Giovanni Hoz, manager ICT della Sanità, racconta i suoi esordi in pista fino ad arrivare a ruoli prestigiosi riconosciuti a livello internazionale

Giovanni Hoz è abituato sin da giovane ad essere un fuoriclasse, caratteristica questa disciplinata da tenacia e professionalità che hanno forgiato in lui le caratteristiche di un manager IT di spicco. Nelle sue vene scorre sangue svizzero-tedesco – da qui l’origine del cognome dal suono “esotico” – e il padre gli ha subito imposto la legge dell’ordine e della disciplina. Nel suo caso è stata una partenza d’obbligo, perché Giovanni da giovane era uno “scavezzacollo” che ha dedicato cinque anni a correre in auto. Poi la grande occasione grazie a un bando per programmatori in Breda Siderurgica e da lì una scalata verso il successo conquistato gradino dopo gradino, senza scorciatoie. Ed è questo manager specializzato in ICT nel settore della Sanità, che ha portato l’iPad nelle corsie dell’Ospedale san Gerardo di Monza, nonché uno dei dieci membri invitato a far parte dell’Advisory Board di CIOnet Italia, a raccontarsi.

 

Chi è Giovanni Hoz?
Avendo lavorato in aziende molte diversificate, ho potuto maturare un’approfondita esperienza nell’operare sia in realtà fortemente strutturate, sia in contesti dove l’importanza delle attività svolte a supporto del business non fosse necessariamente legata alla qualifica organizzativa e al posizionamento gerarchico. Ho potuto acquisire, oltre alle necessarie competenze, la capacità di affrontare mercati differenti, ma accomunati dall’esigenza di una grande attenzione a razionalizzazione dei costi, forte orientamento al cliente, l’allineamento tra ICT e business e la creazione di sistemi evoluti ad alta affidabilità e non corruttibili.

 

Dalle auto ai sistemi informatici. Come ha iniziato?
A diciannove anni mio padre mi disse: “O ti paghi da solo le corse, o ti taglio i viveri”. Siccome la passione era forte, ho trovato un posto alla Breda Siderurgica e, parallelamente, studiavo alla Cattolica serale. Per cinque anni tutto è funzionato bene. Poi nel ‘75 il colpo di fortuna: in azienda fu pubblicato un bando interno per informatici programmatori. Essendomi diplomato al liceo scientifico e studiando economia, ho pensato che potesse essere in linea con me e, nonostante l’impegno con le corse, ho aderito. È stato magnifico: dà felicità programmare qualcosa che “gira” come si deve.

 

Oltre ai motori!
Sì, certo. Era l’epoca in cui le schede con le istruzioni per i macchinari erano quelle perforate …. (se parlo di questo ai miei figli mi guardano strabuzzando gli occhi); oggi siamo in un periodo in cui molte figure professionali sono scomparse e sono obsoleti persino concetti come memoria RAM e ROM, immissione manuale dei dati, epoche in cui la sicurezza delle informazioni non era certo un problema. Oggi si parla di Cloud Computing, di Disaster Recovery, di mainframe e sembra che siano passati secoli da allora.

 

Lei ha fatto del costante aggiornamento un suo punto di forza
È basilare. Ho insegnato sette anni in Cattolica ricordando agli studenti di non fermarsi mai e continuare a imparare perché la conoscenza è in perenne mutamento. La sicurezza dei dati è un problema molto sentito e complesso. Adesso il più grande terrore dell’informatico è la perdita dei dati e per questo ogni azienda deve stipulare accordi con chi si occupa di Cover Disaster e ciò genera grandi costi e una complessità spesso invisibile agli occhi dell’utenza. Per questo motivo io sto spingendo la Business Continuity verso concetti di Cover Disaster, soprattutto quando si parla di settori come i Data Bank. Questo è uno dei settori più sensibili, ma ve ne sono anche molti altri in cui un blocco del sistema causa danni incalcolabili. Penso ai quotidiani, che se arrivano in ritardo in edicola perdono l’appuntamento col lettore, oppure alla filiera del latte fresco, che se si blocca quintali di latte devono essere buttati. Questi sono esempi per dire che i sistemi informatici non sono il business, però sono un modo per fare business e, soprattutto, nei casi di crisi, per evitare di perdere molto denaro.

