Dalla Slovacchia il caporedattore del settimanale Tyzden, Stefan Hyrib, ammonisce sui pericoli del soccorso indiscriminato ai Paesi in crisi dell’Eurozona

Quando ho letto i rapporti sull’aiuto richiesto dal Portogallo, tre aspetti della questione mi hanno mozzato il respiro. Il primo è la facilità ripugnante con cui alcuni politici europei chiedono (e altri concedono) somme di denaro astronomiche prelevate dai fondi pubblici. Tanto per capire: il piccolo Portogallo ha richiesto una cifra che basterebbe a costruire 2.400 chilometri delle nostre carissime autostrade. Quando il governo slovacco dopo quattro anni completa la costruzione di 50 o 100 chilometri di autostrada canta a squarciagola le lodi di se stesso. E non è tutto: il Portogallo chiede decine di miliardi di euro a paesi che sono già indebitati.

E non soltanto quelli non si ribellano, ma accettano tranquillamente. Quando nuovi paesi falliscono e si presentano con richieste simili la risposta è quella di pompare altro denaro in un baluardo salva-euro ancora più gigantesco: prima il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria, poi il Fondo europeo di stabilità finanziaria e infine il Meccanismo europeo di stabilità. I debiti e i debitori vengono salvati creando nuovi debiti e nuovi debitori.

Ci capite qualcosa? Io no. Il secondo aspetto difficile da digerire è la consapevolezza che i paesi europei si sono accorti dei problemi in anticipo, ma per decenni non li hanno affrontati.

E continuano a fare lo stesso errore. Il Portogallo, ad esempio, è stato il primo paese a violare il Patto di stabilità, nel 2001. E cosa è successo? Sono forse state imposte delle sanzioni e Lisbona ha ripreso a comportarsi bene? Nemmeno per sogno. Lo sperpero è andato avanti. Dieci anni dopo la situazione del Portogallo non è migliorata. Infatti il paese sta fallendo. Chi infrange le regole, a quanto pare, non viene punito. Al contrario, viene tollerato anche se potrebbe trascinare tutta l’Europa e l’euro nell’abisso. Ci capite qualcosa? Io no. Il terzo aspetto, particolarmente insopportabile, riguarda ciò che questi debiti enormi stanno creando in Europa. Non è che i paesi europei abbiano bisogno di soldi per investire nell’educazione, nella scienza o in grandi progetti che promettono una resa futura, e per questo a volte chiedono troppo in prestito. Assolutamente no. Il gigantesco debito dell’Europa è una conseguenza dell’ingordigia, degli eccessivi benefici sociali, delle pensioni scoperte, di macchine statali spaventosamente gonfiate e di milioni di persone che vivono al di sopra delle loro reali possibilità. Il debito non viene contratto in nome di un futuro migliore, ma al costo di un avvenire svalutato.

E nonostante tutto questo i paesi europei non fanno resistenza. Acconsentono. Ci capite qualcosa? Io no. Il Portogallo non sta affrontando il problema delle riforme. Le ha semplicemente abbandonate.

Chiede 80 miliardi di euro e li otterrà. Come è già accaduto per la Grecia, il risultato sarà un’ulteriore crescita del debito, che non sarà mai ripagato. Contemporaneamente quel denaro farà crescere l’indebitamento di altri paesi che stanno contribuendo a un prestito impossibile da rimborsare.

Questa è l’Europa di oggi, l’ex golden boy mondiale che pensava di essersi lasciato alle spalle il sudore e le lacrime e credeva di poter passare miliardi di euro fittizi da un baluardo dell’euro all’altro e conquistare così una prosperità perpetua. Non mi piace paragonare Bruxelles a Mosca. Sono due cose diverse. Ma ho paura che il centralismo comunista che abbiamo sbattuto fuori dalla porta con la rivoluzione di novembre stia rientrando dalla finestra dell’Ue.

Capisco che in Europa la posta in gioco vada oltre l’euro.

So bene che un’Europa senza cooperazione è stata spesso un Europa in guerra. E capisco anche che il meccanismo di salvataggio dell’euro e i prestiti smisurati potrebbero salvare non soltanto tre paesi indebitati, ma anche l’intero progetto Europa.

Ma al centro della questione c’è una domanda: la cooperazione europea può essere un salvagente a lungo termine pur basandosi su un’idea sbagliata? In altre parole, la pace e la prosperità dell’Europa non sono forse messe a repentaglio da coloro che irresponsabilmente (e spesso contro il volere di intere nazioni) portano avanti il sogno di uno stato Europa? Non ha forse ragione chi sostiene fin dall’inizio che una cooperazione ragionevole non implica necessariamente una moneta unica, una tassa comune o un ministero delle finanze europeo, ma soltanto regole e una sana competizione? In fila dietro al piccolo Portogallo ci sono due paesi ben più grandi, la Spagna e l’Italia.

Ci stiamo già avvicinando alla fine di un’eurozona ormai a pezzi, oltre la quale l’impensabile ritorno alla corona slovacca appare ora uno scenario possibile. Non è una buona notizia. Tranne che per una aspetto: il crollo dell’illusione dell’euro metterà fine anche alla fuga della Slovacchia dal suo vuoto.