L’ufficializzazione dell’aumento del costo del denaro all’1,25% preoccupa imprese e Confindustria. Ma dietro la mossa della Bce c’è il tentativo del governatore Trichet di fare pulizia nel sistema finanziario continentale

Attesa ormai da settimane, la notizia del rialzo dei tassi d’interesse da parte della Banca centrale europea è arrivata giovedì 7 aprile in contemporanea con la richiesta ufficiale del Portogallo di aiuti finanziari per un importo che, secondo gli accordi preliminari presi dal governo dimissionario lusitano di José Socrates con l’Europa (attraverso l’attuale fondo salva Stati Efsf) e il Fondo monetario internazionale, si aggirerebbero attorno agli 80 miliardi di euro.

Le condizioni poste a Lisbona dall’Ue per lo sblocco del prestito parlano di “un sostanziale aggiustamento dei conti pubblici per conferire sostenibilità al debito, di riforme strutturali per rilanciare la crescita e la competitività dell’economia e di un forte programma di privatizzazioni per dare ossigeno al sistema creditizio”.

Tra i formalismi del linguaggio burocratico si può leggere, in particolare, il tentativo delle istituzioni di focalizzare l’attenzione degli Stati e degli investitori sul vero centro nevralgico della crisi finanziaria, cioè le banche europee; il che rappresenta più o meno il fine recondito del governatore della Bce Jean Claude Trichet.

Quando il responsabile dell’Eurotower giustifica l’aumento del costo del denaro dall’1 all’1,25% con l’argomento per cui “a fronte dell’evoluzione della ripresa economica in atto è necessario tenere sotto controllo le spinte inflazionistiche nell’area euro”, Trichet, avocando a sé la missione originaria della Bce, comunica in realtà l’intenzione dell’istituto di liberarsi di un’altra forma di controllo: quella che, dall’inizio della crisi nel 2008, quest’ultimo è stato costretto gradualmente ad assumersi sulle banche mediante il prestito sempre maggiore di liquidità in cambio di titoli con rating molto bassi a mò di garanzia; per intendersi, i titoli pubblici di Paesi come Grecia, Irlanda e Portogallo (di cui la banca centrale detiene ad oggi titoli per 77 miliardi di euro), che con il loro fallimento mettono ora in allarme investitori e opinioni pubbliche.

La Bce, in altri termini, vuole rompere un circolo vizioso che finora ha indotto le banche a ripiegarsi su se stesse e a chiudersi all’economia reale; il che, secondo Trichet, è la vera causa della stentata ripartenza.

E’ legittima, allora, l’osservazione del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia quando si augura che l’aumento del costo del denaro non danneggi la fragile ripresa (nessun imprenditore oggi può sorridere di fronte a un euro che si è spinto fino a 1,43 sul dollaro e al conseguente aumento dei prezzi delle commodities), però, forse, prima di criticare Francoforte bisognerebbe riflettere sul fatto che già da tempo le banche buona parte della liquidità la stanno usando per rifinanziare il proprio debito e non, purtroppo, per dare fiato al sistema delle imprese.