Le crisi in Nord Africa e Medio Oriente alimentano crescenti dubbi e speculazioni sul futuro energetico dell’Italia e dell’Unione europea

Al centro dell’attenzione è stato finora il petrolio, il cui prezzo è salito considerevolmente, ma anche il settore del gas naturale sta risentendo dei sommovimenti politici in atto nel Mediterraneo. In particolare, la recente chiusura del gasdotto italo-libico Greenstream, in grado di trasportare otto miliardi di metri cubi di gas naturale sulle coste siciliane, ha evidenziato l’importanza di efficaci politiche di diversificazione energetica. Se l’interruzione delle forniture libiche non ha causato eccessivi problemi agli approvvigionamenti del vecchio continente, lo si deve infatti alle politiche di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico attuate dai governi negli ultimi anni. Servono però ulteriori passi avanti sulla via della diversificazione sia a livello nazionale che europeo.

 

I nodi del mercato del gas
All’interno dell’Unione europea si consumano attualmente circa 500 miliardi di metri cubi di gas naturale, che vengono principalmente utilizzati per scopi domestici, ma che forniscono un contributo sempre più decisivo alla generazione di energia elettrica. Il peso del gas naturale sul mix energetico dei paesi europei è destinato a crescere, per raggiungere una percentuale del 34% nel 2030. I principali consumatori sono Germania, Regno Unito, Francia, Spagna e ovviamente Italia, il cui mix energetico è particolarmente sbilanciato a favore del gas naturale. Ciascuno di questi paesi ha sviluppato una propria strategia per la gestione e la diversificazione degli approvvigionamenti. Mentre paesi come Germania e Italia hanno sviluppato intense relazioni bilaterali con la Russia, la Spagna ha puntato su partnership regionali con i produttori nordafricani, mentre il Regno Unito gode tuttora della propria (seppur declinante) capacità di produzione domestica. I paesi dell’Europa orientale sono quasi completamente dipendenti dalle forniture russe. L’incidenza delle importazioni da paesi non-Ue è inferiore rispetto al petrolio grazie alla produzione di paesi come Regno Unito, Olanda e Germania. A differenza del greggio, il grosso delle importazioni di gas naturale proviene da un ristretto numero di paesi: Russia, Norvegia, Algeria, Libia e Nigeria. Sebbene non siano finora sorti gravi problemi per gli approvvigionamenti dall’estero, già prima delle recenti tensioni in Nord Africa e Medio Oriente, le dispute sulle forniture di gas dalla Russia avevano portato alla ribalta la necessità di diversificare le fonti di gas naturale. Le ingenti risorse del Mar Caspio e il gas naturale liquefatto (Lng) sembrano le opzioni migliori.

 

Caspio e corridoio sud
Un tempo cuore dell’industria energetica sovietica, il Mar Caspio e i paesi rivieraschi, come Azerbaijan, Kazakhstan e Turkmenistan, hanno attirato una crescente attenzione da parte dei governi occidentali. Le aspettative che la regione potesse diventare un nuovo centro gravitazionale del mercato energetico globale sono state però ridimensionate da circostanze di tipo geologico, politico, legale e commerciale. I tre paesi in questione ospitano attualmente il 3,5% delle riserve accertate di greggio ed il 6% di quelle di gas naturale. Il Kazakhstan, con il 3% delle riserve globali, spicca nel settore petrolifero, mentre il Turkmenistan è il quarto paese al mondo (4,3%) per il gas naturale. Questi dati giustificano l’interesse degli attori esterni, ma non sono tali da configurare le risorse della regione come un alternativa a quelle del Medio Oriente e, in genrale, dei paesi Opec.
Russia e Cina sono i partner energetici più influenti, soprattutto nei due paesi centrasiatici: Pechino, grazie alla propria intraprendenza economica e commerciale, e Mosca, grazie ai legami politici di cui gode, sono in grado di contenere le velleità occidentali nella regione. A ciò si aggiunge l’incerto status legale del Mar Caspio, tutt’ora oggetto di aspra contesa tra gli stati rivieraschi (Russia, Kazakhstan, Turkmenistan, Iran e Azerbaijan), che impedisce il trasporto delle forniture kazake e turkmene verso occidente, se non passando attraverso il territorio di Russia e Iran (che non hanno interesse a favorire le esportazioni dei paesi della regioni verso occidente). Queste circostanze limitano notevolmente la possibilità di ottenere abbondanti e sicure forniture dalla regione caspica. Attualmente, infatti, le uniche risorse commercialmente disponibili sembrano essere quelle azere, il cui sviluppo ha tuttavia conosciuto notevoli ritardi e intoppi negli ultimi anni. Di qui anche le difficoltà degli ambiziosi progetti infrastrutturali europei per il corridoio sud. Nabucco, un gasdotto da 31 miliardi di metri cubi annui e un costo di 14 miliardi di euro, ha scarsa sostenibilità commerciale, date le limitate risorse a cui può effettivamente attingere.  Sembra dunque necessario un approccio più graduale. Si tratta di garantirsi l’accesso alle (effettive e potenziali) risorse energetiche del Caspio, evitando però di imbarcarsi in investimenti dai costi sproporzionati e non giustificati dalle potenzialità commerciali. La Trans-Adriatic Pipeline (Tap) e l’interconnettore Turchia-Grecia-Italia (Itgi), entrambi pensati per sfruttare le infrastrutture energetiche già presenti sul territorio turco, sembrano in grado di rispondere alle esigenze di flessibilità e di contenimento dei costi dettate dall’attuale situazione sul lato delle forniture, permettendo di investire i fondi risparmiati in altri settori chiave per la sicurezza energetica europea.

 

La nuova frontiera del gas liquefatto
Il grande vantaggio di una soluzione di questo tipo è la possibilità di destinare parte dei fondi risparmiati a investimenti nel settore del gas naturale liquefatto (Lng), un settore che potrebbe diventare fondamentale per le strategie europee di diversificazione energetica. Ad oggi, poco più di 60 miliardi di metri cubi, su un totale di circa 450, vengono annualmente forniti al mercato europeo dal Lng. Tuttavia, i progressi tecnologici e i crescenti sforzi di paesi produttori fino a pochi anni fa scarsamente presenti sul mercato stanno rendendo l’opzione Lng sempre più appetibile anche per il continente europeo. In effetti, le importazioni di Lng sono passate da 47 bmc nel 2007 a 63 bcm nel 2009, nonostante la crisi globale abbia ridotto i consumi totali. L’eccesso di offerta determinata dalla crisi globale e la prospettiva che le ingenti riserve di shale gas scoperte negli Stati Uniti modifichino la geografia delle forniture globali di gas naturale, liberando risorse di paesi produttori quali Canada, Trinidad e Tobago, Egitto, Qatar e Nigeria, impongono alle autorità e alle compagnie europee di riflettere seriamente sulla necessità di avviare investimenti per incrementare la capacità di ricezione e approvvigionamento di Lng. Fra i paesi all’avanguardia si segnala la Spagna, che importa da sola quasi la metà dell’Lng destinato al mercato europeo. La stessa Italia, grazie anche alle sue capacità di rigassificazione è recentemente riuscita a far fronte efficacemente all’improvvisa chiusura del gasdotto Greenstream. Lo sviluppo di un’articolata capacità di rigassificazione e stoccaggio, pianificata razionalmente in modo da servire gli interessi di tutti gli stati membri, dovrebbe perciò diventare un tassello fondamentale della strategia di diversificazione energetica perseguita dalle autorità europee e nazionali.