Dall’effetto network, dovuto alle interconnessioni dei diversi business, scaturiscono nuovi criteri di analisi del rischio e nuovi criteri per la compliance

Costruire sull’instabilità e sul cambiamento continuo è una sfida tanto complessa quanto scontata; scontata, perché tutta la vita è “risolvere problemi” (come ricordava sir Karl R. Popper), perché la vita stessa è una trasformazione incessante dagli esiti sorprendenti. In quest’ottica le aziende, che sono prodotti degli uomini per gli uomini, non fanno alcuna eccezione. Se osserviamo gli eventi di questi ultimi tre anni, sforzandoci di conservare una visione quanto più globale, emerge tutta la resilienza del nostro mondo che tra crisi finanziarie e catastrofi naturali non smette di trasformarsi; economicamente parlando, i Paesi in via di sviluppo continuano a crescere a ritmi vertiginosi rispetto a quelli del cosiddetto “mondo avanzato”; cambiare è nella logica, naturale, della vita e le crisi sono sempre relative. Il cambiamento porta con sé, sempre, una notevole dose di incertezza, per quanto si cerchi di pianificare, immaginare, valutare. Nonostante ciò, ricordiamo tutti gli approcci manageriali degli anni Ottanta e Novanta, improntati sul concetto di crescita lineare, senza sostanziali interruzioni, con un approccio degno della scuola positivista di Comte; una visione che si è trasformata in un potente acceleratore di crescita ma che, prima o poi, è stata costretta a fare i conti con l’immanenza del nostro essere e del mondo che costruiamo giorno dopo giorno.

A proposito d’instabilità
Anche se non ci sono evidenze scientifiche che lo dimostrino, una buona parte della consapevolezza del cambiamento, nelle aziende come nella vita, è il frutto della diffusione dell’ICT; la rapidità, l’agilità, la flessibilità sono tratti caratteristici di questi strumenti che negli ultimi trent’anni hanno trasformato il nostro tempo e spesso i nostri stili di vita, rendendoli di fatto più complessi, più articolati. Per questo quando nel 2008, all’annuale Symposium IT di Gartner, gli analisti iniziarono a sostenere la necessità per i leader aziendali di considerare l’instabilità come una costante del proprio contesto di lavoro piuttosto che un’eccezione, parallelamente i tempi cominciavano a essere maturi per proporre anche strumenti di governo dei cambiamenti adeguati. Diventava una priorità sviluppare piani di contingenza oltre che specifiche strategie nei settori più delicati; nuovi stili decisionali, capaci di contemperare tanto i dati oggettivi quanto le sensazioni e i dati di fatto. Ciò che filosofia ed epistemologia conoscevano dal secolo scorso, si è trasformato in un punto fermo delle politiche aziendali nel ventunesimo secolo.
La novità, questa sì inedita almeno nelle proporzioni, è legata (come ha osservato Gartner) all’effetto network, dovuto alle interconnessioni dei diversi business che si trasformano in interdipendenze e ne accelerano i mutamenti. Proprio dall’effetto network scaturiscono nuovi criteri di analisi del rischio e nuovi criteri per la compliance, con la certezza che per quanto dettagliata sia l’analisi, il rischio zero è prima di tutto un’astrazione matematica, a cui però è doveroso tendere. Ciò che serve, come osservarono proprio gli analisti Gartner nel 2008, è la disponibilità di procedure di intervento e soprattutto la capacità, frutto di una cultura condivisa e matura, di leggere anche i piccoli segnali, per non dare nulla per scontato e trasformare dati in apparenza destrutturati e isolati in informazioni proattive.

