Una ricerca BSA mette in luce la scarsa conoscenza in tema cloud dei cittadini europei. Eppure potrebbe far crescere l’economia e creare nuovi posti di lavoro

All’inizio del 2012 uno studio della London School of Economics and Political Science  (LSE) ha esaminato l’impatto del cloud computing su alcuni mercati verticali in USA, Germania, Italia e UK. L’indagine aveva evidenziato che il cloud computing sta contribuendo alla crescita economica e alla creazione di nuovi posti di lavoro sia in mercati che stanno crescendo molto, come quello dei servizi telefonici, che in altri a crescita più lenta, come quello aerospaziale.

 

I posti di lavoro creati sono numerosi e servono per far funzionare e per gestire i data center che ospitano le strutture cloud. Tra le nazioni considerate, a trarre il maggior vantaggio dal cloud computing sono però soltanto gli Stati Uniti (55000 posti di lavoro nel solo settore smartphone) e in misura minore  l’Inghilterra (4400). A facilitare la diffusione in questi paesi sono il basso costo dell’elettricità e una più flessibile normativa, relativa alla gestione dei contratti di lavoro, ma anche la maggiore predisposizione di aziende e consumatori ad utilizzare servizi in cloud.

 

L’Europa attende

Tutti aspetti che in Europa sono ancora in attesa di risposte concrete, di nuove strategie di sviluppo e finanziamenti, di iniziative specifiche per favorire l’uso delle nuove tecnologie da parte di aziende, enti pubblici e cittadini europei.

Alla ricerca di nuove strade per stimolare la crescita e l’occupazione oltre che l’efficienza dei servizi pubblici, l’Europa sembra convinta dell’opportunità offerta da cloud computing, ma allo stesso modo bloccata da arretratezza, conservatorismo, mancanza di politiche coese e condivise, resistenza delle aziende e anche scarsa conoscenza delle soluzioni cloud da parte dei cittadini e dei consumatori. Il tutto in uno scenario nel quale gli investimenti IT, in crescita negli USA e paesi emergenti, stanno subendo una contrazione costante che perdura da alcuni trimestri. I risparmi derivanti dall’abbassamento dei costi legati all’infrastruttura IT, non sembrano essere motivo sufficiente per convincere le aziende ad un transizione ad ambienti e soluzioni in cloud.

 

Si conosce poco

A complicare le cose c’è anche la resistenza o l’ignoranza diffusa di consumatori e cittadini sui servizi cloud esistenti e sulla loro bontà e convenienza. 

Sulla conoscenza e diffusione del cloud computing ha dedicato alcuni studi l’associazione non-profit Business Software Alliance (BSA). Le ricerche hanno permesso di confermare una crescita costante nell’adozione del cloud computing e una propensione maggiore agli investimenti e alla crescita dei paesi emergenti e il divario esistente con l’Europa. Rispetto ad un 45% (50% nei paesi emergenti) di utenti che a livello globale dichiarano di utilizzare servizi in cloud per la gestione, creazione e archiviazione di contenuti su risorse cloud, in Europa la percentuale media  è del 30%. L’indagine ha evidenziato che ben il 65% degli intervistati non conosce la terminologia e la tecnologia cloud a cui si riferisce e che solo il 24/33% accede ad applicazioni in cloud, principalmente posta elettronica ed elaborazione di testi. Dato sorprendente il fatto che l’uso del cloud è maggiormente diffuso per scopi personali (86%) di quanto non lo sia per fini professionali e lavorativi (29%). Non tutti i paesi europei sono uguali. UK e Grecia hanno un 14% di utenti che dichiarano di avere familiarità con servizi cloud, Polonia e Francia si attestano sul 10%, in Romania il 39%.

 

Molti benefici per l’Italia



La situazione italiana oltre che da BSA, è stata fotografata da Enterthecloud, blog di informazione sul cloud computing. Il Report pubblicato evidenzia una situazione di immaturità diffusa con aziende ancora restie ad adottare le nuove tecnologie. I dati relativi alla diffusione del cloud computing in Italia, oggetto di numerose indagini, sono contradditori e indicano una percentuale di penetrazione nelle aziende tra il 35% e il 61%. A frenare una maggiore diffusione pesano gli aspetti della privacy e della sicurezza, l’integrazione tra applicazioni interne e servizi in cloud, l’assenza di una cultura aziendale, la inadeguatezza nel negoziare i servizi con i fornitori, le prestazioni e l’affidabilità del servizio, la grovernance e la conformità con le normative.

Tutti elementi importanti che servono però anche da alibi potenti che impediscono innovazione e crescita.

La comunità europea sembra aver colto i segnali sull’arretratezza e lentezza con cui si sta sviluppando il cloud computing in Europa evidenziati dall’indagine BSA e altre simili. I finanziamenti fin qui distribuiti attraverso la European Cloud Partnership sono stati di 10 miliardi di euro con l’obiettivo di creare una solida base comune per gli appalti da parte delle autorità pubbliche di ogni paese membro. I risultati di questi investimenti sono attesi già a cominciare dal 2013 e dovrebbero portare alla creazione futura di un milione di nuovi posti di lavoro generando un valore pari a 2000 euro per ogni cittadino europeo. Confermano questi dati anche le rilevazioni di uno studio di IDC, ‘Cloud Computing’s Role in Job Creation’ il fatturato legato al cloud copmputing in Europa potrebbe essere di 832 miliardi di euro, in Italia i posti di lavoro potrebbero essere 150 mila rispetto ai 200 mila dell Francia, ai 254 mila della germania e ai 226 mila della Gran Bretagna. 

Perché ciò avvenga si devono però realizzare alcune condizioni importanti quali la creazione di un mercato digitale europeo unico, coeso e integrato in grado di favorire libera concorrenza nell’offerta di servizi ma soprattutto di garantire la libera scelta dei servizi da parte dei cittadini e consumatori. Un mercato regolato da normative europee chiare e sburocratizzate dovrebbe anche permettere ai molti fornitori di servizi cloud globali di sperimentare nuove opportunità di crescita, anche al di fuori dei confini europei e in concorrenza con i maggiori player mondiali.

Il superamento delle barriere attuali passa anche attraverso la definizione di policy mondiali condivise in grado di fornire risposte, di regolamentare e definire modalità d’uso degli utenti per proteggere i consumatori in termini di privacy e sicurezza. In secondo luogo devono essere definiti accordi commerciali per permettere il flusso e la condivisione di dati tra paesi diversi. Infine, con l’obiettivo di promuovere l’innovazione, devono essere definite leggi e normative stringenti per proteggere i diritti degli innovatori e i loro brevetti ed evitare possibili atti criminali e furti di qualsiasi genere.

 

A questo link potete scaricare la scorecard BSA che classifica il grado di preparazione dei vari paesi all’introduzione del Cloud computing.