Poche risorse e rete inadeguata, a due passi dalla modernità. La Lombardia è all’avanguardia in Italia, ma pesano i ritardi del sistema. Così resta un potenziale inespresso

Promossa dal Corriere della Sera e CorrierEconomia nello splendore di Palazzo Moroni a Bergamo il 6 aprile si è svolta la tavola rotonda intitolata “Modernità & Territorio. Lombardia, un caso di potenziale ICT inespresso?”. 

Cosa significa Ict in quella che è una delle regioni italiane più spronate verso le nuove tecnologie? Da un lato significa certamente imprese all’avanguardia e cittadini grandi utilizzatori di Internet, ma dall’altro emerge il desolante quadro dei pochi finanziamenti e dei ritardi del comparto pubblico che frenano la regione.

È noto che la Lombardia sia un territorio che coltiva l’orgoglio e la vocazione della modernità. A tenere in vita questo sentimento contribuiscono le nobili tradizioni di un Novecento industriale fatto di avanguardia, la presenza di un terziario capillare e abbastanza solido – almeno se paragonato al resto d’Italia – e infine le ambizioni di Milano che portano la metropoli a confrontarsi di continuo con benchmark di caratura internazionale. Però, e i lombardi lo sanno, non è tutto oro quello che luccica.
E questa è stata anche la prima considerazione scaturita dai risultati della ricerca sulla modernità della Lombardia condotta per conto di Ibm e Rcs da Paolo Pasini della School of management della Sda Bocconi.

La prima sorpresa risiede nel tasso di modernità delle regioni italiane. 

Ebbene in nessuna delle quattro graduatorie elaborate dagli esperti la Lombardia risulta in testa! Colleziona un secondo, due terzi e addirittura un sesto posto, tanto da far ammettere ai ricercatori Sda Bocconi che ci sono nella regione numerose eccellenze, unite però a un potenziale ancora largamente inespresso. Diamo un’occhiata più da vicino alle luci e ombre della modernità lombarda. Il tasso di utilizzo delle tecnologie informatiche e della comunicazione vede il territorio regionale in ottima posizione: a fare da traino è un sistema delle imprese che resta all’avanguardia e fa largo uso della leva tecnologica come fattore di competitività.

Per focalizzare la riflessione bisogna dividere in due il territorio lombardo analizzando da una parte Milano e dall’altra le province a forte identità manifatturiera. Nel primo caso spicca in positivo la localizzazione sotto le guglie del Duomo dell’industria dei servizi più sviluppata d’Italia. Nel secondo caso emerge un ampio tessuto di province e distretti che hanno saputo difendere la propria vocazione manifatturiera dai colpi della crisi ma si sono posti anche e contemporaneamente l’obiettivo di introdurre elementi di innovazione. Non si sono quindi accontentati della loro specializzazione, ma hanno pensato di doverla affinare. È ovvio che questa voglia di trasformazione non sia maturata simultaneamente e con la stessa intensità ovunque. In qualche caso il freno della tradizione ha rallentato il mutamento, mentre in altri i processi sono andati di pari passo. È questo il caso di Bergamo, che può vantare la presenza di due centri di diffusione dell’innovazione del calibro di Servitec e Kilometro Rosso.
Non solamente le imprese, ma anche le famiglie lombarde viaggiano veloci. Il tasso di diffusione di personal computer banda larga e accessi a Internet in dotazione alla società è nettamente superiore alla media italiana, dimostrando così una diffusione di cultura digitale ampia e non solo limitata alle aree di business A questa vivacità fa da contraltare però una lentezza della pubblica amministrazione locale colpevolmente allineata alla media nazionale. E ciò benché il 75% dei comuni disponga di banda larga e un terzo di essi di Intranet e Lan wireless.
L’offerta lombarda di servizi Ict risente dell’eccellenza milanese che si traduce in concentrazione sul territorio di aziende Ict e di vendor multinazionali. Questa densità e le conseguenti dinamiche di concorrenza producono una maggiore capacità di ascolto del mercato e una successiva tendenza a ideare soluzioni specifiche, almeno per il settore business.

