Se si adottasse la tecnologia nucleare nel nostro Paese i costi dell’energia si ridurrebbero di circa il 30% e si abbatterebbero drasticamente le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera. Non solo: si potrebbero creare almeno 10 mila nuovi posti di lavoro. E’ quanto in sintesi sostiene lo studio realizzato da The European House – Ambrosetti per Enel e Edf

In sintesi, la scelta del nucleare starebbe in pochi numeri. Se in Italia fosse avviato il ciclo di produzione di energia elettrica da uranio (o altri elementi) ciò consentirebbe di far risparmiare il 30% circa sui costi della bolletta. Permetterebbe di ridurre almeno del 20% l’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera. E darebbe vita a oltre 10 mila nuovi posti di lavoro. Questa è la versione che Enel e Edf hanno presentato con lo Studio Ambrosetti in un volume dal titolo “Il nucleare per l’economia, l’ambiente e lo sviluppo” al recente meeting di Villa d’Este a Cernobbio. Un documento articolato per dare suggerimenti e stimoli al governo e all’opinione pubblica sul perché la decisione del nucleare debba essere perseguita con la massima sollecitudine.

 

Le previsioni
La ricerca fissa una data: il 2030. Anno nel quale si proiettano tre ipotetici scenari. Uno, il primo, tradizionale, sarebbe la continuazione del quadro attuale, nel quale sarebbero mantenute le politiche in corso prevedendo anche l’attuazione del Piano d’Azione Nazionale per le rinnovabili, il cosiddetto Pan, e il raggiungimento del Pacchetto sul Clima Ue 2020 (dunque 73% di energia da combustibili fossili e 27% da rinnovabili). Il secondo scenario sarebbe quello alternativo, nel quale le fonti rinnovabili sarebbero valutate al massimo del loro potenziale raggiungibile al 2030 (quindi 62% da fossili e 38% da rinnovabili). Infine, il terzo scenario sarebbe quello integrato, con l’inserimento del nucleare come fonte ausiliaria, secondo le indicazioni qualitative e quantitative definite dal governo Berlusconi (48% da fossili, 27% da rinnovabili e 25% da nucleare). Orbene, a fronte di una stessa domanda e di una stessa produzione di energia elettrica (rispettivamente di 439 e di 407 TeraWattora, il costo di generazione dell’energia elettrica sarebbe di 49 miliardi di euro nel primo caso, di 53 miliardi nel secondo e di 44 miliardi nel terzo. L’importazione di energia da fonti primarie si ridurrebbe da 27 miliardi di euro della prima ipotesi ai 27 miliardi della seconda, ai 21 miliardi di euro della terza. “I vantaggi economici sarebbero notevoli – ha precisato a margine del convegno di presentazione Fulvio Conti, Amministratore Delegato del Gruppo Enel – ma non sarebbero gli unici, perché ci sarebbero anche ricadute ambientali e sociali”.

 

I vantaggi
Il rapporto prende in considerazione e illustra anche i vantaggi dell’impatto ambientale. Con la prosecuzione delle tendenze in atto, senza sostanziali modifiche all’assetto produttivo dell’energia, il sistema andrebbe incontro ad una spesa per l’emissione della anidride carbonica pari a 9 miliardi di euro, che scenderebbero a 7,7 nel caso fosse applicato il secondo modello e a 6,4 miliardi di euro, nel caso in cui si facesse entrare in scena anche l’atomo elettrico. Si tratta di stime valutate provvisoriamente e per il massimo del loro effetto, dal momento che – come si sa – grazie all’applicazione del Protocollo di Kyoto le quote di produzioni aggiuntive di anidride carbonica devono essere compensate con l’acquisto di certificati sul mercato. A ciò si aggiunga che la costruzione delle centrali nucleari darebbe vita a 9 mila posti di lavoro direttamente legati alla progettazione e alla realizzazione degli impianti. A questa cifra si dovrebbero poi sommare i 1500 posti di lavoro per la loro manutenzione nel tempo. Si tratta anche in questo caso di stime alquanto provvisorie, che meritano di essere riviste e aggiornate in funzione degli eventi. Considerando così anche il fatto che finora non è stato avviato il ruolo della costituenda Agenzia per la sicurezza nucleare, in grado di movimentare specializzazioni indotte.

 

I numeri
E’ ovvio che Enel e Edf, che guidano un consorzio candidato alle costruzioni degli impianti, sono direttamente coinvolte nel programma, con interessi anche notevoli. Nella quota del 25% di produzione di energia elettrica dal nucleare nel mix produttivo del 2030 (secondo le intenzioni dello stesso esecutivo) le due società puntano a coprire almeno il 40-50% di questa percentuale, pari ad almeno 4 centrali da 12-13 mila MegaWatt ognuna. Sull’investimento complessivo, di circa 40-45 miliardi di euro, Enel e Edf vorrebbero pesare per 20 miliardi e giocare un ruolo di partner strategico per il Paese. Un’ambizione di tutto rispetto, suffragata dalla cultura e dalle conoscenze che entrambi i gruppi possono vantare.

 

Effetti per il sistema
Al di là del fatto che Enel e Edf vadano a braccetto nel sostenere i piani del governo, occorre considerare che in Italia già oggi esistono circa 40 imprese che lavorano nel settore nucleare con esperienze dirette e con professionalità collegate. Tutte queste realtà produttive sono certificate e contribuiscono alla realizzazione di centrali nucleari all’estero, nei paesi dove i piani di sviluppo dell’energia dall’atomo sono in espansione. L’avvio di un programma nucleare darebbe ossigeno anche a queste realtà. Un fattore di sviluppo che lo studio presentato a Cernobbio prende in considerazione. Ci sarebbero infatti vantaggi economici per il sistema nel suo complesso. Almeno il 65% degli ordini potrebbe essere assegnato a queste aziende italiane, per un giro d’affari di almeno 25 miliardi di euro. Senza dimenticare il possibile sviluppo sul mercato planetario, dove nei prossimi anni sono attese commesse – per i soli reattori – pari a circa 400 miliardi di euro.