Quando si fanno delle nuove iniziative i soci sono normalmente pieni di entusiasmo e non pensano certamente che in futuro qualcosa potrebbe anche non funzionare nei rapporti reciproci

Conseguentemente, non si pone sufficiente attenzione preventiva a tale eventualità. Inoltre, quando le cose vanno bene tutti sembrano andare d’accordo, ma quando ci sono le difficoltà si amplificano le differenze di vedute ed interessi ed è in quel momento che ognuno rimpiange di non aver pensato prima a proteggere la propria posizione attraverso i patti parasociali.

 

Nel momento costituente di nuove iniziative i consigli di avvocati prudenti, che ne hanno viste di tutti i colori, sono spesso inascoltati; parlare di possibili problemi in un momento di grande positività sembra addirittura essere di malaugurio. Alla fine, i patti parasociali, qualora ci fossero, sono scritti in modo svogliato e con poca attenzione. A posteriori, invece, ci sono tantissimi casi di problemi la cui soluzione non è stata prevista in termini contrattuali ed è lasciata ai rapporti di forza; la parte più debole maledice il momento in cui non si è attivata per ottenere una qualche tipo di protezione. Talvolta il più debole è chi ha la maggioranza e si comporta responsabilmente ma è sottoposto ad il ricatto di una minoranza che ha poco da perdere o non è razionale.
Sono stati scritti libri di grande profondità giuridica sui patti parasociali; ma la scelta di quali clausole adottare è un compito dei soci; l’esperienza pratica consiglierebbe di evitare gli errori più frequenti che sono:

1. Non trasferire in statuto i patti parasociali; i patti parasociali non possono avere validità superiore ai 5 anni, mentre lo statuto dura fintantoché non è cambiato. Con le recenti evoluzioni del diritto societario è possibile inserire in statuto, attraverso la strutturazione di diverse classi di azioni o strumenti partecipativi, anche dei diritti/obblighi tipici dei put e dei drag along/tag along e di nomina dei propri rappresentanti nei Consigli.

2. Quorum costitutivi o per le maggioranze che impediscono di prendere decisioni importanti in situazioni di crisi; normalmente sono previste maggioranze qualificate per difendere il socio di minoranza da un abuso del socio maggioritario in occasione, per esempio, di aumenti di capitale o di decisioni che si scostano dal business plan approvato al momento costitutivo dell’iniziativa; certe volte però la minoranza si oppone, in modo ricattatorio e strumentale, ad un aumento di capitale necessario per non rompere i covenants e sarebbe quindi opportuno escludere queste fattispecie dai quorum qualificati.

3. Risoluzione dello stallo; normalmente si pattuisce che un socio possa iniziare uno “shootout” (detto anche il patto del cow-boy) ma tale diritto sfavorisce il socio finanziariamente più debole o più lontano dall’operatività (per la minor conoscenza delle effettive condizioni aziendali); si può ovviare con una tempistica abbastanza lunga (mesi) che permetta al socio più debole di farsi affiancare da un altro socio finanziariamente forte ma che deve esser messo in condizione di comprendere bene la realtà aziendale attraverso attività di due diligence.

4. Governo delle maggioranze nei Consigli. Ci si dimentica di stabilire dei meccanismi di dimissionamento o nomina dei Consiglieri che diano all’azionista il diritto di farsi rappresentare da chi vuole. Capita talvolta che un consigliere nominato da una parte venga in conflitto con la stessa (per esempio a causa del suo licenziamento) e non dia le dimissioni cambiando così, di fatto, l’equilibrio nel Consiglio. Non si può contare sulla eterna lealtà di un consigliere.

5. Meccanismi che rendono liquidabile la quota del socio dissenziente a valori in linea con i valori di mercato. In momenti di crisi e di grandi incertezze imperversa l’arbitrarietà delle valutazioni. Talvolta si stabilisce che in caso di disaccordo sulla valutazione si proceda alla vendita del 100% delle azioni, ma se l’azienda è in stato di crisi la vendita può non essere realizzabile o conveniente; l’unica difesa, comunque, è un rinvio di uno o due anni della vendita forzata.

6. Il problema dei conflitti di interesse; se uno dei soci è un industriale, che vede la propria partecipazione come permanente, e l’altro è finanziario/temporaneo, i conflitti di interesse sono all’ordine del giorno; occorre contrattualizzare bene tutti i rapporti infragruppo e le modalità di distribuzione dei dividendi e prevedere le penalità in caso di inadempimento.

7. Ricatti; talvolta i soci sono d’accordo per mettere in essere pratiche fiscali o contrattuali di dubbia legalità. Bisogna esser consci che in caso di litigio o di cambiamento di proprietà, la conoscenza di tali situazioni si presta a ricatti.

8. Confusione del ruolo di azionista e di manager; la forza di un’azienda è l’imprenditore, che è contemporaneamente azionista e manager. Nel tempo, però l’ego e l’interesse manageriale prevale, e l’imprenditore può prendere decisioni che, se lui fosse soltanto un azionista interessato alla valorizzazione, non prenderebbe mai. L’unica protezione dell’azionista finanziario sta nella possibilità che, di fronte a risultati peggiori di quelli previsti, cambino automaticamente le maggioranze, e si possa anche sostituire chi guida l’azienda (è difficile ottenere lo stesso risultato in funzione di accordi e senza il potere implicito della maggioranza delle azioni).

9. Diritti di prelazione e di gradimento; l’esistenza di tali diritti limita le possibilità di valorizzazione delle azioni, soprattutto per le quote di minoranza.

10. Impegni di non concorrenza; in Italia è difficile pretenderne il rispetto o esser compensati per i danni conseguenti ad una violazione; l’unica difesa è prevedere escrow accounts.

11. Arbitrato o ricorso alla giustizia civile; l’arbitrato è più rapido, più costoso, meno appellabile. Chi si sente la “coda di paglia” dovrebbe preferire il ricorso alla giustizia ordinaria, notoriamente lenta e più attenta agli aspetti formali.

12. Coabitazione forzata; molte joint venture 50/50 hanno, in caso di disaccordo e come estrema ratio, la possibilità che un socio non approvi il bilancio aziendale e si inneschi così un meccanismo di liquidazione giudiziale. Bisogna esser consci che non è così in tutte le legislazioni per cui in certi paesi esteri, nonostante un 50/50 ed un forte disaccordo, non si potrà mai forzare la liquidazione della società.

 

E’ saggio pensare, in tempi di pace, a cosa succede in tempi di guerra; ma per quanta preveggenza e prevenzione si possa avere, quanto ci si trova a litigare con i soci ci sarà sempre qualche situazione particolare non prevista. Diventa quindi fondamentale la scelta del socio, il che non esenta però dall’adottare dei patti parasociali ben pensati per difendere i propri interessi.