I gestori dei search engine sono responsabili dei contenuti indicizzati, anche di quelli che violano i diritti della proprietà intelletuale

È una decisione, sebbene pronunciata in sede cautelare, destinata a far discutere quella resa dalla Sezione Specializzata di proprietà intellettuale del Tribunale di Roma all’esito di un procedimento introdotto da una società titolare dei diritti d’autore su un film contro le società che gestiscono i tre più popolari motori di ricerca al mondo: Google, Bing e Yahoo. Il Tribunale di Roma, accogliendo (sebbene solo parzialmente) il ricorso proposto dalla società titolare dei diritti d’autore ha, infatti, ordinato a Yahoo di procedere all’immediata disindicizzazione dei link a tutte le pagine relative al film oggetto di contestazione [n.d.r. About Elly] eccezion fatta per quelle del sito ufficiale del film. Secondo il Giudice, infatti, il gestore del motore di ricerca qualora ricevuta una segnalazione da parte del titolare dei diritti circa il proprio coinvolgimento nell’indicizzazione di contenuti diffusi in violazione dei diritti d’autore non si attivi per disindicizzarli diviene responsabile e ciò anche quando, come nel caso di specie, la segnalazione sia generica non individuando specificamente le URL delle “pagine pirata”. Nessun provvedimento è stato invece adottato nei confronti di Google Italia e Microsoft Italia in quanto entrambe le due società hanno dimostrato la loro estraneità alla gestione dei servizi di indicizzazione e ricerca. Egualmente nessun provvedimento è stato pronunciato, in quanto non richiesto dalla società ricorrente, nei confronti dei gestori delle pagine attraverso le quali, stando alla prospettazione della società dentatrice dei diritti, sarebbe stato diffuso al pubblico illegittimamente il film in questione. La decisione (la prima, almeno in Italia, nel suo genere) solleva molti dubbi e perplessità e potrebbe ridisegnare le dinamiche della circolazione dei contenuti nello spazio telematico. Innanzitutto il Giudice ha ritenuto raggiunta la prova circa il carattere illecito dell’attività svolta presso le pagine indicate dalla società ricorrente sulla sola base della dichiarazione di quest’ultima e della mancata contestazione della circostanza da parte dei tre motori di ricerca convenuti in giudizio che, tuttavia, evidentemente non disponevano (né avrebbero potuto disporre) di alcun elemento a supporto della liceità o illiceità dell’attività oggetto di contestazione. A lasciare perplessi è l’idea che si sia potuto ordinare a un motore di ricerca di non condurre più i visitatori su un certo sito in quanto attraverso esso verrebbe svolta attività illecita senza neppure aver verificato direttamente la natura di tale attività e/o aver invitato il gestore del sito di difendersi. Egualmente, tra i tanti altri profili che non convincono, lascia perplessi la portata del provvedimento che ora, in attesa del reclamo già annunciato, Yahoo si troverà costretta ad eseguire. L’assenza, infatti, nel provvedimento di qualsivoglia riferimento ad uno specifico elenco di URL da bloccare fa si che Yahoo sia obbligato a cancellare tra i risultati delle ricerche svolte dai propri utenti, tutte le pagine contenenti certe keywords individuate, peraltro, solo a titolo esemplificativo, nel corso del procedimento, con la conseguenza che, in esecuzione dell’ordine del Tribunale centinaia di pagine di recensione del film, migliaia di post sui blog di centinaia di migliaia di utenti della Rete e migliaia e migliaia di pagine di contenuto diverso diverranno, sostanzialmente, irraggiungibili attraverso Yahoo.
Se poi si guarda agli aspetti sostanziali della vicenda e si prescinde dai profili più strettamente tecnico-giuridici, ci si avvede di un’altra rilevante anomalia: le pagine “pirata” in questione, infatti, sono destinate a rimanere raggiungibili in via diretta, attraverso i link ospitati da centinaia di migliaia di altri siti, blog e forum di discussione e, soprattutto, attraverso i due principali motori di ricerca concorrenti di Yahoo: Google e Bing. Si tratta di un dato che rende difficile non interrogarsi circa l’effettiva utilità di certe iniziative giudiziarie a tutela dei diritti di proprietà intellettuale.

Scenari futuri
Un’ultima considerazione concerne gli scenari futuri che si aprono all’indomani della decisione e sono destinati a trasformarsi rapidamente in realtà se il principio appena sancito dal Tribunale di Roma dovesse diffondersi. Da domani, infatti, chiunque potrà indirizzare ai gestori dei principali motori di ricerca generalisti (ma anche ad uno qualsiasi dei gestori di motori e/o meta-motori verticali e specializzati) una mail di contestazione per chiedere l’immediata disindicizzazione di questo o quel contenuto perché ritenuto illecito sotto il profilo della violazione del diritto d’autore o, invece, perché diffamatorio o, ancora, in violazione della disciplina della privacy. A seguito di comunicazioni di tale tenore (a seguire il principio stabilito dal Tribunale di Roma) il gestore del motore di ricerca dovrà dar seguito alla richiesta, correndo, altrimenti, il rischio di esser considerato responsabile al pari del soggetto autore dell’eventuale violazione. È ovvio che, per questa via, si rischia di trasformare rapidamente i motori di ricerca in guardiani privati della legalità sul web ma, soprattutto, di rendere la legalità un fatto destinato, almeno on line, a prescindere dagli accertamenti dell’Autorità giudiziaria e legato semplicemente ai rapporti tra privati. Si tratta di uno scenario inquietante in quanto, evidentemente, suscettibile di prestarsi a molteplici abusi: chiunque voglia consegnare all’oblio un determinato contenuto o “mettere a tacere” un concorrente, infatti, potrà semplicemente denunziare la relativa pagina ad un motore di ricerca, chiedendone la disindicizzazione. Tocca solo al Giudice, in uno Stato di diritto, stabilire se un’attività e lecita o illecita e non c’è nessuna buona ragione per derogare a tale principio in nome del diritto d’autore o delle peculiarità della circolazione delle informazioni e dei contenuti on line.