Un nuovo libro di David Brooks, “L’animale sociale”, è l’occasione per fare il punto sul successo dei social network, che al di là delle modeste performance in borsa di Facebook, attraggono sempre più utenti

Per comprendere fino in fondo il fenomeno internet del social newtorking è possibile fare riferimento alle ricerche che molte discipline come le neuroscienze, la sociologia, la psicologia e l’economia comportamentale, hanno svolto sul cervello e la mente umana. In un bel libro appena pubblicato da Codice Edizioni, “L’Animale Sociale”, David Brooks spiega che le nostre pretese di affermare il nostro io cosciente (identità digitale in rete) devono sempre fare i conti con la nostra mente interiore caratterizzata dal potere delle relazioni e da legami invisibili che ci vincolano agli altri individui.

Mentre la nostra mente inconscia elabora in ogni momento 11 milioni di informazioni, quella cosciente ne gestisce una quarantina. Molti dei nostri comportamenti in Facebook e con Twitter sembrano replicare in piccolo il nostro io interiore fatto di impulsi, emozioni, sensibilità e imprevedibilità. È un Io che sa essere brillante, sa elaborare molti dati, è estremamente socievole e alla ricerca costante di nuove connessioni.
L’opinione diffusa (il 70% secondo indagini di mercato) è che i social network funzionano perché siamo abituati a condividere, per validi motivi legati alla natura umana, e non perché siamo esibizionisti o narcisi incalliti. Condividiamo e ci colleghiamo ad altri perché ne traiamo dei benefici concreti e perché è un comportamento sociale e generoso che ci permette di interagire con altri individui e di migliorare le nostre relazioni con loro, favorendo fiducia e stima e vanificando eventuali timori o paure rivolte alla collaborazione. Condividere qualcosa è una scelta individuale che tecnologie come Facebook, Linkedin e Twitter hanno reso possibile, facile e pragmaticamente utile.

 

Potenza al servizio di governi e imprese
Il social networking è strumento potente di condivisione di conoscenza e di relazioni, valido tanto per il singolo individuo come per l’impresa, la pubblica amministrazione e l’istituzione. Dalla condivisione e stretta collaborazione tra azienda e clienti possono essere co-creati nuovi prodotti. Da quella tra istituzioni e governati possono nascere migliori pratiche di buon governo e cittadini più felici. I nuovi strumenti sono, per la loro natura aperta e trasparente, agenti dirompenti di cambiamento. Possono incidere sui mercati modificando l’opacità di alcuni marchi e la immeritata visibilità di altri, possono incidere sulla stabilità di governi ( Piazza Tahir al Cairo) o rinforzare partiti con proposte alternative ( Grillo docet ). Non è un caso che siano molti a resistere ad un uso diffuso dei social network e non pochi sono coloro che introducono limitazioni all’uso e impongono normative finalizzate a controllare connessioni, relazioni e condivisioni.

 

Chi ha paura dei social network?
Fin qui la visione di coloro che valutano positivamente il social networking come generatore di benefici. Chi si schiera sul fronte avverso parte proprio dalla difesa della libertà individuale contro quella del sociale, una libertà che sarebbe messa a rischio dalle opinioni pubbliche delle reti sociali in possesso di informazioni crescenti sulla nostra persona, vita privata e professionale e sui nostri legami. Secondo queste opinioni la libertà dei social netwrok è fasulla e basata su una trasparenza che invece di favorire l’emergere di una identità autentica, ne limita le specificità riportandola allo stato adolescenziale. Facebook favorisce l’espressione delle nostre personalità multiple digitali ma il risultato è che i molti post di facebook, tweets di Twitter, circoli di Google+ finiscono per condizionare e, in alcuni casi, per sovrapporsi in modo schizofrenico alla nostra identità reale, quella con cui ci troviamo ad affrontare la vita reale di tutti i giorni. A rischio è anche la nostra libertà sociale, resa stolta, convenzionale, massificata e da confessionale. Un rischio forte perché l’ampiezza del fenomeno e il potere che sta acquistano nelle menti delle masse, rende difficile e complicato astenersi o opporsi ( la memoria va al film cult Brasil ). Vero che possiamo decidere di non partecipare, vero che possiamo sembre chiudere il nostro account e abbandonare, ma il farlo può risultare complicato perché esprimerebbe una autonomia di giudizio e una diversità culturale fuori dal coro. Queste le idee di chi ritiene che il fenomeno social networking alla Facebook vada contrastato. È la rivolta dell’individuo verso la folla, la difesa della solitudine verso la socialità, l’elogio del pensiero solitario verso la mente collettiva (connettiva), la difesa dell’Io verso quello dell’Io esteso. Sono su queste posizioni filosofi e studiosi dei fenomeni sociali come Paul Virilio e Jean Bradillard. Ma di questo ne parleremo ancora