Tra le cause che hanno portato all’insurrezione contro il regime del Colonello c’è anche il fallimento delle riforme liberiste promosse negli ultimi anni. Uno scenario simile a molti altri Paesi dell’area, di cui dovremmo tutti tenere conto

E’ difficile prevedere cosa accadrà in Libia: Muammar Gheddafi accetterà il compromesso dell’esilio, come alcuni voci in circolazione da qualche giorno sembrano confermare?

E, soprattutto, al padre padrone del sistema politico e sociale passato alla storia come la “grande gamahirrya araba libica popolare socialista” succederà un ordinamento realmente democratico? Sono interrogativi cui sarà possibile rispondere solo una volta che l’alleanza in corso tra la Nato e il movimento che si raccoglie attorno al consiglio dei ribelli di Bengasi avrà dato i suoi frutti.

In attesa degli sviluppi della situazione, per un Occidente che sostiene e che guarda con ammirazione alla lotta dei popoli medio orientali per maggiori diritti civili e politici sarà forse interessante sapere che, in parte, è stata proprio l’adozione di misure economiche improntate al liberismo di stampo anglosassone ad aver affossato negli anni il consenso, in certi strati della popolazione abbastanza diffuso, verso il regime del Colonnello.

Come ha fatto infatti notare Karim Mezran, direttore del centro studi americani di Roma e docente alla John Hopkins University, “già molto tempo prima dell’inizio delle rivolte il Colonnello e il suo entourage avevano cercato di porre un argine al problema crescente della disoccupazione giovanile attraverso l’intensificazione dei programmi di liberalizzazione dei settori bancario e delle telecomunicazioni avviati nei primi anni 2000 in seguito alla revoca delle sanzioni vigenti da parte dell’Europa e degli Usa. Un’apertura verso l’economia di mercato che inizialmente, grazie ai diversi processi di privatizzazione e modernizzazione, ha dato i suoi frutti, aumentando il benessere della popolazione e, di conseguenza, il livello di consenso verso il governo di Gheddafi. I problemi, d’altra parte, sono sorti nel momento cui, a causa della concentrazione di tutto il potere nelle sue mani, il Colonnello è diventato responsabile, al contempo, dei successi, ma anche degli eventuali insuccessi, della nuova politica economica intrapresa”. Così, quando, alla fine del 2010, l’aumento improvviso dei prezzi dei generi alimentari ha svelato tutta la fragilità di un sistema incapace di affrontare la gravità dell’imprevisto perché non sostenuto da sufficienti infrastrutture e da un adeguato livello di istruzione e di competenza della popolazione, la rabbia della gente si è riversata su un regime cui, a causa delle aspettative suscitate, e deluse, non è bastato ricorrere, come rimedio estremo, alla promessa di una redistribuzione dei proventi ricavati dall’esportazione del petrolio.

Da questo punto di vista, la parabola libica è comune anche ad altri Stati dell’area medio orientale (vedi la campagna di liberalizzazioni promossa negli anni Ottanta in Egitto dall’Fmi e sfociata, in molti casi, in fenomeni di corruzione che hanno poi fomentato la protesta contro l’ex presidente Mubarak).

Sarebbe bene che le cancellerie occidentali ne tenessero conto, prima di promuovere riforme “democratiche” che, se non recepite e condivise dalle popolazioni locali, rischiano di diventare il seme di future nuove sommosse.