Sono molte le variabili che influenzano l’impatto dei costi IT sull’azienda e sul Sistema Paese. Gartner detta dieci regole per tenerle sotto controllo e liberare risorse

Il Rapporto annuale sulla situazione del Paese presentato a maggio dall’Istat riserva sempre interessanti ambiti di riflessione e spunti pratici per ragionare a fondo sulle tendenze in atto nel nostro Paese. Il Capitolo 5 è dedicato alla Strategia Europa 2020, declinata in ogni Stato membro attraverso un Piano Nazionale di Riforma che stabilisce gli obiettivi parziali da raggiungere. Il titolo, da solo, dice tutto: Europa 2020, per una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile; è proprio qui che albergano le indicazioni più utili per cogliere gli scenari futuri. Prendiamo l’innovazione; non tutto va così male come siamo troppo spesso portati a credere. Le riforme del Ministro Brunetta cominciano a dare frutti interessanti; nel 2010, l’83,7% delle imprese italiane ha utilizzato i servizi on line della Pubblica Amministrazione; come ha osservato l’Istat, “il 77,5% fruisce di servizi di tipo non esclusivamente informativo, poco più della metà utilizza i servizi di e-Gov per inviare alle amministrazioni moduli compilati e il 46,4% per svolgere procedure amministrative interamente per via elettronica”. Insieme al nuovo CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale), tutto ciò è destinato a trasformarsi in ulteriore contenimento dei costi burocratici. C’è un altro dato che fa ben sperare, nonostante tutto. La posizione dell’Italia rispetto all’incidenza di imprese high – grow, quelle cioè che, secondo la definizione Ocse, con almeno dieci dipendenti, presentano una crescita annua media in termini di dipendenti superiore al 20% per tre anni consecutivi, è buona; l’incidenza di queste imprese in Italia è pari al 3,7%; si tratta di un segmento che da solo rappresenta il 49,6% della crescita occupazionale nel triennio 2005 – 2008.

Onerose criticità
Fin qui dati incoraggianti a cui purtroppo non ne seguono di altrettanto confortanti rispetto agli altri indicatori Europa 2020; nel complesso il nostro Paese è al di sotto dei target europei, con distanze tuttora significative rispetto a Ricerca & Sviluppo e Capitale Umano. Proprio il Capitale Umano rappresenta una grave criticità per le aziende e la società tutta; è il costo, per lo più occulto, dell’ignoranza digitale e scientifica, che impedisce al cittadino di comprendere a fondo le potenzialità degli strumenti disponibili e conduce verso la duplicazione di operazioni e la levitazione dei costi. Lo scorso 17 maggio, a Milano, l’Aica ha dedicato un convegno a questo tema. Si è parlato del costo dell’impreparazione informatica nella Pubblica Amministrazione locale, analizzando le sfide dell’Agenda Digitale; la ricerca, condotta in collaborazione con Sda Bocconi, ha evidenziato come l’ignoranza informatica costi oltre 205 milioni di euro; una formazione adeguata, invece, consentirebbe di migliorare la produttività del 12%. Dati molto significativi, ancor più sensibili se abbinati a quanto emerso dal Rapporto Istat. Si pensi, per esempio, che il 59% delle famiglie italiane accede a Internet da casa, contro il 70% della media UE; tra l’altro, meno della metà delle famiglie in Internet utilizza una connessione in banda larga. Interessa sapere che tra i cittadini over 14 in Rete per contattare la Pubblica Amministrazione, il 37,8 % ha ottenuto informazioni dai siti istituzionali, il 27,5% ha scaricato moduli e il 13,4% ha inviato on line moduli compilati. Riflettere su questa situazione significa, per imprenditori e amministratori, valutare costi indirettamente legati all’IT, eppure pesanti nell’articolazione di un budget IT.

