La crescita economica mondiale è tale da poter riavviare la produzione delle aziende del made in Italy tradizionale

I centri di analisi economica confermano che le tendenze in atto sono vigorose per alcuni comparti come l’abbigliamento, l’alimentare, l’arredo e la meccanica. La domanda di prodotti italiani è in sensibile aumento in alcuni nuovi Paesi emergenti, mentre è in ripresa in realtà come Germania e Stati Uniti, da sempre approdo della nostra produzione tipica. Restano invece deboli le PMI che sono quasi esclusivamente orientate al consumo del mercato interno, ancora debole e prudente.
Strano a dirsi e a credersi. Eppure è così: il sistema produttivo italiano, caratterizzato dalla diffusione di piccole e medie imprese, viene raccomandato da economisti di fama mondiale come il modello da imitare e perseguire. Ultimo in ordine di tempo (dopo i vari Modigliani e l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton) è stato il premio nobel per l’economia, Joseph Stiglitz. Con un editoriale pubblicato sul quotidiano La Stampa, l’ex capo economista della Banca Mondiale esortava gli Stati Uniti a seguire l’esempio della dinamicità del settore manifatturiero italiano. Certo, per quanto riguarda la creatività e la velocità siamo ai primi posti. Ma per quello che concerne altri indicatori come la competitività e la pressione fiscale? Qui le cose cambiano. E notevolmente. L’ultimo Rapporto globale sulla competitività del World Economic Forum ci colloca al 48esimo posto nella classifica mondiale, mentre lo studio Paying Taxes della Banca Mondiale ci assegna ancora un non poco invidiabile primato: le nostre imprese restano le più tassate al mondo. Come si può pensare, in queste condizioni, di attrarre investimenti produttivi dall’estero? “La cosa più difficile – sostiene Marco Nardi, vicepresidente Confapi di Milano e presidente nazionale di Unionmeccanica – è continuare a fare impresa in Italia. Manca una politica seria di sostegno e sviluppo per le imprese manifatturiere, in più le amministrazioni locali sembrano siano quasi ostili agli insediamenti industriali”. Nonostante tutto, tornando al rapporto sulla competitività e osservando il verso luminoso della medaglia, il World Economic Forum assegna al nostro Paese il primato mondiale per quanto riguarda la competitività dei suoi distretti, un tema caro a Marco Fortis, che da anni dirige il Centro Studi della Fondazione Edison e che monitora, giorno dopo giorno, l’andamento dei circa 250 distretti nazionali. Per l’abbigliamento, l’alimentare, la meccanica e i trasporti l’andamento non è affatto negativo. I segnali di ripresa sono in atto e questi settori potrebbero consolidare la crescita. Certo, lo sfondo resta ancora alquanto incerto: l’Istat prevede che il Pil italiano, dopo il calo del 5% nel 2009 e la timida ripresa del 2010 (+1%) possa registrare ancora un leggero aumento nel corso dei prossimi anni (+1,2% nel 2011 e +1,3% nel 2012). Per tornare ai livelli pre-crisi servirà ancora tempo. Ma sono in molti a sostenere che per le PMI italiane l’anno della svolta potrebbe essere proprio il 2011.

