Economisti e esperti di politica internazionale nei giorni scorsi hanno discusso presso l’Istituto milanese degli effetti delle nuove norme per la stabilità dell’Eurozona decise all’Ultimo Consiglio Ue

Una tappa storica nel percorso di integrazione delle istituzioni europee”.

Questo il giudizio a proposito del vertice del Consiglio europeo del 25 e 26 marzo scorsi con cui Massimo Bordignon, direttore dell’Istituto di economia e finanza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha aperto i lavori della tavola rotonda che l’Ispi di Milano ha dedicato, nei giorni scorsi, ai temi dell’Eurozona.

Contrariamente alle aspettative negative della vigilia, i 17 dell’area euro sono riusciti a trovare un accordo sufficientemente vincolante sui tre capitoli relativi alle misure da adottare per dare impulso alla competitività, ai correttivi da apportare alle strutture del patto di stabilità e alla trasformazione del fondo salva Stati in un meccanismo stabile e definitivo” ha spiegato Bordignon.

L’intesa raggiunta a Bruxelles, infatti, prevede una serie di indirizzi orientati a: correlare le riforme necessarie al mercato del lavoro con l’aumento della produttività; sostenere l’innovazione dei processi e armonizzare la fiscalità societaria; introdurre meccanismi per la correzione dei deficit pubblici che superano lo 0,5% del Pil e per la diminuzione graduale entro un limite di anni per i debiti che stanno oltre il 60%; a trasformare l’attuale Efsf (European financial stability facility) in una struttura di intervento permanente dotata di capacità di prestito da 500 miliardi di euro.

Sembrano scongiurate, dunque, le tensioni sorte solo qualche giorno tra i Paesi dell’euro a causa del diktat normativo della Germania, che per farsi garante della stabilità della moneta unica aveva chiesto ai partner europei precisi impegni in termini di politiche di rigore. “Dalla Germania non poteva che arrivare un sì alle proposte del Consiglio, E difficilmente avrebbe potuto essere altrimenti, se è vero che Berlino ricava più della metà del surplus commerciale dai partner europei, e, soprattutto, alla luce della situazione delle banche tedesche, che hanno a portafoglio molti titoli a rischio insolvenza acquistati da quegli stessi Paesi che gran parte dell’opinione pubblica tedesca, ora, vorrebbe fuori dalla costruzione europea” ha affermato Silvio Fagiolo, già ambasciatore italiano nella Repubblica federale tedesca e professore di politica internazionale all’Università Luiss – Guido Carli di Roma. “Quello dell’assenza di una politica chiara verso gli istituti bancari è, probabilmente, l’unico neo del vertice, ma un ostacolo concreto al piano di creazione di una governance comune dell’economia comunitaria – ha specificato Franco Bruni, vicepresidente Ispi e professore di teoria e politica monetaria internazionale all’Università Bocconi: qual è il livello di esposizione delle banche verso i debiti degli Stati in difficoltà, quali sono i reali livelli di patrimonializzazione degli istituti e, soprattutto, a quanto ammonta la capacità di finanziamento rispetto alle iniziative economiche necessarie per la ripresa? Sono tutte domande su cui le risposte degli addetti ai lavori finora non sono state trasparenti, e per le quali i contributi delle varie authority di vigilanza nazionali non hanno granché aiutato”.

Un supporto per la stabilizzazione del sistema, però, dovrebbe arrivare dal nuovo fondo di finanziamento che entrerà in vigore nel 2013 (European stability mechanism) e avviato, come ha sottolineato Bordignon, “a configurarsi come un vera e propria struttura di soccorso a sostegno degli Stati in difficoltà finanziarie all’interno dell’Unione, che si muoverà sul mercato primario e concederà prestiti sulla base di specifiche politiche di correzione del bilancio da parte dei contraenti, con la clausola della ricontrattazione del debito”.

E l’Italia? Quale sarà l’impatto sul nostro Paese delle decisioni prese a Bruxelles se il testo uscito dal Consiglio verrà approvato dall’Europarlamento?

E’ chiaro che i maggiori interrogativi sorgono a proposito delle norme per il controllo del debito pubblico – ha argomentato Bordignon -. Considerando l’ammontare della nostra quota al 120% del Pil, anche tenendo conto dei fattori attenuanti accettati dalla Commissione (quota del debito privato, contenuto per le famiglie italiane, ndr) l’applicazione dei correttivi significherebbe un aggiustamento strutturale pari al 3% per il primo anno e poi via via a scendere. Uno sforzo che inevitabilmente avrebbe effetti sulle capacità di intervento della spesa pubblica e che, comunque, è sostenibile solo con una crescita fissata al 2%”.

Il Bel Paese, per il 2011, è accreditato all’1%. 

 

Le misure decise dai 17 capi di Stato a Bruxelles 

 

La riunione del Consiglio europeo del 25 e 26 marzo a Bruxelles si è conclusa con impegni vincolanti assunti dai 17 Paesi dell’area euro per il rafforzamento del “fondo Salva Stati” e per la rivisitazione del Patto di stabilità e crescita.

Sul primo fronte, gli accordi presi in sede comunitaria, e in attesa di conferma definitiva al vertice di giugno, dopo il voto dell’Europarlamento, prevedono che l’attuale fondo di emergenza per gli Stati a rischio insolvenza, l’Efsf (European financial stability facility) aumenti subito l’effettiva capacità finanziaria da 250 a 440 miliardi di euro, quota da raggiungersi attraverso un innalzamento delle garanzie sul debito prestate dai singoli Stati aderenti. A partire da luglio 2013, però, l’Efsf verrà definitivamente sostituito dall’Esm (European stability mechanism), meccanismo di finanziamento stabile la cui dotazione, rispetto al predecessore, sarà pari a 700 miliardi, cioè una capacità di prestito di 500 miliardi, da mettere insieme mediante 80 miliardi di euro complessivi versati dagli Stati, in un arco di tempo compreso tra tre e cinque anni, e 620 miliardi a titolo di garanzia, secondo modalità ancora da definire. La quota di partecipazione dell’Italia è fissata a 14,3 miliardi, con una prima tranche da 7,2 miliardi e la parte restante diluita in trentasei mesi.

L’Esm, inoltre, avrà la facoltà di acquistare titoli di Stato sul mercato primario, sosterrà gli Stati che vi faranno ricorso solo dopo specifici accordi per garantire la sostenibilità dei conti pubblici e agirà con lo status di creditore preferenziale. Per quanto riguarda le riforme apportate al quasi decennale Patto di stabilità e crescita, invece, le indicazioni dei Capi di Stato parlano di un intervento immediato sul deficit (limite per l’infrazione al 3%) per i Paesi dove quest’ultimo supera lo 0,5% del Pil e di una riduzione del debito pubblico che viaggia al di sopra del 60% del Pil di un ventesimo all’anno per tre anni.

L’apertura di eventuali procedure di infrazione da parte della Commissione, tuttavia, non sarà automatica, e terrà conto di fattori attenuanti come l’ammontare del debito privato e i livelli di patrimonializzazione delle banche.