Dai dati dell’Osservatorio di settore del Politecnico di Milano emerge come le tecnologie di fatturazione elettronica in Italia sono appannaggio di una minoranza di grandi imprese. Alcuni player raccontano le evoluzioni in atto nel nostro mercato

L’Italia procede a rilento nell’adozione dei metodi di archiviazione elettronica dei documenti. È questo l’esito dell’indagine condotta da Computer Business Review tra alcuni player di mercato con l’intento di fornire un quadro esaustivo delle soluzioni per l’archiviazione e la gestione dematerializzata dei dati sensibili. Diamo prima uno sguardo a quello che succede nel resto d’Europa, dove la strategia per lo sviluppo di Europa 2020 e, soprattutto, il programma dell’Agenda Digitale, in questi ultimi mesi portato avanti con determinazione dal commissario europeo Neelie Kroes, consentono di inquadrare il fenomeno nella più ampia prospettiva comunitaria. Nell’UE a 27, per fatturazione elettronica e simili, la situazione sembra rimanere sostanzialmente al palo. Da una ricerca recentemente condotta dalla società Quocirca, infatti, emerge come, nonostante sia stato provato che l’eliminazione della carta porterebbe agli utenti una riduzione delle spese da sostenere fino al 70% (eliminazione dei costi per l’acquisto e il consumo della carta e per le spedizioni postali) nel 2010 in Europa solo il 10% delle fatture è stato scambiato in formato elettronico. Non solo: il 42,5% delle informazioni critiche per le aziende risulta essere stato archiviato esclusivamente in formato cartaceo, a fronte di un 22% di organizzazioni che invece hanno fatto ricorso a workflow automatizzati. Tornando all’Italia, tutto questo avviene nell’ambito di una normativa di settore che, dopo un iter abbastanza lungo e travagliato (le prime disposizioni in materia di conservazione sostitutiva risalgono al recepimento nel 2004 della direttiva 2001/115/CE) basterebbe, ora, a rappresentare un riferimento giuridico sufficiente a sbloccare il mercato, ma che, a causa dei tempi lunghi nell’approvazione dei decreti attuativi da parte delle Regioni, non è ancora abbastanza solida per arrivare a standardizzare l’attività di interscambio presso il destinatario principale della normativa stessa, ovvero le Pubbliche Amministrazioni centrale e locali.
Prendendo in esame i numeri forniti dalla School of Management del Politecnico di Milano relativamente allo stato del mercato nel nostro Paese, risulta evidente che la fattura elettronica è appannaggio solo delle grandi imprese private, con le organizzazioni più piccole a seguire a macchia di leopardo; la PA, invece, ancora prende tempo.
“In attesa del secondo decreto attuativo che sancirà l’obbligo, per le aziende che lavorano con la Pubblica Aministrazione, all’utilizzo della fattura elettronica, la dematerializzazione del documento rimane una prerogativa delle grandi organizzazioni – ha affermato, nel corso di un recente incontro del Polimi dedicato all’argomento, Alessandro Perego, responsabile scientifico dell’osservatorio su fatturazione elettronica e dematerializzazione del documento –. La fattura elettronica pura, poi, è utilizzata da poche decine di imprese; il quadro è migliore se si fa riferimento alle versioni parziali della dematerializzazione, con una quota di mercato che arriva anche al 50%, ma si tratta di cifre comunque insufficienti se solo si pensa che degli 1,3 miliardi di fatture circolanti in Italia il 95% è ancora in formato cartaceo. Eppure il momento sarebbe propizio per un’adozione più spinta delle tecnologie di settore, perché nella fase attuale la normativa non è ancora stringente, e questo rende possibile una transizione morbida verso il nuovo regime”.

La semplificazione delle tecnologie e delle regole
Davanti a tutti questi numeri, è legittimo domandarsi quale sia l’effettivo livello di diffusione delle tecnologie e degli applicativi per la fatturazione elettronica nel Paese. Lo abbiamo chiesto ad alcuni protagonisti del mercato, che si confrontano sui principali aspetti inerenti la questione.
