espandere gli orizzonti, di mettere in discussione le certezze, di creare le priorità, di semplificare i processi (perché la semplicità equivale anche alla velocità e a una maggiore competitività)…ma senza banalizzazioni di sorta”.
Con questa riflessione preliminare Paolo Marinovich, Senior Management Consultant, ha iniziato il suo intervento al terzo incontro di “Un mercoledì da Assochange”, illustrando un caso reale di cambiamento strategico e organizzativo attuato in una grande azienda italiana. La presentazione, intitolata “Un modello di lavoro per la progettazione del cambiamento”, ha toccato diversi punti critici del ciclo di sviluppo di un progetto di change management, sinteticamente espresso nella figura seguente.

 

 

 

L’attivazione di un’iniziativa di change management presuppone ovviamente la comprensione della concatenazione di alcune essenziali attività manageriali, a partire dal riconoscimento della necessità del cambiamento, passando attraverso il coinvolgimento delle persone, punto assiale del change management, e l’orientamento ai risultati, fino alla definizione di un’agenda condivisa e comunicata del progetto.

Il caso di studio
Il caso illustrato da Marinovich riguarda una grande azienda italiana che opera nel settore termotecnico residenziale, commerciale e industriale. La presentazione ha interessato in dettaglio la metodologia seguita nelle fasi di progettazione del cambiamento, evidenziate nei toni del verde nell’immagine precedente. Lo scopo del progetto, realizzato pochissimi anni or sono, era una riorganizzazione e rifocalizzazione del business di una Divisione del Gruppo. Si trattava di integrare un insieme di competenze atte a posizionare la Divisione stessa come competitor di primo piano in tutti i settori di applicazione delle proprie tecnologie e, in particolare, per potenziarne la presenza nelle applicazioni industriali.
Nel corso degli ultimi dieci anni, il gruppo ha effettuato alcune operazioni di M&A riguardanti aziende del settore, già appartenute a Gruppi europei concorrenti e/o partner; inoltre, da qualche tempo, si è trovato ad operare nel contesto di un mercato domestico entrato in una fase di declino accentuato (pur essendo stato, in passato, un generatore di margini elevati).

 

“La Divisione – precisa Marinovich nell’intervista che ha concesso all’autore dopo la presentazione in Assochange – era formata da tre unità situate in Italia, Francia e Germania, operanti in una complessa realtà di mercato globale.

All’avviamento del progetto, dei tre marchi d’origine, uno deteneva una forte posizione solo sul proprio mercato nazionale, identificandosi specialmente con prodotti di serie (qualche decina di migliaia di pezzi/anno) per riscaldamento domestico; un altro, forte su scala mondiale e con un’ampia estensione di gamma e di configurazioni ma volumi modesti (qualche centinaio di pezzi/anno), era presente anche in alcuni settori industriali; infine il terzo rappresentava spesso soluzioni “tailor-made” destinate a varie applicazioni, sia in Italia che in diversi mercati esteri. L’insieme di queste attività rappresentava un fatturato di circa 100M di euro”.

 

Le dimensioni della sfida lanciata al management erano di notevole consistenza. In termini di indirizzi specificati dall’azionista, gli obiettivi economico-finanziari erano:

 

• potenziare le vendite grazie a sinergie di gamma e/o di canale,
• razionalizzare le gamme di prodotto,
• ridurre i costi di struttura con accorpamento di funzioni,
• intervenire sui costi diretti, sulla pianificazione della produzione, sui magazzini, ecc.
• unificare i sistemi informativi (ERP, progettazione, configurazione, CRM)
• focalizzare gli investimenti sulle priorità strategiche

 

Non solo, tra i punti critici ve ne erano alcuni di natura squisitamente “soft”. Innanzitutto bisognava ridefinire il posizionamento dei marchi e istituire una cultura unitaria della Divisione. Esistevano poi notevoli diversità tra le varie culture nazionali e tra quelle di business delle singole aziende; diversi erano anche i mercati di riferimento, gli stili di gestione e la capacità di reazione al cambiamento. In poche parole, vi erano moltissime pressioni, di varia natura, che concorrevano a rendere sempre più incombente la necessità di attuare un ripensamento strategico ampio, profondo e in tempi brevi.

