Dal Global Gender Gap al Corporate Gender Gap

Non è la prima volta che lo scrivo ma, a costo di apparire un po’ noiosa, comincio le mie riflessioni a partire dall’esperienza di un piccolo paese, che con noi condivide una buona parte della storia e lunghi confini montuosi. Capito, vero? E’ la Confederazione Elvetica, il paese per le cui donne il 2010 è senza dubbio un anno memorabile. Pensate che tutte le cariche politiche più significative, di fatto i vertici degli organi di governo della Confederazione, sono presieduti da donne. Doris Leuthard è il Presidente della Svizzera, Pascale Bruderer è il Presidente del Consiglio Nazionale ed Erika Forster è il Presidente del Consiglio degli Stati. Tre cariche di vertice, tre donne insieme alle quali i cittadini hanno scelto di affidare il proprio presente e futuro. Tutto ciò accade in un paese in cui le donne hanno conquistato il diritto di voto solo nel 1971; mentre nel resto d’Europa era tempo di Sessantotto, in terra elvetica le signore si battevano per conquistare il diritto di voto, conquistato il 7 febbraio 1971 con una votazione popolare a cui parteciparono solo i cittadini maschi. Eppure, dopo appena sei anni da quel 7 febbraio, arrivò la prima donna eletta alla presidenza del Consiglio Nazionale; vent’anni più tardi, nel 1991, fu la volta del primo presidente donna del Consiglio degli Stati e nel 1999 quella del primo Presidente della Confederazione, Ruth Dreifuss. Per cogliere il significato di queste cariche è bene sapere che il Consiglio Nazionale è una delle due camere di cui si compone l’Assemblea federale, di fatto il Parlamento; rappresenta, in particolare, il Popolo Svizzero e conta 200 membri. Il Consiglio degli Stati è invece la seconda Camera: 46 deputati che rappresentano i 26 Cantoni della Confederazione. Se proprio volessimo cercare un paragone, peraltro forzato, con l’Italia, è come se oggi avessimo ai vertici tre donne, due a presiedere Camera e Senato e una al Governo, come Primo Ministro.

 

Global Gender Gap: come misurare le differenze di genere
Per chi segue l’evoluzione degli indici è noto che la Svizzera è tra i paesi in cui le differenze di genere (il cosiddetto Gender Gap) non inducono sostanziali fenomeni discriminatori; è sufficiente un’occhiata al rapporto annuale del World Economic Forum (ne abbiamo già parlato in FBR di novembre 2009) per capire che i progressi del nostro Paese (nella classifica 2009 ci siamo piazzati 72esimi su 134 Paesi) sono ancora poca cosa rispetto al 13esimo posto della Confederazione o addirittura del primo posto dell’Islanda. L’indice annuale del World Economic Forum, il Gender Gap Index, misura di fatto le differenze di genere dei Paesi, applicando una metodologia che consente di avere risultati compatibili tra paesi poveri e ricchi. Quattro le aree critiche in cui si registrano le differenze: la partecipazione alla vita economica e le opportunità offerte dal mercato (valutando i livelli dei salari, il numero di uomini e donne che accedono ai livelli direzionali), il contesto educativo (in funzione del numero di accessi ai livelli base e superiore dell’educazione), il contesto politico, infine l’aspettativa di vita e le condizioni igienico sanitarie. Il punteggio dell’indice esprime la percentuale delle differenze di genere superate nell’arco dell’anno di misurazioni; sulla base del punteggio acquisito (da 0, massimo gap a 1, minimo gap) viene stilata la classifica annuale. Così, se ci soffermiamo sulla graduatoria delle quattro aree, scopriamo che per partecipazione delle donne impegnate in politica e giunte ai vertici, l’Italia è 46esima ma la Svizzera, già un anno fa, era 12esima, grazie anche al 40% femminile del governo elvetico (tre consiglieri federali su sette).
L’obiettivo dell’indice è duplice: far crescere la consapevolezza sulle differenze di genere esistenti e spronare la riflessione sui contributi possibili che emergono dalle differenze e dalle uguaglianze di genere. L’aspetto innovativo del Gender Gap Index sta nella capacità di superare la più tradizionale classificazione dei Paesi in funzione del coinvolgimento delle donne (in una sorta di “gara tra i sessi”), per concentrarsi invece sull’uguaglianza dei generi; l’indice, nel rispetto delle reciproche diversità, misura tanto per le donne quanto per gli uomini le opportunità di espressione nei diversi ambiti della vita sociale.