Quanto alle famiglie, alla capillarità dei punti vendita non corrisponde una richiesta di servizi più sofisticati. Uno dei potenziali inespressi sottolineati da Pasini resta la preparazione del territorio al dialogo con il mondo Ict. La Lombardia ha certo una dotazione d’infrastrutture di comunicazione senza rivali in Italia, così come il numero dei laureati in scienza e tecnologia e specializzati nell Ict è decisamente superiore alla media nazionale.

Purtroppo l’ammontare dei finanziamenti locali rivolti a sostenere gli investimenti in Ict è in Lombardia più basso che altrove. È in questo scenario di luci e ombre a Bergamo c’era chi come Luigi Tischer, direttore strategico di Robur Spa – azienda bergamasca che produce sistemi di riscaldamento e per il 60-70% vende oltre-confine, pur utilizzando tutti componenti made in Italy – ritiene che “il confronto vada fatto con altre regioni europee e mondiali, perché i nostri competitors sono a Stoccarda, Shanghai e Singapore“. C’era chi, come Claudio Migliorati, direttore sistemi informativi di Sabaf – azienda bresciana che produce componenti per apparecchi domestici per la cottura a gas e dal ’98 è persino quotata in Borsa – che “ritiene l’utilizzo dell’Ict nelle aziende come un passo necessario, ma partendo dal basso, cioè dalle reali esigenze produttive“.

E c’era anche chi, come Fausto Lucà, amministratore unico di Flex Spa – società che realizza colonnine estensibili per le “file” negli aeroporti e stazioni – che ha puntato fin dall’inizio sull’informatizzazione dei processi produttivi.
Stefano Scaglia, vicepresidente di Confindustria Bergamo, avvalora la ricerca condotta da Paolo Pasini confermando subito questa tesi: “Il pil pro-capite di una regione va di pari passo con il suo indice di modernità”. E se la modernità si misura in base all’utilizzo dell’Information Technology nelle imprese, nella pubblica amministrazione e per usi domestici, la cartolina che lo studio restituisce alla Lombardia è in chiaro-scuro.
Partiamo dalle luci, che sono tante: la Lombardia è all’avanguardia per cultura Ict, considerando che sforna il 26% dei laureati del settore, e per tasso d’utilizzo di tecnologie informatiche in azienda.
Passiamo ora alle ombre, che sono alcune: pochi finanziamenti, una non perfetta digitalizzazione della pubblica amministrazione, le infrastrutture di rete inadeguate. A chiarire la portata della scommessa ci pensa un report di Boston Consulting Group, leader nella consulenza strategica: “Nel ranking delle prime 50 imprese più innovative al mondo, almeno 20 (il 40%, n.d.r.) rappresentano casi di eccellenza nelle tecnologie Ict” ha ricordato Paolo Pasini. Ecco perché la Lombardia, se vuole recitare un ruolo da protagonista sui mercati mondiali, non può esimersi dal diventare un sistema informatico integrato. Considerazione condivisa tra gli addetti ai lavori è che la banda larga in Italia non funziona come dovrebbe. Le “autostrade digitali” – come sono state più volte definite – subiscono rallentamenti e ingorghi, penalizzando le imprese. Se Stefano Scaglia, vice-presidente di Confindustria Bergamo, punta il dito contro “l’incapacità italiana di fare sistema, affidandosi a qualche imprenditore illuminato che decide d’investire con determinazione in It“, Luigi De Vizzi, direttore Pmi Ibm Italia, crede sia necessario “un salto culturale da parte delle aziende: “L’information technology a regime deve servire dal back office al front end, dalla realizzazione del prodotto alla sua vendita”. Teoricamente in accordo Luigi Tischer (Robur) che però sottolinea la necessità di “un vero supporto delle infrastrutture Ict, altrimenti si lascia l’imprenditore solo con le proprie scelte“.