La strategic task force
“Come diceva Henry Ford, ‘Coming together is a beginning, keeping together is a progress, working together is a success’ ” continua Marinovich. “Perciò occorreva mobilitare e motivare un insieme di forze, istituendo e dando adeguato empowerment a una strategic task force, rappresentativa e snella, che fosse in grado di attivare o migliorare il dialogo interfunzionale su temi chiave e stimolasse nelle persone la voglia di guardare oltre la barriera della propria esperienza e del proprio passato professionale. Questo cambiamento paradigmatico era necessario per mettere in discussione – se necessario riformulare – la vision, definire e far propria la mission, stabilire la leadership e le sue modalità e, infine, sintonizzare la comunicazione, coinvolgere e responsabilizzare i collaboratori. Gli elementi critici del caso in esame si possono sintetizzare in pochi punti. La Divisione deteneva una posizione di mercato consolidata e conseguiva margini elevati solo in un mercato; vi erano ampi segmenti di mercato percepiti come disponibili ma non sfruttati; la politica dei marchi veniva forzata con intenti tattici, creando confusione; esisteva una proliferazione delle gamme di prodotti ma senza alcun valido supporto dei dati di mercato; il processo di standardizzazione era troppo lento (e la lentezza vanificava lo sforzo); i processi non erano ben definiti e la struttura non era ottimale, con una supply chain inadeguata allo status internazionale dell’impresa; occorreva perciò rimettere in discussione quali prodotti fare, dove, per quali mercati e a che costo “.
 

Per contro, le regole del gioco di revisione della strategia – dettate dalle aspettative degli stakeholder, tutte ispirate a una diversa e articolata nozione di creazione di valore e indicate sinteticamente nella figura seguente – erano piuttosto chiare ed emergevano in modo naturale dal compito stesso della strategic task force. Una breve elencazione delle “regole di ingaggio” in questa struttura è la seguente :

 

    • non si cambia atteggiamento verso altri manager e colleghi (nessuna enfasi sulla segretezza al di là di un ragionevole intento di riservatezza; la task force non è un’élite, la sua composizione può cambiare nel tempo)
    • la visione e la disciplina del Gruppo vengono prima di quelle della Divisione (le “voci delle origini” – paese o società di appartenenza o brand – sono benvenute ma non decisive)
    • ascoltare e ascoltarsi (realmente, non solo “sentire”)
    • obbligatorio contribuire nei brainstorming
    • le decisioni sono ispirate alla vision, alla mission e alle competenze
    • le sintesi devono essere a carattere operativo (cosa, chi, entro quando, scadenze intermedie)
    • non si adottano lunghe relazioni sui dibattiti, solo decisioni o orientamenti

     

     

    Considerare i macro-trend

    Nella definizione delle regole si sono tenuti in considerazione i macro-trend dell’industria, che, pur essendo “macro”, erano (e sono) innanzitutto una molteplicità, per di più in continua evoluzione e con un diverso grado di significatività.
    Il primo e più citato macro-trend è il tormentone della competizione globale, descritto sempre crescente; successivamente viene il problema delle ristrutturazioni delle grandi aziende e dalla ricerca spasmodica di efficienze e riduzione dei costi per liberare risorse per gli investimenti e l’innovazione. Seguono poi la crescente consapevolezza del valore delle tematiche energetiche e ambientali; il consolidamento o la partnership di imprese medio-piccole in diverse aree di attività; la crescente sensibilità al rapporto prezzo/qualità; la maggiore interdipendenza degli sforzi di vendita e post-vendita e la necessità di intensificare il supporto di marketing ai canali di distribuzione. Infine, anche grazie alla vasta offerta di strumenti software e altri supporti educativi, oggi è possibile ottenere un ampliamento dell’orizzonte manageriale per comprendere le problematiche indotte da due estensioni: il passaggio da una visione dei costi fondata solo sul prezzo d’acquisto a una concezione che considera il costo totale del ciclo di vita del sistema; la rifocalizzazione che si ha quando si punta non solo sulla prestazione tecnica e sull’affidabilità del prodotto, ma ci si impegna per il raggiungimento della total customer satisfaction.
    Nella costruzione del piano d’azione di change management è stata posta una particolare attenzione sul fattore tempo e si è sviluppata una profonda consapevolezza dei rischi (anche dovuti a eccessi di prudenza) che si correvano. Pur con lo slogan “Siamo qui per cambiare!” la task force ha cercato sempre di non perdere di vista gli equilibri finanziari, ponendo una particolare attenzione ad alcune voci-chiave quali:

     

    • La dinamica dei prezzi (rapporto volume/margine)
    • I costi per materie prime e componenti (in crescita)
    • I costi di struttura (molto elevati)
    • Tensioni sindacali (con impatto sul costo del lavoro)
    • La gestione rigorosa dei crediti commerciali
    • L’attenzione al capitale circolante
    • La necessità di essere decisamente selettivi negli investimenti

     

    In questa fase, tuttavia, l’obiettivo non era, nè può essere, quello di elaborare piani finanziari dettagliati e ancor meno di lungo periodo; la task force si è perciò attenuta all’esame delle evidenze più importanti del conto economico, specialmente del mix delle vendite e della struttura dei costi.

