Con le competenze attuali le imprese nazionali può realizzare circa il 55-60% del valore di un’unità nucleare di moderna generazione

Nei giorni immediatamente successivi ai gravi problemi che hanno interessato la centrale di Fukushima è difficile parlare di nucleare in termini di business e opportunità. Eppure, da quando il Governo Berlusconi ha deciso nel 2008 di puntare nuovamente sull’energia atomica, centinaia di imprese italiane di piccole e grandi dimensioni hanno manifestato il proprio interesse per le possibilità economiche garantite da questa (contestata) fonte energetica. Lo scorso dicembre, dunque appena 3 mesi fa, Enel aveva illustrato a 600 aziende nazionali interessate a far parte di questa partita l’avanzamento delle varie tappe del processo di coinvolgimento e di qualificazione dell’industria nei progetti con tecnologia Epr. Oggi è difficile dire se questo programma avrà un futuro, vista la grande cautela manifestata dal Governo all’indomani della catastrofe giapponese e data, soprattutto, la spada di Damocle del referendum abrogativo delle leggi sul nucleare previsto per giugno. In caso negativo il paese avrà forse guadagnato in tranquillità ma l’industria nazionale avrà senz’altro perduto una grande occasione per accrescere il proprio giro d’affari: secondo quanto evidenziato da uno studio Enel, con le competenze attuali l’industria italiana può realizzare il 55-60% del valore di una unità nucleare di moderna generazione(pari a 2-3 miliardi di euro). Queste percentuali potrebbero salire al 75-80% in caso di adeguati investimenti delle imprese per acquisire nuove competenze e adeguare gli impianti produttivi. Non a caso il sostegno al rafforzamento della filiera industriale è stato più volte indicato dal Governo come la causa di principale di ritorno alla produzione atomica, più anche della questione della dipendenza energetica. Nonostante lo stop all’atomo imposto dal referendum del 1986, l’industria tricolore possiede infatti tuttora molte delle competenze necessarie per la gestione della filiera nucleare. Gli elevati standard qualitativi che caratterizzano la produzione industriale italiana – per esempio, nel settore dell’elettromeccanica – dimostrano il livello elevato di competenze presenti sul territorio nazionale che, con l’opportuna formazione specifica può essere trasferito nella filiera nucleare. Più nel dettaglio minore è la specificità nucleare delle attività richieste, maggiori sono le competenze presenti in Italia e il numero di aziende che sarebbero già oggi in grado di aggiudicarsi la commesse. Ovviamente le aziende che intendono accedere al circuito delle forniture nucleari vere e proprie (fabbricazione dei componenti e dei sistemi dell’isola nucleare) devono qualificare i propri processi, il sistema organizzativo, gli impianti e le competenze del proprio personale (in una parola certificarsi). Il processo si basa sulla verifica del rispetto dei requisiti riportati dai codici di riferimento del settore e internazionalmente riconosciuti e richiede un investimento tipicamente compreso tra i 300-400mila euro. A livello internazionale esistono due codici di riferimento per la certificazione dei fornitori: l’ASME (American Society of Mechanical Engineers) americana e l’RCC (Règles de Conception et de Construction) francese. Entrambi si concentrano sulle stesse cinque aree fondamentali: componenti dell’isola nucleare, materiali, metodi di test e validazione, saldature e processi di fabbricazione. Tale processo sarebbe indispensabile per tutte quelle attività che l’industria italiana non può attualmente presidiare, che sono per l’appunto quelle relativa alla produzione di componenti e sistemi dell’isola nucleare. Oltre all’aspetto di promozione industriale il ritorno dell’Italia al nucleare avrebbe aspetti non trascurabili dal punto di vista sociale: nel complesso la costruzione di un impianto tipo di terza generazione determina in media 3.000 posti di lavoro in sito e presso i fornitori di primo livello; altri 6.000 figure professionali possono inoltre beneficiare delle attività lavoro indirette, che comprendono le persone impiegate direttamente nella delivery ed esercizio degli impianti. In fase di esercizio le opportunità di business per il sistema industriale italiano sono invece legate soprattutto al mercato dei servizi di manutenzione e delle operations. Senza contare che il benessere economico generato dai contributi diretti e indiretti, la crescita dell’infrastruttura industriale e il denaro investito, impattano positivamente sulle attività economiche a 360° e creano nuovi bisogni sociali (insegnanti, supermercati, costruttori di abitazioni civili, ecc.). Non a caso nei paesi dove l’energia atomica gode di un appoggio trasversale, come la Svezia, città e regioni si disputano l’assegnazione dei progetti di nuove centrali. In Italia, senza dubbio, la situazione è molto lontana da questo quadro idilliaco e anche la “buona causa” della promozione della filiera industriale appare ad oggi insufficiente a far guadagnare consensi sufficienti all’atomo.