INDICE DI FIDUCIA SUGLI INVESTIMENTI IN INNOVAZIONE TECNOLOGICA   La misura della propensione agli investimenti in innovazione tecnologica   “L’impresa è per eccellenza il luogo dell’innovazione e dello sviluppo” – Joseph A. Schumpeter –     L’Indice di fiducia Ifiit risale leggermente e dai 66,60 punti della rilevazione precedente si porta agli attuali 66,90 punti. […]

INDICE DI FIDUCIA SUGLI INVESTIMENTI IN INNOVAZIONE TECNOLOGICA

 

La misura della propensione agli investimenti in innovazione tecnologica

 

“L’impresa è per eccellenza il luogo dell’innovazione e dello sviluppo”
– Joseph A. Schumpeter –


 

 

      • L’Indice di fiducia Ifiit risale leggermente e dai 66,60 punti della rilevazione precedente si porta agli attuali 66,90 punti.
      • I comparti dove si registrano i più alti livelli di attenzione verso gli investimenti in innovazione restano il bancario-assicurativo, il mondo della grande industria, il comparto dell’energia. Ritracciano le telecomunicazioni, recupera l’editoria.
      • Sostanzialmente stabile la propensione all’investimento in Information technology da parte del made in Italy tradizionale (metal-meccanica, trasporti, moda, agroa-alimentare).
      • Il calo della fiducia più consistente si rileva per il terzo mese consecutivo nel settore dell’edilizia, che mostra segnali contrastanti. Parziale recupero nel mondo professionale. In ordine sparso le piccole imprese e le attività commerciali.
      • Sul tema del digital divide, resta in sostanza stabile la percentuale di imprenditori che reputano il nostro Paese ancora lontano dagli standard qualitativi di altri sistemi tecnologicamente avanzati.
      • La propensione ad investire in innovazione tecnologica è in ripresa nel Centro e in particolare nel Lazio e in Emilia-Romagna, resta alta in regioni come la Lombardia, si flette leggermente in Piemonte e in Campania. Stabile nelle altre aree del Paese.

 

Cresce il divario tra grande e piccola industria
Mentre l’apparato istituzionale italiano si interroga sul futuro della vita politica del governo e della sua maggioranza, gli industriali guardano con particolare attenzione anche allo sviluppo delle riflessioni comunitarie sul tema del debito pubblico, sulla cui mancanza di controllo rischia la stessa tenuta dell’euro. L’asse franco-tedesco, che anima la condotta della Banca Centrale Europea, spinge per una politica di bilancio più rigorosa, al fine di tutelare il rispetto dei parametri di Maastricht (con la definizione del rapporto debito/Pil al 60%). Secondo indiscrezioni filtrate a Ifiit Research da Bruxelles, una parte degli eurocrati (quella che si affida alla cultura franco-tedesca della Bce) vorrebbe che i Paesi più a rischio dell’Unione per il loro elevato indebitamento (Portogallo, Irlanda, Grecia, Italia, Spagna) scorporassero la parte eccedente il 60% del debito per affidarlo a un Fondo Internazionale di garanzia (magari gestito dallo stesso FMI) lasciando il rischio di investimento nelle mani dei soli sottoscrittori: in questo modo la Banca Centrale Europea si toglierebbe dallo scomodo ruolo di ultimo pagatore dei debiti europei. Contro questa iniziativa ha reagito il ministro italiano delle finanze, Giulio Tremonti, che ha invece proposto di istituire obbligazioni comunitarie, gli Euro-Bond, per garantire la piena solvibilità dell’intera area economica dell’euro. Questi fatti (scenario politico interno e quadro istituzionale comunitario) rischiano di avere un peso significativo sulla tenuta della fiducia degli operatori economici. La propensione ad investire in nuove tecnologie (di organizzazione, di processo e di prodotto) si sta divaricando ancora di più: mentre le grandi aziende, già internazionalizzate e dalle dimensioni consolidate, mostrano una elevata aspettativa di sviluppo e quindi, ad esempio, di pianificazione degli investimenti in Itc, le piccole e le medie imprese si mostrano decisamente più sguarnite – non solo di mezzi ma anche di fiducia – rispetto ad una politica di crescita funzionale, organizzativa e produttiva. In questo clima di relativa stabilità, l’Indice Ifiit, che passa dai 66,60 punti del mese precedente agli attuali 66,90, mette in luce un contrasto interno al sistema produttivo. Le grandi industrie viaggiano su posizioni tecnologicamente avanzate; le medie viaggiano in ordine sparso, in funzione della congiuntura, degli ordini internazionali e della collocazione territoriale. Soffrono le piccole realtà, dove la propensione agli investimenti è in sensibile calo. Anche un recente studio del Centro Studi di Confindustria (CSC) – che si riporta in sintesi nel consueto Focus mensile di Ifitt Report – mette in luce questa tendenza, che potrebbe condurre ad un forte divario tra l’arcipelago delle grandi aziende multi nazionalizzate e il diffusissimo mare delle piccole imprese, sottocapitalizzate e sotto-funzionalizzate.