L’intima commistione tra incertezza e organizzazione
Nel suo “Introduzione al pensiero complesso” Edgar Morin, già nel lontano 1990 scriveva: “L’informazione è una nozione nucleare ma problematica. Di qui tutta la sua ambiguità: di lei non possiamo dire quasi niente, ma non possiamo più farne a meno” e “La complessità coincide con una quota di incertezza, vuoi relativa ai limiti del nostro intelletto, vuoi intrinseca ai fenomeni. Ma la complessità non si riduce all’incertezza, è l’incertezza all’interno di sistemi altamente organizzati.”
La complessità, ricorda Morin, è l’alchimia tra ordine e disordine; il sociologo francese la definisce una “commistione intima”, ben diversa dall’ordine-disordine statistico, in cui “l’ordine (povero e statico) regna al livello delle grandi popolazioni e il disordine (povero, in quanto pura indeterminatezza) regna al livello delle unità elementari”. L’ICT potrebbe essere il catalizzatore di questa commistione intima; avete presente il triangolo del fuoco che vi presentano nei corsi per gli addetti alle emergenze antincendio? Ebbene, comburente e combustibile sono ordine e disordine, l’innesco è proprio la tecnologia, che scatena la reazione chimica di combustione. I prodotti della reazione? La complessità trasformata in elemento strutturale delle nostre aziende, di cui l’incertezza, per la definizione data prima, è parte integrante, incertezza interna e incertezza esterna, legata al contesto.

Una strategia per l’instabilità e l’incertezza
Già nel 2008 (poi riproposta negli ultimi due Symposium) Gartner presentò una specifica strategia, la Pattern Based Strategy (PBS), la cui esecuzione richiede un modello a ciclo, comprensivo di tre distinte fasi: la ricerca, la modellizzazione e l’adattamento. Tre stadi comuni a molti altri approcci che, declinati in ambito PBS, trovano nei “pattern” (i sentieri) il filo conduttore; da essi dipende la focalizzazione successiva su persone, processi e informazioni con l’obiettivo di estrarre tutte le informazioni necessarie per adattarsi ai cambiamenti in atto, una via più strutturata per governare quell’incertezza ontologica e gnoseologica di cui abbiamo parlato poco sopra. Nella strategia di Gartner, l’individuazione dei pattern (cioè la fase di ricerca) è un vero e proprio viaggio esplorativo nell’organizzazione. Comprende la focalizzazione e l’analisi delle competenze, le attività, le tecnologie e le risorse da cui dipendono scenari di impatto dei pattern, concentrando l’attenzione sulle vulnerabilità e sui rischi, sulle opportunità di innovazione del business all’interno o all’esterno dell’organizzazione. Gartner identifica quattro aree principali di applicazione dei pattern: innovazione strategica, rischio strategico, innovazione operativa e rischi operativi.
Identificato (o costruito) il pattern, si attivano i processi collaborativi per dimostrare l’impatto potenziale della soluzione proposta, valutandone il ruolo nella normale attività aziendale. È una vera e propria Valutazione d’Impatto, che costituisce la fase di modellizzazione, in cui è possibile simulare l’effetto di pattern che rappresentano un alto potenziale di sviluppo o di rischio per l’organizzazione, qualificandone e quantificandone gli effetti. Solo a questo punto, tanto gli IT che i manager e gli imprenditori sono chiamati a ricercare e adattare le organizzazioni ai pattern identificati; in questa fase Gartner ritiene che la tecnologia (con un consistente contributo dei social network) sia intrinseca alla Pattern Based Strategy, perchè capace di supportare l’infrastruttura seek, model, adapt. La PBS porta con sé lo sviluppo di una specifica disciplina, l’Optempo (operational tempo) advantage; introdotto per la prima volta in ambito militare per descrivere le diverse dimensioni della velocità, in accordo con l’USMC Warfightying Manual, Optempo indica la velocità rispetto al tempo (dimensione più ampia del “tempo” in senso meramente cronologico) che identifica l’abilità di operare rapidamente. Come ha osservato Gartner, in ambito militare Optempo è esattamente ciò che nel business è il ritmo della competizione. In senso lato, dunque, è la velocità relativa con cui un’organizzazione realizza la propria attività quotidiana. A sua volta la velocità relativa è intesa da Gartner come la capacità di sapere quando accelerare o rallentare le attività, quando attivare i meccanismi correttivi dei pattern identificati.