Dal GCI 2011 arrivano spunti di riflessione per cogliere il ruolo cruciale dell’Ict nello sviluppo di modelli competitivi e nell’ottimizzazione di soluzioni SCM e BPM

Inizio settembre: il World Economic Forum presenta il Global Competitiveness Index (GCI), giunto quest’anno alla settimana edizione. Rapporto che arriva in un momento di grande turbolenza mondiale e che riconferma ai vertici della classifica la Confederazione Elvetica. Esaminando le variabili che misurano l’evoluzione infrastrutturale e tecnologica dei Paesi, si evincono le dinamiche che guidano verso scenari di crescita o decrescita. È doveroso ricordare che il World Economic Forum definisce la competitività come il set di istituzioni, politiche e fattori che determinano il livello di produttività di un Paese. Al tempo stesso il livello di produttività è definito come il set dei livelli di prosperità che possono essere raggiunti da un’economia: come l’elemento da cui discende il ritorno sugli investimenti e la rapidità con cui esso è raggiunto. In altre parole, un’economia più competitiva è anche un’economia che cresce con maggior rapidità.

Tecnologia e competitività
Utilizzando i dodici pilastri che costituiscono il GCI, ognuno articolato in numerose variabili, ognuno interconnesso, si misura la competitività. In funzione del GCI, è possibile identificare tre diversi stadi, espressione del livello di sviluppo del Paese. Al primo stadio si identificano le economie factor-driven, quelle costruite sull’utilizzo di risorse naturali e forza lavoro relativamente poco specializzata e formata; le aziende competono sui prezzi e sui prodotti di base, i salari sono bassi. Al secondo stadio si identificano le economie efficiency driven; le imprese si concentrano sul miglioramento dei processi produttivi e della qualità dei prodotti, a cui segue la crescita di salari e prezzi. In questa fase la competitività è il frutto della combinazione di forza lavoro molto formata, di scuole superiori e di un mercato del lavoro efficiente, della capacità di sfruttare al meglio le tecnologie esistenti. Il terzo e ultimo stadio è quello guidato dall’innovazione; le aziende competono producendo nuovi prodotti e utilizzando processi sempre più sofisticati. Buona parte dei Paesi occidentali si colloca in questa fascia ed è in questo ambito che le variabili tecnologiche permettono di identificare la carica innovativa di un Paese misurando la qualità dell’educazione scientifica, la qualità del sistema educativo, l’uso dell’ICT, leggi e norme riservate allo sviluppo dei prodotti tecnologici, la protezione della proprietà intellettuale, la disponibilità di capital venture, gli investimenti in ricerca e sviluppo, la disponibilità di scienziati e ingegneri, la capacità innovativa.
Ottimi punteggi in queste variabili contribuiscono a migliorare il punteggio totale. La prima nella graduatoria complessiva del GCI 2011, la Confederazione Elvetica, è settima al mondo per numero di brevetti registrati. Un Paese con poco meno di 8 milioni di abitanti riesce a competere su scala mondiale, a dimostrazione di quanto cruciale sia l’investimento nella formazione, nella ricerca e nello sviluppo.


