Come la Business Intelligence ci permette di costruire sistemi complessi a partire dalla semplicità

So che farò storcere il naso ai puristi della tecnologia ma ciò che sta accadendo in questi ultimi anni fa riflettere sul ruolo sempre più pervasivo delle discipline del business da cui dipende la scelta delle soluzioni IT. Correvano gli anni Novanta del secolo scorso quando si cominciò a parlare sempre più insistentemente di profili professionali nuovi, costruiti su percorsi universitari umanistici. Senza entrare nel merito delle proposte dell’epoca una cosa è certa; al crescere della complessità progettuale e al tempo stesso della semplificazione d’uso delle tecnologie cresce l’esigenza di figure che sappiano cogliere le molteplici sfumature comportamentali e tecniche proprie delle scelte IT. Ecco perché il business e le sue regole sono considerate centrali e sempre più spesso si parla della loro convergenza nell’IT. La diffusione dei social media e dei social network, da questo punto di vista, ha accelerato il processo e come spesso accade sono propri i primi fallimenti nel processo a mettere in luce le urgenze.

Il ruolo dei social media
La ricerca presentata da Gartner lo scorso 28 febbraio (condotta su un campione di 200 implementazioni di successo) mette in luce come molti degli sforzi profusi dalle aziende nei social media non abbiano ancora portato i risultati attesi. Le tecnologie dei social media – ha osservato Anthony Bradley, Group Vice President di Gartner – sono innanzitutto tool e, come accade per qualsiasi altra tecnologia, il risultato, la capacità di portare valore nel business, dipende da come le persone la usano. I social media dovrebbero facilitare i comportamenti collettivi trasformandoli in valore per il business; sono l’anello di congiunzione tra le comunità e le attività del business e rappresentano una concreta opportunità per le aziende che grazie a essi possono esplorare gruppi specifici di clienti/consumatori per individuare nuovi canali di interazione. La ricerca Gartner ha individuato sei tipologie di comportamenti collettivi. C’è la Collective Intelligence per l’efficacia operativa, tipica di comunità relativamente contenute (ricordate il numero di Dunmbar che regola l’efficienza delle community in funzione del numero di persone coinvolte?) per lo più interne all’azienda stessa, che mettono a fattor comune la propria competenza specifica usando blog e pagine wiki; stando ai risultati dell’analisi sembra proprio questo il trend preferito per l’adozione dei social media. Risultati interessanti sono arrivati anche per le funzioni vendite in cui si osserva una stretta correlazione tra CRM e adozione dei social media. La diffusione dei social network, inoltre, contribuisce alla nascita delle cosiddette “strutture emergenti”, frutto delle interazioni sociali consentite proprio dalla tecnologia; hanno un obiettivo preciso, esplorare a fondo la “natura delle cose” grazie alla condivisione delle conoscenze che si realizza nella community; è il modello collettivo di comportamento più avanzato eppure relativamente immaturo di cui si disponga oggi. L’Interest Cultivation è un altro dei comportamenti in via di diffusione, strumentale all’aumento delle vendite e alla fidelizzazione dei clienti. Individuata anche la Mass Coordination, da cui dipende il rapido coordinamento delle attività attraverso l’uso di short message, comportamento ormai al centro di molte assemblee in apparenza spontanee che si verificano sempre più spesso e la costruzione del Relationship Leverage, rilevante per la costruzione della consapevolezza del brand.