Verso aree profittevoli
Per l’Ocse la marcia dell’economia mondiale sarà quest’anno “graduale e irregolare”, mentre il Fondo Monetario Internazionale la prevede “a due velocità”. Ma è certo che il peggio si può considerare alle spalle. Da questa consapevolezza si sviluppa uno scenario decisamente più favorevole e per questa ragione “il 2011 potrebbe rappresentare l’anno del giro di boa per molte imprese italiane”, almeno così sostiene l’economista Luigi Campiglio, prorettore dell’Università Cattolica di Milano. Questa prospettiva è confortata dai alcuni dati statistici. L’ultima rilevazione Istat della produzione industriale evidenzia che a novembre del 2010 essa è cresciuta dell’1,1% rispetto a ottobre (quando aveva fatto segnare un + 2,9%). Su base annua la produzione industriale italiana è cresciuta di oltre 4 punti percentuali, trainata da una ripresa della domanda su scala europea e mondiale. Per il Centro Studi di Intesa Sanpaolo, dove il responsabile delle ricerche macroeconomiche è Luca Mezzomo, “la crescita dell’economia mondiale nel corso dell’anno si potrebbe attestare al 4,4%, in leggero calo rispetto all’andamento del 2010”. In questo quadro gli Stati Uniti potrebbero portarsi ad un + 3,1 (dal + 2,8% del 2010); in forte accelerazione l’economia dell’Europa orientale, mentre la zona euro dovrebbe crescere ad una media dell’1,7%. Motore della crescita europea sarà ancora una volta la Germania, paese verso il quale guardano con particolare attenzione le piccole e medie imprese italiane. Quindi un primo panorama è designato: il made in Italy guarda con interesse alla ripresa dei consumi statunitensi e alla domanda di beni e strumenti da parte della Germania. Su questi due pilastri si gioca un piano di rilancio che si può estendere anche da altre aree. Per Giulio Sapelli, ordinario di Storia economica all’Università Statale di Milano, “è necessario considerare alcuni paesi dell’Europa orientale, ma soprattutto all’India e al Brasile, paese, quest’ultimo, che potrebbe diventare la Germania del futuro”. Oltre a queste nazioni, senza peraltro escludere realtà importanti come Cina e Russia, molto promettenti sono anche alcune aree che rappresentano i nuovi bastioni dello sviluppo e che proprio nel 2011 potrebbero confermarsi ai primi posti dell’attrattività del Made in Italy. Sono l’Egitto, la Polonia, il Vietnam, la Turchia e la Corea del Sud, dove la crescita è vigorosa e dove la domanda di beni e apparecchiature, strumentazioni e macchinari, è in sensibile ampliamento. “In queste nuove economie il ruolo delle Pmi italiane può essere interessante”, sostiene Roberto Giovannini, responsabile del middle market in Kpmg. Questi Paesi vanno ad allargare il novero dei Paesi emergenti. Secondo Alessandro Terzulli, senior economist di Sace, “nel futuro un ruolo di rilievo sarà giocato dalle classi medie dei Paesi emergenti. Oggi in questa casistica ne annoveriamo una dozzina, nella quale vivono circa 2 miliardi di persone. In queste nazioni le classi medie hanno ad oggi un potere di spesa per consumi pari a circa 7 mila miliardi di dollari”.

Alcune previsioni
In questa nuova torta di 7 mila miliardi di dollari intendono tuffarsi molti imprenditori italiani, per conquistare fette e quote di mercato. Alla luce di queste considerazioni, per il prossimo biennio Sace prevede un aumento delle esportazioni del Made in Italy nei Paesi emergenti così composto: agroalimentare +5,8%, mobili e arredo + 8,2%, moda +7,2%, beni di lusso accessibile + 6,4%. Queste sono le previsioni. Invece, per i dati storici, come è andata? Come sempre, in questo ambito, i dati più particolareggiati vengono offerti ancora una volta dalla Fondazione Edison. Secondo cui “per 101 dei circa 250 distretti nazionali, già nel corso del 2010 le esportazioni sono aumentate del 10,5%”. A trainare di più lo sviluppo è stata sia la crescita della domanda dei Paesi emergenti, sia la ripresa delle attenzioni da parte delle economia forti, come Stati Uniti, Germania, Canada, Giappone, Arabia Saudita e Russia. I settori maggiormente coinvolti in questo processo dinamico sono stati: abbigliamento moda, dove le esportazioni nel 2010 sono cresciute del 10,8%, arredo-casa (+5,8%), automazione e meccanica (+14,9%), high-tech (+ 7,4%), alimentari e bevande (+4,7%). E’ probabile che questa tendenza venga confermata anche nel corso dei prossimi mesi, a conferma di un consolidamento dei segnali di ripresa che riguarderanno quasi esclusivamente le società esportatrici perché, per quanto riguarda il mercato interno, la situazione appare ancora piuttosto debole e incerta. Confcommercio ha infatti stimato che il calo dei consumi interni (-2,1% nel corso del biennio 2008-09) potrebbe essere riconfermato anche nel biennio 2010- 11, mentre solo a partire dal 2012 si potrebbero ravvisare segnali più consistenti di fiducia e di ripresa.