Formazione e spesa IT
La competitività, oggi più che mai, si gioca sulle doti imprenditoriali, piuttosto che sulla differenziazione dei tool; come osservò Hamel nel celebre testo “Competing for the future” di Gary Hamel e C.K. Prahaland, per vincere nel business è indispensabile disporre innanzitutto di abbondanti risorse; ambizione e disponibilità di tutto quanto necessario sono le chiavi del successo. Tutto ciò fa sì che nelle fasi che precedono la ripresa sia necessario spingersi verso le opportunità piuttosto che le difficoltà. Lungimiranza e audacia sono gli ingredienti base per il cambiamento in tempi turbolenti. Come spesso accade, di fronte alla repentina trasformazione del contesto di lavoro si trasformano anche le figure professionali richieste. Per questo preoccupa ancor più la tendenza emersa dal Rapporto Istat; è in corso una riduzione sia della domanda potenziale di istruzione terziaria (con un calo dei diplomati) che della domanda effettiva, con un calo delle immatricolazioni universitarie. Ben altra tendenza, invece, in Europa. Vediamo il caso della Confederazione Elvetica; la Svizzera continua a credere e investire in formazione; lo ha fatto anche in tempo di crisi, quando ha deciso di non tagliare gli investimenti nel settore. A marzo, poi, il governo ha trasmesso al Parlamento un progetto di legge destinato a innalzare il tetto della detraibilità delle spese di formazione professionale. La proposta colpisce, non tanto per le cifre in gioco, quanto per la scelta di abolire la restrizione alla formazione connessa solo all’attività professionale o alla riqualificazione imposta da condizioni esterne o interne all’azienda. Con le nuove disposizioni, queste restrizioni spariranno. Il cittadino sarà libero di seguire tutti i corsi professionali che desidera, non importa se sganciati dall’attività professionale. Certo, svincolare fondi e detrazioni dai contenuti richiede maturità da parte di tutti ma l’esperienza elvetica sembra essere rassicurante, forte del fatto che le scelte odierne, controcorrente, sono il frutto di anni di esperienze ben diverse, fatte di fondi vincolati e di innovazione inibita, proprio come accade da noi.

L’IT Clock per decidere
La modesta crescita registrata nel mondo occidentale nel primo semestre 2011 non deve distogliere l’attenzione dalla missione di ottimizzazione dei costi IT. Conoscere a fondo l’infrastruttura IT, mapparne le relazioni con le operazioni di business consente di individuarne punti di forza e punti deboli. Il decalogo proposto da Gartner a fine 2009 è ancora attuale; le dieci azioni traducono scelte contingenti in indicazioni strutturali, destinate a influenzare le strategie di crescita aziendale per liberare nuove risorse. Nella sostanza le dieci regole si traducono in: rinegoziare i contratti in essere più significativi; deferire tutte le iniziative considerate non strategiche; consolidare l’Infrastructure and Operations; ridurre i consumi; razionalizzare il controllo e la crescita dello storage; razionalizzare le operazioni IT; potenziare l’IT Asset Management; ottimizzare il multi-sourcing. Sono anche disponibili strumenti molto efficaci che permettono di associare l’analisi dei costi alle decisioni da prendere. Mi riferisco all’IT Clock, da declinare in funzione delle varie tecnologie, presentato per la prima volta da Gartner nel 2009; mentre il celebre HypeCycle è a supporto della ricerca della tecnologia più adatta, il Clock supporta le decisioni per le tecnologie già in uso. L’IT Clock è a tutti gli effetti un orologio; le informazioni, infatti, sono tradotte graficamente nell’immagine di un orologio, nel cui quadrante sono inserite le informazioni utili a chi poi in azienda prende le decisioni. Sviluppato dagli analisti matematici, permette di valutare a che punto della loro vita si trovano le tecnologie che stiamo utilizzando, aiutandoci così a prendere quelle decisioni operative, individuandone i costi. I quadranti dell’orologio identificano le quattro aree tipiche della vita di una tecnologia: dalle 12 alle 15 ci sono le soluzioni emergenti; dalle 15 alle 18 si trovano le soluzioni mature; dalle 18 alle 21 invece le tecnologie raggiungono l’apice della diffusione; dalle 21 alle 24, infine, ci sono tutte le tecnologie ormai prossime al fine vita.