In Italia dal 2008 al 2009, nel pieno della crisi globale, il disavanzo pubblico è passato dl 2,7 al 5,4 per cento del PIL; all’aumento non hanno contribuito politiche discrezionali di bilancio

Nella media dell’area dell’euro il disavanzo è più che triplicato, portandosi al 6,3 per cento. Nel 2010 il nostro disavanzo si è ridotto, al 4,6 per cento, mentre quello dell’area, secondo le stime della Commissione europea, è rimasto invariato. Alla tenuta dei conti da parte del Governo ha contribuito il fatto che la solidità del sistema bancario italiano non ha richiesto rilevanti aiuti a carico del bilancio pubblico. Il debito pubblico italiano, già molto alto, è salito ancora. La sua gestione è stata prudente: ne è stata progressivamente allungata la vita media residua, pur in un contesto che rimaneva incerto e volatile. La situazione patrimoniale delle imprese e delle famiglie è nel complesso solida. La propensione dei risparmiatori verso strumenti finanziari ad alto rischio è bassa. L’indebitamento è contenuto, anche se concentrato in passività a tasso variabile, intrinsecamente più rischiose. Il problema dell’economia italiana, non è mai superfluo ricordarlo, è la difficoltà strutturale a crescere. Il compito, difficile, della politica economica è quello di cambiare questo stato di cose riducendo al tempo stesso l’incidenza del debito pubblico sul prodotto. Ripristinare rapidamente un solido avanzo primario e non sottrarsi all’esigenza di mettere in campo interventi che sostengano strutturalmente la crescita, questa è la sfida. Aumentare le aliquote fiscali è fuori discussione: comprometterebbe l’obiettivo della crescita, sottoporrebbe i contribuenti onesti a una insopportabile vessazione. Le aliquote andrebbero piuttosto diminuite, man mano che si recuperino evasione ed elusione. Non resta che il controllo della spesa, ma un controllo selettivo, orientato innanzitutto dalla distinzione fra ciò che favorisce la crescita e ciò che invece la ostacola. Scelte politiche sagge non possono che poggiare su una valutazione capillare degli effetti anche macroeconomici di ogni voce di spesa. La più attenta sorveglianza multilaterale sulla sostenibilità dei bilanci pubblici prevista dal nuovo Patto per l’euro non è da temere. Può aiutarci. Le riforme già fatte, in particolare quella pensionistica, ci pongono tra i paesi in cui per assicurare la sostenibilità di lungo periodo dei conti pubblici occorre una minore correzione dei saldi di bilancio. La nuova regola europea per la riduzione del debito non costituisce per noi un vincolo molto più stringente di quello già imposto dalla vigente regola del pareggio strutturale di bilancio. Si può stimare che il conseguimento di quest’ultimo obiettivo assicurerebbe, ipso facto, in favorevoli scenari di crescita economica, anche il rispetto della regola sul debito. Per questo non dobbiamo temere le linee di governance europea.

 

Mario Draghi è il Governatore della Banca d’Italia (brano estratto da un recente discorso tenuto all’Università Cattolica di Milano)