“Già da qualche tempo, il mercato italiano sta mostrando segni d’interesse verso questo tipo di soluzioni, che consentono risparmi ed efficienza con un payback time inferiore a un anno – ha esordito Andrea Valle, Senior Technical Architect di Adobe Systems Emea –. Anche la tecnologia ha dimostrato di essere all’altezza delle aspettative, sebbene molti fornitori ancora non abbiano ben compreso come la chiave del successo stia nel rendere il meno traumatico possibile l’impatto del cambiamento, attraverso l’offerta di soluzioni intuitive e facili all’uso per i clienti. Per contro, persistono ancora ostacoli legati al completamento e al chiarimento del quadro normativo, sia a livello comunitario che nazionale”.
L’azienda americana, in particolare, si avvale di una rete selezionata di partner del canale indiretto che, in virtù della mission a favore della semplificazione tecnologica intrapresa dal vendor, provvede a realizzare personalizzazioni e configurazioni ad hoc delle applicazioni derivate dalla Adobe Digital Enterprise Platform, e indirizzate a una platea di utenti che spazia dalle piccole imprese alle realtà più virtuose della pubblica amministrazione locale.
“Il target delle soluzioni di fatturazione elettronica è potenzialmente molto vasto, perché coinvolge tutte le imprese, dalle PMI al corporate, e il settore pubblico, dai comuni alla PAC – ha proseguito Valle –. D’altra parte, l’attualità restituisce un quadro più frammentato, dovuto al fatto che quel cambiamento di ‘sistema’ necessario a coinvolgere nella trasformazione tutti gli attori del mercato, per quanto riguarda le tecnologie di conservazione sostitutiva non si è ancora realizzato. Al momento, dunque, a spingere la fatturazione elettronica ci sono solo i grandi clienti, quelli che stanno ai vertici della filiera”.
D’altra parte, per incoraggiare la transizione degli utenti verso nuovi modelli di interscambio dei documenti è auspicabile un maggiore impegno a favore dell’educazione culturale del mercato da parte dei produttori.
Ne è convinto Serafino D’Ignazio, Product Marketing Manager di Infocert, che ha aggiunto come “il passaggio da una gestione cartacea a una paperless ha significato e valore solo se viene accompagnato da un ripensamento complessivo dell’organizzazione operativa. Nel medio lungo periodo, infatti, la conservazione sostitutiva e la fatturazione elettronica possono portare significativi benefici, sia in termini di risparmio dei costi che di efficientamento operativo. Al vantaggio economico va aggiunta inoltre una considerazione che riguarda l’impatto del documento digitale sui processi, con il miglioramento della qualità e dell’accuratezza dei dati e delle informazioni gestite, della sicurezza e dell’integrità del documento. Si tratta infatti di impatti positivi che si traducono in un’ottimizzazione del personale dedicato allo svolgimento delle attività e in una maggiore soddisfazione degli utenti finali”.
L’Ente certificatore per la firma digitale in Italia, poi, ravvisa anche un certo attivismo da parte dei clienti che già stanno sperimentando le soluzioni di fatturazione elettronica, creando, in questo un effetto ‘passaparola’ virtuoso nel settore. “I vantaggi raggiungibili e le testimonianze delle organizzazioni che hanno già adottato soluzioni di conservazione sostitutiva costituiscono senza dubbio una leva e un incentivo per chiunque decida di compiere il passaggio dalla gestione cartacea a quella digitale nell’ambito del proprio sistema di fatturazione – ha spiegato il manager –. Sono valutazioni valide per associazioni, ordini professionali, pubbliche amministrazioni, liberi professionisti e settori dell’enterprise, soprattutto banche, istituzioni finanziarie e società di Telco; in altri termini, tutte quelle organizzazioni che per esigenze di organizzazione interna e di compliance normativa necessitano di soluzioni e di servizi per la gestione dei flussi documentali in formato elettronico e con valore legale”.
Dopodiché, va da sé che la maggiore sensibilità di alcuni target di clientela, soprattutto i settori verticali, verso le tecnologie in questione fa la sua parte nell’ottica di un maggiore stimolo all’offerta di soluzioni da parte dei vendor.
È il caso del produttore Cedacri, fin dall’inizio delle attività specializzato nella realizzazioni di applicativi per l’outsourcing della gestione documentale di banche e istituti finanziari.