 

Classifiche a confronto: tre anni di Gender Gap

Gender Gap 2007, al primo posto al mondo c’è la Svezia (punteggio 0,81), seguita rispettivamente da Norvegia, Finlandia, Islanda, Nuova Zelanda, Filippine, Germania, Danimarca, Irlanda e Spagna. L’Italia è solo 84esima, con un punteggio di 0,64, preceduta dal Kenya (83esimo) e seguita da Mauritius (85esima). Nell’Europa dei 27, siamo addirittura ultimi. Come sempre un’occhiata ai sub indici, le quattro aree che vi ho descritto sopra, risulta particolarmente illuminante. Minimo lo scostamento dell’Italia rispetto al punteggio 2006: mentre sono rimasti stabili i punteggi relativi a educazione, (siamo 32esimi), salute e aspettativa di vita (82esimi), politica (80esimi), un lieve peggioramento si è registrato nell’ambito economico, dove siamo 101esimi al mondo. Ciò che colpisce, invece, è il confronto con chi ci precede e chi ci segue. Il Kenya fa meglio di noi nell’ambito dell’economia; la differenza di genere per aspettativa di vita e salute è pressoché nulla a Mauritius. Gender Gap 2008, al primo posto questa volta c’è la Norvegia (punteggio 0.82), seguita rispettivamente da Finlandia, Svezia, Islanda, Nuova Zelanda, Filippine, Danimarca, Irlanda, Olanda, Lettonia. L’Italia migliora sensibilmente, raggiungendo la 67esima posizione, preceduta dal Lussemburgo e seguita dal Vietnam. La Svizzera è 14esima. Anche nell’Europa dei 27 l’Italia recupera ben quattro posizioni; buona parte della performance complessiva è frutto del sub indice che misura la partecipazione delle donne ai vertici della vita politica; dall’80esimo posto del 2007, infatti, passiamo al 46esimo mentre perdiamo posizioni nell’area educazione (43esimi); siamo solo 85esimi per la partecipazione nella vita economica, ma facciamo comunque meglio della prestazione 2007 e siamo 83esimi per salute e aspettative di vita.
Gender Gap 2009; è il momento dell’Islanda che, nonostante la crisi, raggiunge la prima posizione con un punteggio di 0,82, seguita rispettivamente da Finlandia, Norvegia, Svezia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Danimarca, Irlanda, Filippine, Lesotho. La Svizzera è 13esima con un punteggio di 0,74, in continuo miglioramento. L’Italia finisce al 72esimo posto (su 134 paesi), con un punteggio di 0,67, sostanzialmente stabile negli ultimi quattro anni; perdiamo posizioni perché gli altri migliorano più rapidamente di noi. Ci precede il Vietnam e ci segue la Tanzania. Nel contesto europeo, alle nostre spalle oggi ci sono solo Repubblica Ceca (74esima), Cipro (80esima), Grecia (86esima), Malta (89esima). Per il nostro Paese una prestazione ancora modesta che trova nella partecipazione alla vita produttiva il vero anello debole, una delle criticità più preoccupanti; nel 2008, in questa graduatoria parziale eravamo solo 85esimi, nel 2009 siamo addirittura 96esimi, i peggiori in Europa; un dato che deve far riflettere, su cui già nel 2006 aveva richiamato l’attenzione l’Istat; poche donne lavorano, ancora meno raggiungono i vertici e l’esperienza del World Economic Forum dimostra che esiste una correlazione tra competitività di un paese e sostanziale omogeneità di opportunità economiche e professionali tra uomini e donne. Non bastano le donne impegnate in politica, ai vertici della politica, ci vogliono donne, sempre più donne, nel mondo produttivo.

 

Il Corporate Gender Gap
Il Corporate Gender Gap Report è stato concepito proprio per analizzare in profondità la capacità dei paesi di offrire a maschi e femmine opportunità di lavoro e di impegno nel tessuto produttivo – economico. Numerosi studi confermano infatti che la riduzione del gender gap migliora la produttività e la crescita economica di un paese (basta ricordare le ricerche di Amartya Senn sullo sviluppo economico degli stati indiani); si ipotizza addirittura che agire su questa dimensione porterebbe una crescita del Pil pari al 9% nell’area del dollaro, al 13% nell’Eurozona, al 16% in Giappone. L’edizione 2010, sotto l’egida del World Economic Forum, ha analizzato lo stato dell’arte dell’integrazione del talento femminile nel business; 20 i paesi del panel di ricerca, circa un quinto di quelli coinvolti nel Gender Gap Report. I dati rilevati mostrano che la percentuale dei dipendenti donna, a tutti i livelli, impegnate nelle aziende private varia profondamente da un paese all’altro. L’India, per esempio è il paese con la percentuale più bassa, solo il 23%, seguita dal Giappone (24%), dalla Turchia (26%), dall’Austria (29%). Per contro, Stati Uniti (52%), Spagna (48%), Canada (46%) e Finlandia (44%) sono i paesi con le percentuali più alte. Nonostante ciò la percentuale di donne ai vertici (Ceo) si riduce drasticamente; mediamente non supera il 5%; Finlandia (13%), Norvegia /12%), Turchia (12%), Italia e Brasile (entrambi 11%) totalizzano le percentuali più alte mentre ci sono paesi come Belgio, Canada, Svizzera, Olanda, Messico, Grecia, India, Francia, Repubblica Ceca, Regno Unito, Stati Uniti che non annoverano Ceo (attenzione, non si registrano Ceo esclusivamente tra il panel di aziende intervistato dagli estensori del rapporto!). Il 72% delle aziende parte del gruppo di analisi non ha strumenti per monitorare il gap di salario tra uomini e donne; sono un’eccezione l’Italia (56%) e la Finlandia (37%) impegnate nell’adozione di misure di controllo e conseguenti misure correttive.