 

Gli esempi riportati appartengono al suo background?
Sono stato chiamato al Gruppo Parmalat nel 2004, poco dopo il suo fallimento. Sotto la guida di Enrico Bondi abbiamo riorganizzato la società che poi è stata riquotata in Borsa nel 2005. È stato necessario razionalizzare tutto il gruppo, le piattaforme hardware e software nell’ottica della server consolidation. Avevo già lavorato per dodici anni nel Gruppo Fininvest come Direttore Sistemi Informativi e Organizzazione per lo start-up di Pagine Utili, Standa, per il progetto SAP di Gruppo, Divisione Editoria (TV Sorrisi e Canzoni) e Fininvest Comunicazioni. Questi ruoli mi hanno consentito non solo di entrare in tutte le tematiche gestionali, ma anche di affrontare gli aspetti legati alla produzione, imparando a operare in realtà molto complesse dal punto di vista organizzativo.

 

Poi cinque anni in Aem
La società era la più grande multi-utility locale italiana: nel 2001, ultimo anno della mia permanenza, prima dell’avvio dell’acquisizione della rete Enel di Milano, aveva 2.700 dipendenti, 1.300.000 clienti e fatturava 1.100 milioni di euro; disponeva di impianti di produzione e trasformazione, di reti di trasporto e distribuzione per energia elettrica, gas, illuminazione pubblica, teleriscaldamento. In vista dell’Anno 2000 sono stato anche responsabile di tutte le attività legate al Millennium Bug, un ruolo fondamentale per garantire la regolare erogazione dei servizi essenziali alla vita della città.

 

Come è giunto al settore sanitario?
Dopo un’esperienza al Gruppo Bolton, che detiene marchi come Rio Mare, Manzotin, Omino Bianco, Uhu, Manetti & Roberts, Somatoline e così via, sono diventato consulente ICT nel settore della Sanità, in particolare IEO, Istituto Europeo Oncologico e CERBA, Centro Europeo Ricerche Biomediche Avanzate. Fino a giungere all’Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza.

 

Dove ha partecipato al progetto iPad che ha acceso le luci della ribalta sul nosocomio monzese.
Il San Gerardo di Monza è stata la prima struttura sanitaria italiana a utilizzare il nuovo Apple iPad in corsia, usando un’applicazione iPad nativa. La “tavoletta” Apple è un formidabile strumento di cui dotare medici e infermieri per il loro lavoro quotidiano. Andrea Nobili, esperto di tecnologie informatiche applicate all’ambito sanitario e collaboratore del San Gerardo, verificata le peculiarità del device, ha subito proposto alla Direzione Generale una sperimentazione sul campo. Il reparto prescelto per il progetto pilota è stato quello di Malattie Infettive, diretto da Andrea Gori. La sperimentazione ha coperto le esigenze di prescrizione e somministrazione delle terapie farmacologiche in day hospital del reparto, con una dotazione iniziale di sei Apple iPad, tutti collegati tra loro mediante WiFi protetta. Le modalità di sviluppo prescelte consentiranno successivi sviluppi dell’applicazione, estendendola a ulteriori aree sanitarie, integrandola con archivi, cartelle cliniche preesistenti e apparecchiature elettromedicali.

 

Lei è membro di CIOnet Italia. Di che cosa si tratta?
È il primo social network internazionale interamente dedicato ai CIO e responsabili dei sistemi informativi di grandi aziende. A fine giugno la community riuniva 1465 membri, ma mancavano ancora i CIO di Francia, dove è appena sbarcata, di Germania e Scandinavia. A livello europeo l’obiettivo dichiarato è di raggiungere i 2000 iscritti entro la fine dell’anno, per poi raddoppiare nel 2011. In Italia sono cinquanta i CIO che hanno dato la loro adesione al network. Tra questi Enzo Bertolini, CIO del gruppo Ferrero, che è stato nominato Presidente dell’Advisory Board di CIOnet Italia. Oltre allo sviluppo di riflessioni professionali è fondamentale il contributo di concretezza ed esperienza, maturata da ciascuno di noi, nella vita reale delle nostre aziende, per far sì che il network rappresenti un reale ambito di mutua crescita e accelerazione di decisioni. CIOnet è nato dall’idea di Hendrik Deckers con quattro importanti obiettivi: costruire relazioni, condividere conoscenze, scambiare idee, fare amicizie. I primi passi sono stati fatti in Belgio nel 2005 e da allora è stato un crescendo di iniziative e di adesioni, tutte autenticamente Web 2.0. Io sono uno dei dieci membri dell’Advisory Board di CIOnet Italia.