Appurato quindi che il divario digitale penalizza il sistema-Paese e quindi il sistema-Lombardia – va sottolineato un altro fattore che limita fortemente l’accesso alle tecnologie informatiche in ambito aziendale: la difficoltà di accedere ai finanziamenti. Nota dolente e ben conosciuta anche dalle centinaia di promettenti startup che riescono a decollare solamente grazie al ricorso ad autofinanziamenti che, ovviamente, sono per pochi fortunati con le spalle già coperte. Da qui una serie di proposte sono state gettate sul tavolo: studiare una fiscalità di vantaggio per chi investe in It? Supportare le pmi attraverso accordi con le banche per l’accesso al credito a tassi agevolati? Incentivare i contratti di rete per le aziende che decidano di aggregarsi?
Il parere unanime è che tocchi al settore pubblico dover intervenire: il 97% del tessuto produttivo italiano è formato per l’appunto da piccole e medie imprese con meno di 250 dipendenti e “per fare degli investimenti in Ict è necessario realizzare degli utili”, prosegue Scaglia. “Non sempre è possibile e spesso mancano anche le competenze professionali all’interno delle aziende per implementare al meglio le nuove tecnologie” precisa De Vizzi (IBM). Siamo in tempi di grande crisi economica, dove esiste un prima e un dopo. Prima le piccole e medie aziende italiane erano poco informatizzate o si accontentavano di servizi rudimentali. Dopo, cioè oggi, le Pmi chiedono sempre di più l’apporto di information technology per lo sviluppo della propria attività.
A testimoniare questo cambiamento in atto è un colosso come Ibm, che lavora sempre più a stretto contatto con le Pmi italiane:Abbiamo filiali su tutto il territorio per stare vicini a clienti e partner – spiega Luigi De Vizzi, responsabile Mid Market Ibm Italia -. a crisi economica ha evidenziato il gap delle imprese italiane in termini di tecnologia ma adesso l’approccio è totalmente cambiato: chi era informatizzato si evolve e chiede più servizi, chi non lo era ha capito che l’information technology non è più solo un costo ma una risorsa essenziale del business”.

Il tessuto industriale delle piccole e medie imprese, però, è particolarmente articolato, richiede specifiche diverse anche in aziende dello stesso settore e spesso anche le richieste in campo tecnologico diventano specifiche. “È vero – ammette De Vizzi –. Spesso le nostre aziende sono piccole, ma con le esigenze e le complessità delle grandi. A volte abbiamo a che fare con imprese da 30 milioni di fatturato in Italia ma con una filiale gemella in India con cui interfacciarsi. Questo tipo di realtà non può creare un team interno da destinare all’innovazione tecnologica quindi si devono cercare soluzioni esterne. La nostra capacità deve essere quella di fornire soluzioni adatte alle diverse strutture“.


La situazione economica però rimane difficile anche in Lombardia, dove non manca il lavoro, ma paradossalmente scarseggia il denaro: è sempre più difficile essere pagati mentre le tasse sono costantemente da anticipare. Esiste una diffusa consapevolezza dell’importanza di investire in innovazione tecnologica per rimanere competitivi e tornare a crescere, ma rimangono esigue le risorse economiche da destinare allo scopo. E questo a maggior ragione per le piccole e medie imprese che durante gli anni più bui della crisi hanno dovuto dar fondo alla loro liquidità per stare sul mercato e sopravvivere. Per favorire il processo di rinnovamento delle piccole e medie imprese italiane la Ibm Global Financing ha messo a punto nuove proposte e un nuovo strumento che aiuta i clienti e i business partner a crescere, in linea con i propri budget e le proprie esigenze di business.

Sono previsti finanziamenti fino al 100% del progetto o della soluzione – conferma De Vizzi – per i clienti che desiderano acquisire immediatamente la proprietà dei beni, ma preferiscono differire nel tempo l’esborso. La durata contrattuale va da un minimo di dodici mesi a un massimo di cinque anni. Abbiamo previsto anche le locazioni operative per le aziende che non sono interessate alla proprietà del bene e che desiderano lasciare la gestione dei cespiti ed il rischio di invecchiamento tecnologico al locatore. Queste formule, insieme al leasing, permettono a partner e clienti di autofinanziare l’innovazione tecnologica interna“. È giunto il momento che la Pubblica Amministrazione faccia la propria parte puntando all’avanguardia tecnologica.