Dalle infrastrutture agli incentivi mirati alle imprese It, dall’evoluzione della Pa a Smart City. Ecco come la Regione Piemonte e Torino si preparano al nuovo che avanza, tentando di conciliare crescita e risparmi

Sarà a causa della crisi o delle richieste sempre più pressanti e specifiche dell’Unione Europea, ma quella che potrebbe investire la Pubblica amministrazione italiana nei prossimi mesi assume via via i caratteri di una vera rivoluzione. Velocità di reazione per far fronte alle mutate esigenze del territorio e del tessuto imprenditoriale, realizzazione di infrastrutture ormai indispensabili e un’inedita attitudine al mercato e al risparmio a tutti i livelli stanno diventando imperativi su cui basare cambiamenti troppo a lungo rimandati. Che adesso sia giunto il tempo del fare sembrano essersene accorti in molti nelle istituzioni nazionali e locali. In occasione del Tosm, acronimo di Torino software and systems meeting, abbiamo incontrato Roberto Moriondo che svolge il doppio incarico di direttore del Settore innovazione, ricerca e università della Regione Piemonte e, ad interim, di presidente del Csi-Piemonte, il consorzio che realizza i maggiori progetti di applicazione di tecnologie Ict sul territorio regionale. Proprio il Piemonte è infatti al centro di numerose iniziative che promettono di rendere questa Regione un esempio di come si possano conciliare risparmi e logiche di mercato con il miglioramento delle condizioni di cittadini e imprese. Si va dall’apertura di banche dati unificate consultabili da tutti, all’integrazione di servizi innovativi, dalle soluzioni concrete al problema del digital divide ai cruscotti dinamici che aprono la strada alla candidatura di Torino a Smart City.

 

Quali sono le richieste più pressanti che le imprese formulano alla Regione in termini di infrastrutture e servizi Ict?
Le imprese chiedono principalmente una rete performante in banda larga. In un contesto nazionale come quello italiano le Regioni possono fare tantissimo. La nostra situazione è diversa da quella di altri paesi europei. Abbiamo un operatore dominante che è il proprietario della rete e anche uno degli erogatori di servizi, che ha l’onere di fare gli investimenti ma allo stesso tempo investe solo se ha un ritorno. Per cui mentre in altri paesi la rete e le infrastrutture sono di proprietà dei governi, da noi c’è questo rapporto un po’ promiscuo tra investimento pubblico e interesse privato.
Noi come Regione Piemonte abbiamo provato, e su questo siamo stati un caso di successo anche a livello europeo, a non concentrarci soltanto sugli investimenti in fibra. Li abbiamo comunque fatti realizzando un anello che collega i principali capoluoghi di provincia più delle diramazioni territoriali, ma abbiamo spinto molto anche su soluzioni wireless, per cui la fibra arriva fino a un cero punto e poi si prosegue con un traliccio o un ripetitore. Questo perché il Piemonte è per due terzi montano e nelle aree montane vive un terzo della popolazione. La dispersione renderebbe queste aree fallimentari per un operatore tradizionale che deve essere competitivo sul mercato, invece per un operatore wireless che può sfruttare tecnologie più semplici e meno costose si è visto che può essere anche un’interessante operazione di mercato. Per cui, caso unico in Italia e tra i pochi in Europa, abbiamo un consistente gruppo di imprese, Pmi, che hanno portato banda larga in aree in cui era economicamente impossibile arrivare, con pezzature di banda e prezzi che ormai sono concorrenziali rispetto alla tradizionale Adsl. Parliamo di 8 megabit di banda a 20-25 euro al mese. Questo è stato il risultato ultimo del programma Wi-Pie, prima dell’ultima tranche di investimenti che abbiamo avviato che sono 14 milioni di Euro suddivisi tra sei di fondi MiSE, ovvero del Ministero per lo Sviluppo Economico, e sette e qualcosa da fondi agricoli legati al recovery plan di Barroso, che ha sottratto alcune risorse alle riforme agricole per poi destinarle alle infrastrutture. Su questo ci stiamo muovendo in coerenza col programma, andando a portare la fibra in alcune centrali ma anche in alcuni luoghi strategici dove è possibile installare un traliccio per potenziare questa banda. In questo modo si ottiene un doppio livello di copertura nelle aree più fortunate e quantomeno la copertura wireless in quelle aree che altrimenti sarebbero a fallimento di mercato per gli operatori. Per potenziare ancora di più questa misura abbiamo approvato in Giunta un bando da 2 milioni di Euro a favore di queste Pmi.

 

In questo la Regione ha operato da sola o con il supporto di Province e Comuni?
Abbiamo un rapporto costante con le provincie e i comuni per l’individuazione delle aree critiche, ma la parte di finanziamento ricade tutta sulla Regione che è l’unica in grado di farlo. In passato le provincie ci hanno dato una mano, ma in questo momento difficile sarebbe impossibile. La Regione può farlo perché dispone dei fondi europei, che si affiancano ai pochi fondi regionali. Questi fondi destinati alle Pmi sono denaro a fondo perduto ma nella misura del 50% dell’investimento operato dall’azienda, per cui con 2 milioni contiamo di portare a casa 4 milioni di investimento. Con questo riteniamo di poter concludere la fase uno del Wi-Pie, che permette di non avere aree soggette a digital divide. Ovvio che siamo parlando di qualche mega di banda, mentre bisogna pensare a cosa dovrà essere la banda larga fra cinque anni e almeno la progettazione di questo sviluppo futuro bisognerebbe metterla in cantiere adesso, avviando un intervento a livello nazionale.

