Per capire l’incidenza reale dell’SCM all’interno dei sistemi informativi aziendali e il posizionamento delle soluzioni disponibili, CBR Italy ha sentito il parere di alcuni dei principali vendor attivi nel settore

Sempre più al centro dei piani strategici assunte dalle imprese globalizzate, quella del responsabile informatico delle infrastrutture adibite alla gestione e al controllo della catena dell’offerta è una figura professionale in rapido sviluppo e trasformazione.
Due sono gli ordini di motivi per cui il Supply Chain Manager attira oggi l’attenzione dei quadri aziendali: il ruolo centrale ritagliatosi dalle tecnologie dell’Information and Communication Technology e dalle sue continue evoluzioni (outsourcing gestionale, Cloud Computing) nel settore della Supply Chain, e il valore fondante assunto dalle capacità di analizzare la domanda e di elaborare con estrema reattività delle adeguate strategie di go to market in relazione alla qualità dell’offerta immessa sul mercato dagli operatori.
Per chiarire l’incidenza reale delle tecnologie di Supply Chain Management all’interno dei sistemi informativi aziendali e per comprendere al meglio il posizionamento nel mercato italiano delle soluzioni rese disponibili dagli addetti ai lavori, CBR Italy ha sentito il parere dei responsabili commerciali di alcuni dei principali vendor attivi in questo settore.

La svolta nella visibilità futura del business
“Per far fronte alla difficile congiuntura economica, le imprese hanno deciso di espandere l’ottimizzazione della Supply Chain al di fuori dei suoi specifici confini aziendali, puntando alla collaborazione con tutti gli altri attori coinvolti nella creazione della catena. Da qui la centralità delle tecnologie IT nel processo, in qualità di agente di integrazione e di sintesi” ha esordito Luciano Fesani, Sales Consultant di SAP Italia, che ha così sottolineato il ruolo delle risorse IT nella prospettiva di fornire un supporto concreto al business contemporaneo.
Il medesimo punto di vista è stato espresso da Infor, che per bocca del Channel Director Franco Dama ha fornito una sorta di decalogo per un uso “intelligente” del Supply Chain Management: “Prima della crisi economica il compito della Supply Chain era quello di supportare la crescita del business: visibilità della Supply Chain, collaborazione business to business e Risk Management erano le priorità per un responsabile del settore. Oggi, invece, a fronte della crisi finanziaria e dei suoi effetti sull’economia, stiamo assistendo a un sensibile cambiamento delle prerogative e delle iniziative a lungo termine, con una rivincita delle esigenze basilari; ovvero, riduzione dei costi operativi e profittabilità dei business intrapresi. D’altra parte, gestire la Supply Chain in maniera che questa sia adattabile e modulare rispetto alla condizioni in costante cambiamento del business contemporaneo non è un’operazione semplice. Per questo, disporre di un’infrastruttura IT avanzata è fondamentale, così da potere raggiungere l’eccellenza a livello operativo, ottenere l’efficienza dei processi produttivi e migliorare il decision making, a tutto vantaggio, poi, della soddisfazione finale del cliente”.
IBM ha aggiunto come l’attenta valutazione del ritorno dell’investimento sia l’ultima delle condizioni preliminari da considerare per un corretto inquadramento delle tecnologie di Supply Chain Management nell’attuale contesto economico. “La volatilità del mercato e la conseguente variabilità della domanda dei clienti, assieme alla velocità nella generazione delle risposte e alla sostenibilità dell’intero processo, con ogni probabilità rappresentano oggi i principali elementi con cui la Supply Chain deve confrontarsi nelle aziende – hanno spiegato Carlalberto DaPozzo e Marco Abbate, rispettivamente IBM Global Business Services Supply Chain Leader e IBM Business Analitycs Optimization Supply Chain Leader –. L’ottimizzazione dei costi e delle performance, la globalizzazione, l’integrazione e la collaborazione con diverse tipologie di partner sono dunque fattori sotto costante osservazione da parte dei responsabili di questo settore”.
Business Analtycs & Optimization, infrastrutture flessibili e modulari di ERP, soluzioni verticali per la collaboration e l’integrazione tra i diversi reparti dell’azienda e applicazioni di CRM sono le componenti principali dell’offerta messa a disposizione del mercato italiano da parte dei vendor, guidati, nelle loro scelte di produzione, dalla consapevolezza che, “in questa fase dell’economia soluzioni in grado di garantire agli utenti il raggiungimento dei propri obiettivi in tempi rapidi e a costi certi è una caratteristica molto apprezzata da parte della domanda”, come ha notato Luca Mongiorgi, Direttore Commerciale e Marketing del system integrator modenese Iungo.
Ancora, hanno affermato i due manager IBM, “sono cinque gli elementi che la media azienda nostrana ricerca in una soluzione di Supply Chain Management, quale che sia la sua specifica configurazione: cost containment, visibilità, globalization, risk management, customer intimacy. A questi si aggiunge la rilevanza delle competenze predittive della BI, che effettuano previsioni e delineano scenari, e le competenze prescrittive, che permettono di indicare linee di azione utili a raggiungere gli obiettivi aziendali prefissati”.
In ultima analisi emerge come una soluzione di Supply Chain Management debba essere in grado di fornire ai propri utilizzatori un valido strumento di generazione e di sviluppo del business. Lo hanno illustrato con chiarezza Fesani di SAP, che ha specificato come “tempi di ritorno dell’investimento, costi di gestione della soluzione e flessibilità d’uso sono caratteristiche essenziali dell’attività di Supply Chain Management”, e Dama di Infor, che ha spiegato che “la previa conoscenza del mercato e della clientela sono elementi essenziali per la costruzione di una buona offerta commerciale”.
Del resto, la conformazione e le esigenze esibite dal target di clientela di riferimento autorizzano e giustificano una simile organizzazione dell’offerta tecnologica.
“I direttori delle operation cercano in ogni modo di semplificare i processi di business, che risultano sempre più complessi per via delle innumerevoli varianti che oggi è necessario analizzare prima di assumere qualsiasi decisione – ha affermato Dama di Infor –. Per le aziende nostre clienti, organizzazioni di media entità attive nel settore della produzione, dei trasporti e della logistica, la complessità delle operazioni deriva da fattori quali la scarsa visibilità della domanda, la difficoltà di stilare previsioni di vendita e le criticità legate al controllo della redditività dei progetti avviati”.
La flessibilità di una soluzione di Supply Chain Management permette però di estenderne le funzionalità a un pubblico più vasto, come ha invitato a riflettere Mongiorgi di Iungo, secondo il quale “se non di software da installare si tratta, bensì di soluzione da integrare e da coordinare con il sistema informativo aziendale, allora si comprende come i vantaggi dell’IT possano espandersi anche all’utenza delle imprese più piccole. Da questo punto di vista, un ROI misurabile nell’ordine dei tre/sei mesi può fungere da giusto parametro per la valutazione della bontà di una soluzione”.
Sulla medesima falsariga l’opinione di IBM, che attraverso DaPozzo e Abbate ha preso atto “dell’estrema diversificazione cui è soggetto il cliente tipo delle soluzioni di Supply Chain Management. Si va dalla grande multinazionale alla piccola e media impresa, magari con un raggio d’azione internazionale, per arrivare alle imprese di dimensioni più ridotte e concentrate sui mercati verticali. L’obiettivo finale è entrare in sintonia con le aziende clienti, riuscendo a condividere con gli utenti la logica di rendere l’ICT funzionale, giorno per giorno, al business dell’attività in cui quest’ultima è applicata”. Ovvero, ha chiosato Fesani di SAP, “la completa visibilità sul business, per poter reagire in maniera rapida ed efficace alle mutevoli richieste del mercato. Il tutto con un ROI dell’investimento non superiore ai diciotto mesi”.
Per questi motivi, è molto importante che le strategie di vendita messe in atto dagli operatori del settore per spingere sul mercato le soluzioni di Supply Chain Management siano dotate dell’appeal necessario a renderne immediatamente chiaro, e auspicabile, l’uso da parte delle aziende clienti.
La posta in gioco, infatti, è la possibilità di dimostrare a “botta sicura” il valore delle proprie soluzioni al pubblico degli utenti; da questo punto di vista, la visione delle società interpellate è unanime.
“Ciò che fa la differenza in una buona proposta commerciale è la capacità di dimostrare il valore effettivo della soluzione proposta, sottolineando gli aspetti di affidabilità, flessibilità e adattabilità del prodotto offerto” ha dichiarato Fesani. “È fondamentale porsi nei confronti del mercato come specialisti, focalizzati su uno specifico settore, e su questo presupposto impostare il lavoro di partnership con le proprie terze parti” ha proseguito Mongiorgi di Iungo. “Abbinare all’offerta delle soluzioni un valido supporto in termini di servizi, così da stare dietro a tutte le evoluzioni delle tecnologia ICT, in primis il cloud, e su questa base porsi nei confronti dei clienti come partner tecnologici capaci di portare avanti i processi di trasformazione” hanno aggiunto DaPozzo e Abbate di IBM.
Già, perché come ha concluso Dama di Infor, “la situazione economica attuale induce le aziende a fare di più con meno. Bisogna dunque sapere fornire soluzioni semplici, immediate e che, soprattutto, non abbiano un impatto negativo sulle infrastrutture esistenti”.