Formazione innovativa
La Svizzera è prima al mondo nell’innovazione, nella penetrazione delle tecnologie, nell’efficienza del mercato del lavoro; tra le migliori al mondo per collaborazione tra mondo accademico e mondo produttivo delle aziende. Ecco un esempio di cosa vuol dire costruire sinergie di questo genere. Nella Svizzera Romanda, i cui Cantoni sono tra loro più omogenei, accomunati innanzitutto dalla medesima lingua, si è deciso di avviare nel 2009 un programma di master in ingegneria riservato esclusivamente ai migliori studenti (non più di duecento all’anno) costruito a partire dalle risorse già disponibili sul territorio. Il progetto è costruito sui capisaldi tipici del federalismo: sfruttare le risorse (strutture e persone) offerte dal territorio, valorizzandone le specificità e favorendone la competizione, il tutto senza costi aggiuntivi per la Confederazione; offrire ai cittadini capaci di eccellere la possibilità di esprimere tutte le proprie potenzialità, scegliendo il percorso di studi più consono alle aspirazioni. La soluzione proposta è innovativa, tutta costruita sul principio della rete: nessuna moltiplicazione di cattedre e corsi, men che meno apertura di nuove università; piuttosto la costituzione di un network tra le scuole cantonali professionali universitarie già disponibili nella Svizzera Romanda e l’avvio di una vera e propria competizione interna, gara virtuosa tra docenti e scuole per attrarre quanti più studenti possibili con i propri moduli di studio; alla competizione si è aggiunta la costruzione di una solida infrastruttura informatica per la gestione in tempo reale di orari e piani di studio personalizzati per gli studenti. Accade così che uno studente (per lo più part time, perché già inserito nel mondo del lavoro da tempo) possa scegliere di seguire un corso a Losanna il lunedì, il martedì a Friburgo e il mercoledì a Yverdon Le Bains, il tutto grazie a un’altra infrastruttura preziosa e cruciale: quella dei trasporti pubblici che in Svizzera è efficiente e affidabile (quinta posizione al mondo).

Buone pratiche di Supply Chain
Il progetto, tra l’altro, dimostra come sia possibile applicare i tradizionali principi del Supply Chain Management e del Business Process Management all’ambito formativo realizzando soluzioni innovative di outsourcing e multisourcing. Il multisourcing, in particolare, riporta l’attenzione sui processi, ridisegnando la sequenza tipica delle domande che caratterizzano le scelte tattiche di outsourcing. Quando si esternalizza, la prima domanda che ci si pone è chi può farlo, poi ci si domanda cosa affidare all’esterno, dove, come e perché. Nell’approccio alla molteplicità del sourcing la sequenza è diversa; la prima domanda è perché (a sottolineare la dimensione essenzialmente strategica), seguita da cosa, chi, come e dove. In occasione della Supply Chain Executive Conference di Gartner, tenutasi a Londra il 14 e 15 settembre, Gartner ha identificato otto buone pratiche chiave per l’outsourcing della Supply Chain. Per “sopravvivere” come Supply Chain del 21° secolo è necessario che la filiera lavori come un network guidato dal valore; per coordinare questi value network è indispensabile che i responsabili conoscano e adottino le buone pratiche disponibili, applicando analisi più articolate ai partner selezionati per le esternalizzazioni. Le best practice individuate coinvolgono tanto il livello strategico che quello tattico. La prima prevede l’allineamento della strategia di outsourcing con le strategie aziendali e di Supply Chain: aziende competitive perché capaci di offrire prodotti e servizi personalizzati (innovative – driven) hanno bisogno di partner esterni flessibili, con modelli di delivery agili; le aziende con architetture factor o efficiency-driven, in grado di competere facendo leva sul prezzo hanno bisogno di partner low-cost e strutturati su modelli lean. La seconda buona pratica contempla la comprensione delle proprie capacità di gestione e amministrazione dei partner della filiera, servendosi di modelli specifici di analisi per capire come gli stakeholder percepiscono e coinvolgono i fornitori esterni. Analizzare e capire i protagonisti del mercato e le aree di sovrapposizione è un’altra buona pratica che completa le fasi preliminari. Nell’elenco delle best practice Gartner inserisce alcuni criteri con cui selezionare i fornitori, scelta non più espressione solo di esigenze di contenimento dei costi ma sempre più guidata da fattori strategici e operativi. Raccomanda di individuare e confinare i rischi connessi alla corruzione e alla violazione dei diritti di proprietà intellettuale, molto diversi da Paese a Paese. Suggerisce di stabilire e conservare un flusso regolare di dati, informazioni e idea con i fornitori selezionati, in modo che gli scenari di sviluppo siano discussi collegialmente. Queste buone pratiche portano con sé altri due aspetti cruciali: definire e tracciare i livelli di servizio e i key performance indicator, anche sviluppando metriche e service level agreement ad hoc, valorizzare processi e tecnologie dei partner che si dimostrano essere particolarmente efficaci.