 

I settori che mantengono alta (o che risentono del calo degli investimenti in innovazione in misura inferiore) rispetto alla media del Paese
Grandi gruppi bancari e assicurativi, società del mondo dell’energia, imprese multinazionali della meccanica: sono questi i profili delle aziende che manifestano i più alti livelli di propensione all’innovazione tecnologica. Da loro ci si attende una conferma agli investimenti anche nel corso del 2011. In questo quadro sono presenti anche società delle telecomunicazioni e dell’editoria, anche se per segmenti applicativi specifici (videocomunicazione integrata soprattutto).

 

I settori che mostrano una propensione agli investimenti in innovazione tecnologica allineata ai valori della media nazionale dell’Indice
Ampi settori del classico Made in Italy (metalmeccanica, moda, legno-arredo) restano allineati ai valori medi dell’Indice Ifiit nel suo complesso e confermano la situazione di generale stabilità dell’umore della base imprenditoriale. Scarsi spunti si rintracciano nel mondo agro-alimentare e nella logistica, settore, quest’ultimo, che sembra aver raggiunto un suo livello di maturità.

 

I settori che mostrano una propensione agli investimenti in innovazione inferiore ai valori della media generale dell’Indice o che presentano sensibili scostamenti dal livello del mese precedente
Il comparto dell’edilizia manifesta ancora un sensibile ribasso, accompagnato dalla repentina flessione dell’elettromedicale, che sembra aver esaurito la sua spinta propulsiva (secondo un operatore del Focus Group di Ifiit interpellato a proposito, pesano i tagli della finanziaria ma soprattutto i ritardi dei pagamenti da parte degli ospedali e dell’amministrazione pubblica, dove la media della durata di attesa è pari a 16 mesi con punte di 36 mesi). Il livello di fiducia degli studi professionali e delle libere attività resta sostanzialmente in linea con la precedente valutazione, mentre si indeboliscono le aspettative da parte delle piccole e delle micro realtà imprenditoriali.

 

Il digital divide
Resta allineata intorno al 43%, come nel mese precedente, la percentuale degli operatori che ritiene in aumento il digital divide rispetto agli altri paesi più avanzati (sul tema e sulle potenzialità che il nostro Paese potrebbe esprimere attraverso l’avvio della Banda Larga vedi il Focus mensile).

 

L’innovazione tecnologica nelle diverse aree geografiche
In leggera ripresa la propensione ad investire nelle aree del Centro Italia (Lazio e Marche), mentre il Veneto manifesta ancora segnali di indebolimento, che si scorgono anche in Piemonte e in Campania. In recupero l’Emilia-Romagna, stabilità in Lombardia (su posizioni elevate) e in gran parte del Meridione (su livelli più bassi).