 

Supply Chain Manager: forti competenze e alti stipendi per un ruolo sempre più strategico per le aziende
Qual è l’impatto della figura professionale del Supply Chain Manager all’interno di un’azienda?
Per rispondere alla domanda l’Osservatorio gestione strategica dell’ICT del Politecnico di Milano ha cercato di stilare un identikit di questo mestiere, da cui emerge come l’estrazione culturale degli addetti a tale ruolo aziendale sia in media abbastanza alta, così come elevato è il livello di competenze richiesto dalle Direzioni a questo tipo di professionisti.
Dai dati di una ricerca condotta su un campione di professionalità nostrane emerge infatti che il 65% degli individui che nella propria azienda si occupano di Supply Chain Management è in possesso di una laurea, il 32% dispone di un diploma di maturità superiore e il 3% ha conseguito anche un Master.
Dopodiché, il background dei Supply Manager rivela una panoramica piuttosto variegata: nel 20% dei casi si tratta di risorse presenti in azienda da almeno due anni, nel 44% da sei e nel 36% da oltre dieci.
In generale, la percentuale maggiore di impiegati nel ruolo fa riferimento a professionisti presenti nell’organizzazione da due fino a cinque anni, il che dimostra come si tratti di una figura professionale molto recente, rispetto alla quale non esiste ancora un vero e proprio mercato del lavoro di riferimento.
La collocazione di questi professionisti nell’ambito delle categorie aziendali, però, rimane alta. Il 65% del campione è composto, infatti, di Quadri, il 19% da dirigenti, il 15% da impiegati e l’1% da consulenti; forse segno, quest’ultimo, della tendenza delle aziende ad affidare le responsabilità e le mansioni del settore a personale interno.
Lo proverebbe, del resto, il trend delle retribuzioni medie annue, che nel 18% dei casi attestano un guadagno tra 80.000 e 120.000 euro, nel 47% tra 50.000 e 80.000 euro e nel 32% inferiore ai 50.000 euro.