La dipendenza per l’approvvigionamento di petrolio e gas naturale e gli stretti legami economici di alcuni partner comunitari rendono incerta la risposta politica dell’Ue alle rivolte contro i regimi nei Paesi del Nord Africa

Il caso delle relazioni Italia – Libia

“Capisco che le riforme di liberalizzazione dei mercati energetici in atto in alcuni Paesi europei suscitino qualche apprensione nella dirigenza di Gazprom, ma posso assicurare al premier Putin che la legislazione europea non è affatto discriminatoria e viene parimenti applicata alla Norvegia e alle compagnie produttrici europee”. Così il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso a proposito della minaccia avanzata la scorsa settimana dal premier russo Vladimir Putin, che, in reazione al proposito espresso da Bruxelles di accelerare sulle riforme di liberalizzazione dei mercati energetici a seguito dei fatti del Nord Africa, ha paventato un prossimo aumento dei prezzi delle forniture di gas e petrolio provenienti dalla Russia.
Intanto, però, sono proprio le vicende del Maghreb, in particolare quanto sta avvenendo in Libia, a preoccupare i governanti europei; soprattutto Roma.

I fatti
La fibrillazione dei mercati energetici, e di conseguenza dei metalli preziosi e delle materie prime internazionali, è infatti il risultato delle rivolte popolari che dalle coste del Mediterraneo (Tunisia, Egitto, Libia) si stanno propagando al Medio Oriente e al Golfo Persico (Yemen, Iran, Bahrein). Il malcontento è esploso dapprima in Tunisia, Paese privo di risorse energetiche e di cui un’importante fonte di entrate è rappresentata dai diritti di transito del Transmed, il gasdotto che connette l’Algeria con l’Italia. Un primo problema per l’Italia si potrebbe verificare allorché il nuovo regime tunisino decidesse di rivedere al rialzo dei diritti di passaggio, attualmente molto bassi. L’Eni è presente in Tunisia dal 1961, nelle attività di esplorazione e produzione di idrocarburi, concentrate soprattutto nell’offshore del Mar Mediterraneo di fronte ad Hammamet e nelle aree desertiche del sud. Il contagio ha successivamente provocato la rivolta e il rovesciamento del regime di Mubarak in Egitto, un particolarmente ricco di gas naturale, al terzo posto per riserve nel continente africano e attivo nella raffinazione del petrolio, che viene esportato attraverso le rotte strategiche del canale di Suez. Quest’ultimo, finora, ha subito solamente un atto di sabotaggio che ha danneggiato il gasdotto che fornisce la Giordania e Israele di gas. L’Egitto è il primo paese in cui l’Eni ha svolto il ruolo d’operatore di idrocarburi all’estero, nel 1953. È presente anche nel settore della liquefazione del gas naturale e dell’ingegneria e costruzioni. Nel 2008, Eni è stato il primo operatore internazionale di idrocarburi nel paese. Per l’attività di esplorazione, detiene nel paese 59 concessioni minerarie che interessano una superficie complessiva di 26.335 chilometri quadrati (di cui 9.741 in quota Eni). Le principali attività produttive sono condotte nella concessione di Belayim (Eni 100 per cento), nel Golfo di Suez con produzione di olio e condensati, in quelle prevalentemente a gas naturale di North Port Said (ex Port Fouad, Eni 100 per cento), di Baltim (Eni 50 per cento, operatore), di Ras el Barr (Eni 50 per cento) e di el Temsah (Eni 50 per cento, operatore). Per quanto riguarda, poi, la sanguinosa rivolta in corso in Libia, sono note le cronache delle evacuazioni del personale diplomatico e di quello delle compagnie petrolifere occidentali operanti in loco. Nel dettaglio, l’Eni è presente in Libia nelle attività di esplorazione e produzione di petrolio e del gas naturale dal 1959. L’attività produttiva ed esplorativa è condotta nell’offshore del Mar Mediterraneo, di fronte a Tripoli e nel deserto libico. A fine 2009 Eni era presente in tredici titoli minerari, per una superficie complessiva di circa 36.374 chilometri quadrati (18.165 chilometri in quota Eni). Le attività di Eni in Libia sono regolate da contratti di Exploration and Production Sharing Agreement (Epsa) che hanno durata fino al 2042 per le produzioni a olio e fino al 2047 per quelle a gas. Sia il settore petrolifero che quello del gas sono dominati dalla compagnia petrolifera nazionale Noc, che opera nel settore dell’export in joint venture con operatori occidentali. Un esempio è il Western Libyan Gas Project, che al 50 per cento con Eni provvede a esportare gas verso l’Italia attraverso il gasdotto Greenstream. Il nostro paese, infatti, è il maggiore beneficiario europeo delle esportazioni libiche di petrolio, ricevendo il 32 per cento dell’export, seguito da Germania (14%) , Cina (10%) e Francia (10%). La qualità del greggio libico è molto apprezzata, così da farne materia prima pregiata soprattutto per la produzione di carburanti per autotrazione, molto richiesti in Europa. In quanto a riserve di gas, la Libia è al quarto posto nel continente africano dopo Nigeria, Algeria ed Egitto. La produzione di gas è stata, nel 2008, di 17,1 miliardi di metri cubi, di cui 11,2 esportati: mentre 6 sono stati liquefatti e trasportati via nave, i restanti 10,6 hanno preso la via dell’Italia e dell’Europa tramite il gasdotto Greenstream. Nel complesso, gli idrocarburi rappresentano per la Libia il 95% dei ricavi delle esportazioni e l’80 per cento delle entrate fiscali. Il dato dovrebbe tranquillizzare l’Europa, essendo improbabili prolungati blocchi delle forniture di petrolio e gas ai paesi importatori.

Problemi per l’Italia
Tre i motivi che pongono il nostro Paese in una situazione critica verso la Libia. Il primo è che il governo di Roma è il più “colluso” con il regime di Gheddafi. Ciò pone a rischio le relazioni politico-diplomatiche tra i due Paesi, la condizione dei nostri concittadini presenti nel paese, le sorti delle nostre imprese e dei loro investimenti, la gestione dei prevedibili flussi migratori clandestini.
Il secondo motivo è collegato al precedente, e riguarda gli interessi economici che intercorrono tra Libia e Italia. La Libia, infatti, è il primo azionista di Unicredit, con il 7,50 per cento del capitale, possiede l’1 per cento di Eni e il 2 per cento di Finmeccanica. In Libia, poi, sono attive alcune nostre grandi imprese, tra cui Eni, Anas, Impregilo, Finmeccanica, Iveco: la quota italiana delle importazioni libiche si è attestata nel 2009 al 17,4%; nel primo semestre del 2010 le nostre esportazioni verso il Paese sono cresciute del 4%. L’interscambio tra i due paesi nel primo semestre 2010 è arrivato a circa 6,8 miliardi di euro, con un incremento del 12,53% rispetto all’anno precedente. Il terzo motivo, infine, è appunto quello energetico, se è vero che l’Italia è il primo acquirente del greggio libico e gli idrocarburi rappresentano circa il 99% delle importazioni italiane dalla Libia.