 

Focus: Industriali e investimenti ITC
Presa di coscienza degli industriali sul problema degli investimenti in innovazione tecnologica (informatica e telecomunicazioni). Nell’ultimo report del Centro Studi di Confindustria (CSC) – dove si tracciano le previsioni dell’economia nazionale rivedendo al ribasso la crescita del Pil, che a fine del 2011 si dovrebbe attestare ad un +1% – appare finalmente evidente quanto l’adozione dei nuovi strumenti tecnologici sia da considerare come un autentico fattore di rilancio e di sviluppo generale delle imprese e del sistema-Paese. Alla questione è stato dedicato un intero paragrafo articolato, dove vengono snocciolate cifre sull’andamento della diffusione delle tecnologie nei capannoni e negli uffici. Ne emerge un quadro abbastanza deludente per quanto riguarda la situazione attuale, a testimonianza di quanto sia contestualmente avvertito il disagio per il “digital divide”. Secondo lo studio, infatti, la diffusione dell’Ict di base tra le micro-imprese si attesta al 42% (contro l’86% delle analoghe imprese tedesche). La tendenza non è migliore se si considerano le percentuali dei lavoratori che utilizzano il computer sul loro posto di lavoro almeno una volta la settimana. Mentre in Germania il 61% degli addetti usa il computer, nel nostro Paese la percentuale si ferma al 43%. Come si vede il divario è piuttosto sensibile, trattandosi di micro-imprese, quelle con meno di 9 dipendenti. Le cose migliorano un po’ se si vanno ad analizzare le cifre per le imprese di medie e grandi dimensioni, dove il 95% dei dipendenti utilizza il computer e si collega ad internet. Dunque, l’Italia dell’attività produttiva è divisa in due: da una parte le grandi realtà produttive dove l’Ict è ampiamente diffusa e utilizzata (al pari delle altre nazioni avanzate con cui il sistema-Paese vuole confrontarsi) e dall’altra le piccole e le micro realtà dove invece il grado di applicazione è ancora piuttosto basso. Se si considera che circa il 90% del mondo produttivo italiano è costituito da realtà di piccole e di ridotte dimensioni il quadro che emerge evidenzia una grande potenzialità ancora inespressa, che da sola sarebbe già in grado di ridare fiato alla spinta propulsiva. “Se nei dieci anni prima della crisi, tra il 1997 e il 2007, – spiega lo studio di Csc – il capitale Ict fosse cresciuto in Italia allo stesso ritmo con cui è cresciuto in Gran Bretagna, il suo contributo alla crescita del Pil sarebbe stato di almeno 3 punti percentuali complessivi nel periodo considerato”. Perché si è accumulato questo gap? Il report risponde sostenendo che “tra le principali barriere all’adozione di nuovi strumenti Ict spicca l’incapacità di cogliere i vantaggi operativi”. Ci sarebbe dunque, al fondo della questione, un problema di conoscenza, di atteggiamento e di disponibilità al cambiamento alquanto carenti. Come e dove sarebbe invece possibile recuperare il divario che si è accumulato? Per il Csc le aree individuate dove si potrebbe intervenire per riavviare un processo virtuoso sono i sistemi di produzione, la produttività individuale, la tele-medicina, l’e-learning, l’e-government e la pubblica amministrazione. A questo punto la tendenza unificante che potrebbe risolvere gran parte del divario è costituita proprio dalla Banda Larga: Confindustria ha espresso al governo un parere favorevole – se non una vera e propria raccomandazione – perché venga sviluppata l’operatività di una società per la realizzazione della rete nazionale di fibra ottica, anche con meccanismi di partnership pubblico-privato. Perché tutto ciò diventi una realtà concreta, “occorre un cambio di mentalità, che sappia cogliere l’enorme potenzialità di sviluppo finora inespressa”.


(Elaborazione del documento di sintesi a cura di Paolo Gila, Supervisor Ifiit Research)

 

 

Questo documento è una sintesi della ricerca mensile che viene effettuata su un campione qualificato e rappresentativo dell’economia italiana. Lo studio viene curato da Ifiit Research, la divisione Ricerche di mercato del Gruppo Mat Edizioni. L’indice e la sintesi mensile sono recuperabili gratuitamente attraverso il sito www.bitmat.it. Coloro che, come aziende o come privati, volessero approfondire gli aspetti della ricerca Ifiit o avvalersi della struttura di Ifiit Research per compiere sondaggi, rilevazioni, ricerche di mercato o altro, possono rivolgersi a:

Ifiit Research
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