 

Come va il progetto dati.piemonte.it? Che feedback avete sull’uso che ne fanno le imprese e i cittadini?
Il nostro partner tecnologico è stato il Csi Piemonte, e il progetto è costato davvero molto poco, nell’ordine di qualche decina di migliaia di euro. Abbiamo dato la priorità al time-to-market, lavorando in beta. Un concetto ampio di beta, anche sulle licenze software. Abbiamo voluto uscire con qualcosa che avesse una tenuta giuridica e funzionale, senza spaccare il capello in quattro ma con la dovuta prudenza relativamente ai dati sensibili. Siamo partiti con una cinquantina di data set e ora ne abbiamo 150. Il portale è una community, per cui è possibile interagire e commentare. L’aspetto che in questo momento mi sta preoccupando un po’ è che vediamo ancora poche domande di dati, malgrado abbiamo un’offerta che giudico ricca, e soprattutto vedo poche critiche sul portale. Mi sarei aspettato che qualcuno commentasse sullo scarso interesse per i nostri dati o esprimesse diverse priorità. Noi continueremo a pubblicare data set in ragione degli enti o dei privati che vorranno aderire al progetto, ma mi sembra che manchi proprio la cultura del dato come risorsa. Per me Open Data non è un’operazione trasparenza o di accesso alle informazioni, ma è proprio uno strumento di politica economica. All’inizio del progetto ho parlato di miniera, poi ho corretto la comunicazione perché una miniera è soggetta a diritti di proprietà e poi si esaurisce. Invece è come il sole, ovvero una risorsa energetica rinnovabile, non competitiva e neutrale. Sono preoccupato per le imprese piemontesi che stanno mostrando verso queste opportunità troppa timidezza. Le nostre imprese sono molto legate all’industria tradizionale del software e molto meno a Internet, che recenti studi mostrano che già adesso genera il 2% del Pil, e questo dato potrebbe raddoppiare in pochi anni. Stiamo lavorando sul mercato per promuovere la realizzazione di app, perché quella è la direzione del mercato.

 

Quindi le app rappresentano il punto di incontro tra Internet e l’industria del software?
Esattamente, del resto anche la Pubblica amministrazione deve pensare che l’utente non è più quello che si collega da una scrivania o da un portatile, ma il sevizio lo vuole disponibile ovunque. Operazioni come la scelta e revoca del medico o il pagamento della multa le vorrei poter fare esattamente come faccio home banking o e-commerce. Paradossalmente questo cambiamento potrebbe essere persino più veloce nella pubblica amministrazione rispetto alle aziende Ict. Noi questa esigenza l’abbiamo percepita.

 

Se dovesse dare un consiglio a Monti sul supporto a politiche regionali e nazionali in tema di Ict?
Negli ultimi anni la Pubblica amministrazione ha giudicato l’Ict un costo e non un investimento. In alcuni casi è davvero un costo, per cui bisogna operare in maniera efficiente facendo attenzione a non sprecare risorse, ma l’Ict è soprattutto un’investimento. Per cui al Presidente Monti suggerirei di dare questo segnale: ogni progetto Ict di livello regionale o nazionale deve avere un ritorno dell’investimento dichiarato prima. Non si informatizza tanto per informatizzare, ma lo si fa quando se ne ha un ritorno, anche di natura economica.

 

Le aziende Ict però chiedono che la Pubblica amministrazione sia d’esempio, anche in mancanza di un ritorno immediato
Più dell’80% del bilancio della Regione Piemonte, e la stessa cosa vale più o meno per tutte le Regioni, è relativo alla sanità. Peraltro svolgo a scadenza anche il ruolo di Presidente del Csi Piemonte, in attesa che si risolva un problema di nomine politiche, e in tale ruolo ho seguito lo sviluppo un progetto pilota di tele-medicina nel verbano su sei specialità diverse, tra cui malattie cardio-respiratorie e diabete. Si tratta di un progetto che si porta dietro anche un modello di opportunità economica. In pratica curo meglio le persone e le curo a casa evitando i passaggi dal pronto soccorso e migliorandone la qualità di vita, ma allo stesso tempo ottengo un risparmio per il sistema sanitario.
E si tratta di un risparmio quantificabile in migliaia di euro per ogni passaggio evitato al pronto soccorso. Anche il sistema bancario ha da tempo seguito questo modello, riformandosi usando Internet. La pubblica amministrazione piemontese in questo momento non è simile al sistema bancario ma più legata a un’impostazione tradizionale.



La Regione Lombardia ci ha provato con l’introduzione della Carta regionale dei Servizi, cosa pensa di quell’iniziativa?
Volendo lanciare una provocazione, se il settore bancario ha introdotto l’home banking senza una tessera fisica, perché la Pubblica amministrazione deve accanirsi a volere la Carta d’Identità elettronica, o la Carta dei Servizi pensata come una cosa che devi per forza infilare da qualche parte?