Lasciato alle spalle un biennio difficile per la crisi e per le ristrutturazioni organizzative, il mondo bancario italiano è chiamato ad affrontare ora un periodo di rafforzamento

Alcuni indicatori come la redditività mostrano segnali di recupero e molti analisti concordano: si può affrontare il futuro con più ottimismo. I dividendi delle azioni delle società bancarie sono attesi stabili,anche a causa degli effetti dell’attuazione dell’accordo di Basilea 3 e dell’imminente rinnovo contrattuale che interessa la categoria.

La platea degli analisti e degli operatori tecnici è concorde: nel corso dei prossimi mesi la contabilità dei maggiori istituti di credito italiani dovrebbe volgere al bello. Nel senso che potrebbe migliorare a tal punto da poter generare un afflato di ottimismo, anche se cauto. In particolare, brilla per entusiasmo un report della UBS, secondo cui “le maggiori banche italiane potrebbero mettere a segno alcune delle migliori performance a livello globale, sia sul fronte del dividend yeld, inteso proprio come rapporto tra dividendo annuale e prezzo dell’azione, sia su quello del payout ratio, che rappresenta la percentuale dell’utile distribuito sotto forma di dividendi”. Con un dividend yeld atteso a fine del 2011 ad almeno il 5,6%, le banche italiane sarebbero superate a livello mondiale solo dagli istituti di credito australiani (6,9%) e farebbero meglio delle banche francesi, tedesche, spagnole e americane. Per UBS, nella graduatoria del dividend yeld delle 20 migliori banche a livello internazionale sono presenti ben quattro istituti italiani. Al quinto posto si rileva la Banca Popolare di Milano (7,2%), al dodicesimo posto Unicredit (Dividend yeld atteso al 6,2%). Si trovano poi al sedicesimo posto Banca Intesa Sanpaolo (5,9%) e al diciannovesimo Mediobanca (5,7%).

Le ragioni della speranza
Coloro che scrutano le voci dei bilanci bancari sono favorevolmente impressionati dalla bassa presenza dei titoli tossici: la loro quota è molto bassa, pari a un terzo della media europea. I concorrenti degli altri Paesi hanno incamerato molti più bond a rischio di quanto non abbiano fatto gli istituti italiani e questo favorisce, ora, un giudizio più roseo verso le attività bancarie della Penisola. In aggiunta c’è da considerare un secondo fattore: le banche italiane sono assai meno coinvolte delle banche francesi e tedesche al rischio sovrano di altri Paesi come la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo e la Spagna. Un terzo elemento che contribuisce a riportare la fiducia sull’andamento dei conti delle attività bancarie è legato indubbiamente alle ristrutturazioni. Realtà come Intesa e Unicredit (ma non sono le uniche) hanno dato mano ad un pesante processo di riorganizzazione e di riorientamento delle attività, con l’effetto di snellire la piramide gerarchica e di migliorare l’efficienza complessiva.

I dubbi all’orizzonte
Non ci si deve però nascondere dietro un dito. I rischi esistono ancora e sono fattori di debolezza in grado di intralciare il cammino delle banche. Una nuova crisi del debito sovrano in Europa, la possibilità che il vento della sfiducia possa intaccare anche il nostro Paese e il suo sistema del credito non è una possibilità così lontana e da scartare a priori. La situazione del debito pubblico italiano è sotto controllo, ma il suo stock è così elevato che non deve essere accantonato come un problema marginale. A ciò si aggiunga che la necessità di rafforzare il patrimonio di vigilanza (per gli accordi di Basilea 3) imporrà una maggiore attenzione sulle attività contabili, sull’erogazione di crediti, sulla fidelizzazione della clientela e degli azionisti. Per questa ragione, secondo UBS, la “politica di distribuzione dei dividendi dovrà essere contenuta”, anche se è probabile che , stimato il payout medio nazionale al 43%, possa essere comunque più generoso di quella adottato dagli altri istituti europei. A tutte queste considerazioni si aggiunga che nei prossimi mesi potrebbero riaccendersi alcune tensioni sindacali. Nel corso del 2011 torna in discussione il contratto di lavoro dei bancari. Sono circa 350 mila gli interessati al rinnovo contrattuale, che avrà al centro tanto alcuni cambiamenti di tipo normativo quanto di carattere economico. Le nove sigle sindacali che tutelano i dirigenti e i lavoratori del settore del credito sono chiamate a fronteggiare una direzione dell’Abi che pare restia a concedere generose concessioni, soprattutto di tipo retributivo. La parte datoriale sta approntando alcuni progetti di massima, su cui è stata posta una cortina di silenzio, in vista delle prossime sfide, ma è certo che la leva del contenimento dei costi d’impresa sarà posta come pilastro centrale della futura contrattazione.

Chi paga il conto?
Non c’è dubbio che l’ago della bilancia si sposterà sul peso dei fattori di crescita o su quelli critici in relazione all’andamento dell’economia generale. Dopo una pesante flessione del Pil nel 2009 (-5,1%), il nostro Paese ha chiuso il 2010 con un parziale recupero (intorno all’1%). Secondo le previsioni di importanti centri di ricerca (Ocse, FMI e altri) la crescita della ricchezza del nostro Paese dovrebbe mantenersi sull’1,1% per il 2011 e sull’1,2 – 1,4% nel 2012. Come si può facilmente intuire – e come hanno confermato economisti come Mario Deaglio – occorreranno alcuni anni per poter recuperare quanto è andato perduto. Ciò significa che il mondo bancario dovrà adeguarsi all’andatura di marcia del Paese e del suo tessuto industriale, dove saranno più forti le aziende e i distretti orientati alle esportazioni. In questo quadro diversi osservatori sono convinti che anche per il settore bancario sia necessario avviare un periodo di relativa stabilità e serenità, per superare il guado di un periodo dove crisi e sviluppo si intrecciano ancora confusamente. In campo sono scese anche alcune associazioni di consumatori, che chiedono di non far scaricare i costi della crisi e dell’inefficacia del sistema del credito sui singoli risparmiatori. “I costi del conto corrente in Italia sono tra i più alti in Europa”, recitano in coro queste associazioni, pronte a fare battaglia per evitare aumenti nelle operazioni bancarie. Per le famiglie ad operatività il costo del conto corrente, già aumentato del 5,3% nel corso del secondo semestre del 2010, potrebbe ancora essere ritoccato all’insù nei prossimi mesi. Stessa sorte per i pensionati, che nel 2010 hanno già subito un rincaro medio del 6,5%. Un’altra voce da tenere d’occhio e che interessa il mondo dei professionisti, degli artigiani e delle piccole e medie imprese è quella del fido bancario: attenzione anche qui ai rincari. A testimonianza che il costo del sistema potrebbe essere scaricato non solo su famiglie e risparmiatori, ma anche sulla sfera produttiva. Nella sfida contrattuale tra Abi e sindacati, con ogni probabilità prevarranno prudenza e tatticismo, all’insegna della moderazione, perché la cornice del Paese non è così ancora chiaramente impostata sulla crescita e sulla possibilità di mostrare generosità illimitata. Per nessuno. Anche se poi, a farne le spese, potrebbe essere ancora una volta Pantalone.