Le recenti incertezze legate all’incentivazione del settore dovrebbero essere superate dalle tendenze di lungo periodo

Il momento attuale non è certo dei migliori per parlare di investimenti nelle fonti rinnovabili: la decisione del Governo italiano di rivedere i livelli di incentivazione alle fonti pulite (fotovoltaico in particolare), oltre a gettare nello sconforto gli operatori del settore, ha avuto senz’altro l’effetto di bloccare gli investimenti già programmati nel settore, almeno sino alla definitiva emanazione delle nuove tariffe statali (prevista per fine aprile). Nonostante i grandi progressi tecnologici e la netta diminuzione del prezzo degli impianti, le fonti pulite sono infatti ancora lontane dal raggiungimento della cosiddetta grid parity (la parità di costo di produzione con le energie convenzionali, ndr) e perciò la redditività di un investimento green dipende, in buona sostanza, dal livello di incentivi garantiti dai singoli Stati. Ad esempio chi investiva sino ad oggi nel fotovoltaico italiano, ha evidenziato una ricerca iSuppli, poteva contare su un ritorno annuale nell’investimento compreso tra il 15 e il 18%. Di conseguenza in 4-5 anni la spesa per l’impianto poteva essere ripagata e gli altri 15 anni di incentivazione erano tutti di incassi “garantiti” per gli investitori. Questi numeri, in buona parte, spiegano la vera e propria corsa all’installazione del fotovoltaico che ha caratterizzato la seconda metà del 2010 e l’inizio del 2011, sino all’annuncio di revisione dei sussidi da parte del Governo. Proprio questo decisione, d’altro canto, ha determinato un vero e proprio tracollo dell’Irex, l’indice italiano che monitora l’andamento in Borsa delle società quotate che hanno come core business le energie rinnovabili (Alerion, Actelios, Erg Renew, ErgyCapital, Greenvision, K.R.Energy, Kerself, Kinexia, TerniEnergia ed EEMS, per un totale di 871 milioni di euro di capitalizzazione complessiva). L’indice, che aveva toccato i valori massimi a inizio 2010 (14.000 punti) ora (11/3/11) è ben al di sotto (8.922 punti) dei valori minimi registrati nel 2009, a causa proprio dell’incertezza sugli incentivi e per la mancanza di una quadro regolatorio chiaro e univoco.

Il ruolo del venture capital
Insomma il quadro non sembra certo il più propizio per gli investimenti green ma, in realtà, se si esce dai confini della Penisola e si osserva il fenomeno sul lungo periodo, le rinnovabili appaiono ancora come uno degli ambiti di business più promettenti. Il capitale di rischio, ad esempio, ha fatto il suo ingresso nel mondo delle rinnovabili già da alcuni anni: come spiega un recente rapporto Ernst&Young/Iefe Bocconi, al movimento generato dalle strategie industriali si è progressivamente aggiunto l’interesse degli investitori finanziari verso i pacchetti azionari delle cosiddette imprese “verdi”. Questo ha comportato da un lato l’ingresso indifferenziato degli investitori nel mercato delle rinnovabili (fondi d’investimento, venture capital, private equity) attratti dalla redditività delle singole iniziative, dall’altra strategie di consolidamento” del capitale attraverso acquisizioni diffuse di pacchetti azionari. In particolare l’utilizzo di nuovi strumenti finanziari (fondi d’investimento di borsa, private equity, venture capital, investimenti pubblici e privati all’innovazione), sebbene costituisca solo una quota di minoranza rispetto agli investimenti capitalizzati con le leve tradizionali (capitale di debito e capitale azionario), trova una dimensione favorevole proprio nel settore delle energie rinnovabili e comunque maggiore rispetto agli investimenti in energie convenzionali. Nel 2004 queste forme di finanziamento contavano per circa il 15% rispetto al valore globale degli investimenti in fonti pulite (il rimanente 85% era finanziato direttamente dalle imprese del progetto), mentre nel 2009 il peso dei nuovi strumenti è salito addirittura al 40%. Nel 2010, secondo i dati diffusi da Cleantech (società di consulenza americana specializzata nelle energie pulite), in tutto il mondo sono stati investiti quasi otto miliardi di dollari in 715 diverse operazioni di venture capital. In particolare lo scorso anno ha visto un aumento dei capitali di rischio del 28% rispetto al 2009, passati da 6,1 a 7,8 miliardi di dollari, dietro soltanto ai livelli del 2008. Tra le diverse tecnologie pulite il settore in cima alla classifica 2010, secondo Cleantech, è il solare, con il 24% (1,83 miliardi) di tutti gli investimenti in venture capital. Il mondo degli investimenti green, insomma, è in piena evoluzione e lontano dall’apocalisse di cui tanto si parla in questi giorni e l’Italia, nel lungo termine, resta comunque uno dei paesi più promettenti per lo sviluppo delle green tecnologies.