    Tra priorità e gap analysis
    Una volta istituita la task force, definiti gli obiettivi, le condizioni al contorno e le aree di warning, si è passati alla definizione della priorità, elaborate in cinque “capitoli”: il mercato (come si presenta oggi il campo di battaglia?); la concorrenza (come si stanno muovendo i nostri concorrenti?); noi: la nostra Divisione e le nostre società (che cosa abbiamo realizzato?); il futuro (che cosa ci aspetta dietro l’angolo?); la creazione del vantaggio competitivo (quali saranno le nostre mosse vincenti?). Il percorso di definizione delle priorità concepito dalla task force era composto da una serie di step che prevedevano la definizione dei criteri di attribuzione delle priorità, i brainstorming su tutto il pacchetto delle aree strategiche, la selezione da tre a cinque percorsi chiave, lo sviluppo gli argomenti scelti, il progetto (con il “disegno” dell’output) e, infine, la predisposizione della documentazione a supporto del piano di progetto.
    Una volta definite le priorità è stato necessario stabilire le competenze chiave in relazione agli indirizzi strategici effettuando una gap analysis, cioè un intervento che il BusinessDictionary.com definisce come “a technique for determining the steps to be taken in moving from a current state to a desired future-state. Also called need-gap analysis, needs analysis, and needs assessment. Gap analysis consists of (1) listing of characteristic factors (such as attributes, competencies, performance levels) of the present situation (“what is”), (2) cross listing factors required to achieve the future objectives (“what should be”), and then (3) highlighting the gaps that exist and need to be filled”. [1]

     

    Nel caso in esame le priorità chiave emerse dal lavoro della task force erano tre:

     

    1. Spostamento accelerato verso i mercati industriali
    2. Due progetti chiave di sviluppo di gamma per rafforzare la competitività
    3. Riposizionamento dei marchi e migrazione verso un solo marchio “globale”

     

    L’esito della gap analysis, qui sintetizzato per aree principali a titolo di esempio, è riportato nella figura seguente (in verde: OK; in giallo: warning; in rosso: help – intervenire per acquisire risorse e metodi!)

     

    La gap analysis ha evidenziato dunque un’importante conferma: la tecnologia e il know-how della Divisione consentono l’accesso a segmenti di mercato industriali non ancora ben esplorati; restano tuttavia alcune aree di warning, ad esempio la necessità di elevare il livello di attenzione sulle normative internazionali del settore o ampliare la conoscenza tecnica dei processi industriali target; infine, si evidenzia un’area di intervento radicale per acquisire competenze mancanti, quali l’aspetto delicato della gestione di progetti ingegnerizzati.

    Alla ricerca dell’eccellenza
    Alla fine di questa presentazione, certamente non esaustiva, vale la pena trarre qualche conclusione su un approccio e un metodo, quello della progettazione del cambiamento illustrato da Paolo Marinovich, molto pragmatico, rapido da sviluppare (parliamo sempre del solo processo di progettazione) e che ha avuto una concreta e coerente implementazione. Le evoluzioni degli indirizzi strategici si sono concretizzate in un phase-out, talvolta anche doloroso, di prodotti non più competitivi, nella focalizzazione sui mercati a più alto tasso di crescita e in una politica dei marchi che ha ridefinito le value proposition (offerte di valore) originali; più recentemente, hanno portato all’istituzione di un processo formale e interdisciplinare di gestione di supply chain e, infine, alla creazione di una struttura coordinata di marketing e vendite a matrice, per aree e segmenti.

     

    E’ stato così intensificato lo sforzo per il raggiungimento di maggiori vendite da sinergie di gamma e di canale e di razionalizzazione delle gamme di prodotto, mentre sono state ampiamente avviate o concluse con successo le attività relative alla riduzione dei costi di struttura, con la centralizzazione di diverse funzioni; come pure quelle sui costi diretti, sulla pianificazione della produzione e sui magazzini, facilitate anche dall’unificazione dei sistemi informativi gestionali.