Il ruolo delle regole del business
Proprio la diffusione di questi comportamenti fa sì che sia la diffusione capillare delle informazioni all’interno dell’azienda debba avvenire in funzione delle esigenze e in sintonia con le regole del business. C’è una disciplina, di cui si parla di rado, nota come BRM, Business Rule Management, che contribuisce proprio a governare le regole, concentrandosi sui rischi che si trasformano in nuove opportunità. Le regole del business infatti sono critiche e coinvolgono i diversi domini funzionali delle imprese; ci sono le regole che coinvolgono le tecnologie e quelle che riguardano i sistemi di management. Per essere efficaci, i processi di business hanno bisogno di regole; è lapalissiano. Un po’ meno scontato, invece, che senza regole si perda in flessibilità e agilità; purché non si scivoli nell’ipertrofia delle norme, le regole consentono di governare i processi, cambiarli, ottimizzarli. In un contesto a elevata complessità, le regole sono il fil rouge da seguire nel cambiamento. Entrare nel business, per esplorarne le regole. Questo approccio mi evoca ciò che ascoltai lo scorso ottobre, in occasione della conferenza organizzata da The Ruling Companies Association dal titolo “Nano – Bio – Info – Energia: lo scenario delle nuove tecnologie”. In quell’occasione, nell’ambito di un appassionante dibattito sulle nuove tecnologie, dalle nanotecnologie alla robotica e all’ICT, i relatori osservarono come la sfida del presente sia costruire la complessità e capire come costruirla; una sfida destinata a coinvolgere molte altre discipline, oltre a quelle scientifiche. Le nanotecnologie ci aiutano a capire come i componenti della materia si organizzano in sistemi più complessi; ci insegnano a passare dalla semplicità alla complessità. Da questo punto di vista anche la BI ci permette di passare dalla semplicità alla complessità; come le nanoscienze, nella ricerca di convergenza con il business si rivela sempre più interdisciplinare e come le nanoscienze ci permette di entrare nel dettaglio della struttura, in questo caso dell’assetto organizzativo aziendale. In sostanza, il mondo proposto dalle nanoscienze è quello dell’infinitamente piccolo, quello che esplora a fondo gli atomi, ovvero i “mattoncini” della materia di cui tutto il mondo che conosciamo è fatto. A questo livello anche le proprietà della materia sono ben diverse da quelle che conosciamo nel mondo del visibile ed è per questo che dalle nanotecnologie si ottengono risultati in apparenza sorprendenti. Ancora una volta, però, l’uomo più che inventare scopre ciò che fa la natura e a essa si ispira per costruire i “nanoprodotti”, che possono essere una vernice anticorrosione, un circuito stampato per il cellulare o il PC, un sensore da inserire nei vestiti o una nuova fibra che, ispirandosi alle proprietà delle zampe del geco, vi permetterà di aderire ai muri, oppure, ancora, cosmetici e medicinali mirati che raggiungono direttamente i bersagli della malattia o ancora colle speciali, molto simili a quelle prodotte dai mitili, le cozze, quando aderiscono agli scogli marini. Per la BI, naturalmente, nulla di tutto ciò è applicabile; è invece utile il paradigma delle nanoscienze che ci permette di costruire la complessità dalla semplicità. Uno spunto in più per riflettere sull’orizzonte attuale dell’ICT.

Innovare con la BI
Già nel 2007, in occasione del Summit sulla Business Intelligence, Gartner ricordava che la Business Intelligence è sempre più spesso strumento di guida dell’innovazione e dell’efficacia delle performance aziendali. A quattro anni di distanza emerge con chiarezza che perché tutto ciò si verifichi è indispensabile che i tool di Bi siano disponibili a un numero crescente di dipendenti, clienti, partner e fornitori. Quando sono noti i fattori da cui dipendono le prestazioni del business, infatti, è possibile agire su di essi per modificarli; e mentre gli ERP aiutano a fare le cose meglio, i sistemi di Business Intelligence aiutano a fare cose migliori. Information Management e BI dovrebbero così essere non solo strumenti di diffusione dell’informazione ma anche strumenti di promozione della conoscenza e, quando possibile, catalizzatori di innovazione. IT e business hanno bisogno di costruire percorsi integrati, sinergici di sviluppo. Per questo ai responsabili IT a cui sono affidati progetti di BI si chiede che lavorino con le unità di business per tradurne i requisiti, le metriche, gli impatti, le regole; si chiede di definire strategie di implementazione della tecnologia e delle operazioni che contribuiscano a costruire il valore del business a costi sostenibili; si chiede di costruire e/o applicare metodi e applicazioni, misurandone l’impatto sugli investimenti; si raccomanda infine di continuare a lavorare a contatto con gli uomini del business per far sì che non si interrompano l’osmosi informativa e la comprensione di procedure, obiettivi e metodi.