     

    Un accenno merita anche lo stato dell’arte delle dimensioni soft della sfida, in particolare lo sviluppo di una cultura della Divisione, processo che riguarda profili e sensibilità assai diverse e perciò – pur assistito da una comunicazione costante, coerente e diffusa (Marinovich ne ha sottolineato l’importanza e descritto un’interessante modalità “a cascata”) – richiede tempi più lunghi. Certamente la ricerca di nuovi mercati “fuori dalla gabbia dell’esperienza” e la capacità di reazione al cambiamento sono in piena evoluzione e lo stile di gestione si sta allineando a criteri più rigorosi e uniformi.

     

    Molte sono le lezioni apprese durante la progettazione del cambiamento: tra tutte, la conferma che l’ascolto è importante, poiché ogni cultura, ogni esperienza ha del buono; ma è anche emerso chiaramente che la disciplina di pensiero e di metodo sono importanti quanto la creatività, anche nella progettazione di un cambiamento. Altri fattori critici di successo sono la condivisione delle problematiche e dei risultati (momenti che spesso diventano occasioni didattiche), il coraggio di cambiare facendo anche cose impopolari; la disponibilità a “farsi vedere” e comunicare: anche se l’oggetto della comunicazione è una situazione grave, per il clima aziendale è meglio comunicarla che nasconderla e lasciarla trapelare o immaginare.

    Ma non solo, secondo Marinovich, il management per il cambiamento è un management dialogante e aperto, sia al proprio interno, sia verso l’esterno; inoltre i ritmi del cambiamento imposti dai contesti di riferimento e l’emergere incalzante di nuove opportunità faranno sì che in futuro….
    “Il management rassomiglierà sempre più a una jazz band che, a differenza di un’orchestra classica (dove il direttore è l’AD o il DG), non ha uno spartito obbligato ma un filo conduttore, ispirato da un capo, motivatore e moderatore, che lascia ai colleghi ampia discrezionalità per l’espressione delle loro eccellenze.” [2]

     

    [1] Libera traduzione: “Tecnica per determinare I passi da intraprendere per dirigersi da uno stato attuale a un futuro stato desiderato. Chiamata anche analisi dei bisogni o determinazione dei bisogni. La gap analysis consiste (1) nell’elencare i fattori caratteristici, quali attributi, competenze, livelli di prestazione professionale nella situazione attuale (“com’è”) (2) nell’elencare i fattori necessari per raggiungere gli obiettivi futuri (“come dovrebbe essere) e infine (3) nell’elencare le differenze esistenti e da colmare (gap=divario).”



    [2] citazione a memoria di un commento verbale di Giambattista Martinelli, Convegno Semplificazione e Competitività, Milano, 7 giugno

     

     

    Costituita nel 2003, Assochange è l’unica associazione, sia in Italia che a livello europeo, ad avere come missione la diffusione delle tematiche del governo del cambiamento – Change Management – la sensibilizzazione dei vertici della comunità di business e politiche sul contributo che tali tematiche possono fornire all’evoluzione delle imprese del nostro paese. Ad Assochange aderiscono esperti di organizzazione aziendale, professionisti, consulenti, docenti universitari, oltre ad alcune tra le più importanti e notevoli realtà imprenditoriali italiane e internazionali, istituti di credito, principali Università, centri di ricerca e scuole di formazione aziendale. Obiettivo principale di Assochange è lo sviluppo di una cultura condivisa riguardo alla funzione del cambiamento attraverso il confronto di esperienze, lo sviluppo di modelli e l’analisi di casi di successo, così come dei passi falsi da evitare in progetti di evoluzione organizzativa e di trasformazione. Per conseguire le proprie finalità, Assochange svolge un’intensa attività di studio, approfondimento e ricerca affiancata da numerosi momenti di formazione, condivisione e divulgazione, che si concretizzano in ricerche, riunioni tematiche (think tank), scambi di esperienze, gruppi di lavoro, incontri, network ed eventi. Ogni anno sono numerosi gli appuntamenti Assochange in tutto il territorio nazionale a cui, a titolo gratuito, i soci Assochange possono partecipare. Inoltre la documentazione sviluppata nel corso di questi anni è sempre disponibile a titolo gratuito, per i soli soci.