“Dai risultati di un’analisi di scenario che recentemente abbiamo commissionato emerge che la dematerializzazione dei documenti è prima per priorità e terza per intensità di investimento nei business plan delle banche – hanno dichiarato Stefano Carmina ed Eugenio Di Lorenzo, rispettivamente Product Manager e Responsabile Area Contabilità della società italiana –. Le stime, in particolare, lasciano intravedere un futuro in cui la banca paperless porterà alle organizzazioni e ai loro clienti diversi vantaggi, misurabili in termini di abbattimento dei costi operativi, incremento della sicurezza delle transazioni e innalzamento della qualità dei servizi resi alla clientela”.
Un applicativo su cui il vendor ultimamente sta concentrando gli sforzi, in particolare, è la firma biometrica, una delle tante declinazioni della conservazione sostitutiva che, secondo Cedacri, può essere utile a superare l’impasse legata alle incertezze normative del settore. “Nell’attuale quadro legislativo relativo alle tecnologie di fatturazione elettronica una delle principali mancanze è rappresentata dall’assenza di regole in materia di firma digitale – hanno spiegato i due manager –. Ed è proprio a fronte di questa incertezza, che alla fine risulta lesiva degli interessi del cliente, che abbiamo deciso di investire nella firma biometrica, la quale, a differenza della firma elettronica, è in grado di garantire l’identificazione univoca del titolare. Più nel dettaglio, Cedacri ha avviato una fase di analisi delle principali soluzioni di firma disponibili sul mercato, studiandole sia dal punto di vista della dematerializzazione della firma stessa in fase di acquisizione da parte del cliente sia nella fase di operatività della filiale di banca, nell’ottica della dematerializzazione della busta di cassa”.
Al di là di tutto, però, il driver più importante che al momento sembra poter giocare un ruolo decisivo nella diffusione delle tecnologie di conservazione sostitutiva è la semplicità delle soluzioni.
La conferma arriva da Intesi Group, che per bocca dell’Amministratore Delegato Fernando Catullo ha così commentato: “Premesso che per noi la fatturazione elettronica e la conservazione sostitutiva rappresentano un sinonimo di firma digitale, dal momento che quest’ultima è lo strumento che di fatto rende possibile l’implementazione di tutte le procedure informatiche che sottendono ai processi stessi di fatturazione elettronica e di conservazione dei documenti digitali, ciò di cui prendiamo atto è che, oggi, i clienti si aspettano che il mercato offra loro moduli preconfenzionati come opzioni del sistema ERP aziendale, da fruire secondo le più aggiornate modalità di delivery, a loro volta rese possibili dal Cloud Computing. Il ruolo dei fornitori di tecnologia diventa quindi sempre più decisivo, avendo a che fare con la capacità di offrire prodotti completi, affidabili e a costo ridotto, in linea con quella tendenza alla standardizzazione che il mercato sempre di più richiede”.
Più nel dettaglio, la società è presente sul mercato nostrano con le soluzioni proprietarie di firma remota con modalità operative di firma automatica e massiva della serie PkSuite, che mettono i clienti nelle condizioni ottimali per usufruire di sistemi di fatturazione elettronica e di conservazione sostitutiva molto sensibili al rapporto tra la qualità e il prezzo delle tecnologie impiegate. “Intesi Group ha come mission la proposizione ai propri clienti di soluzioni in grado di soddisfare ogni tipo di esigenza, secondo la creatività e le disponibilità finanziarie di ciascun utente e nel pieno rispetto dei dettami normativi” ha specificato Catullo.

 

Codice dell’Amministrazione Digitale, un cantiere sempre aperto
In Italia, il principale riferimento normativo per la regolamentazione delle attività di interscambio dati tramite le tecnologie di archiviazione elettronica (conservazione sostitutiva, trasmissione telematica delle fatture, fatturazione elettronica, scambio dati via Edi) è costituito dal Codice dell’amministrazione digitale, emanato con decreto legislativo n.82 del 7 marzo 2005 e successivo alla promulgazione del decreto legislativo n.52 del 20 febbraio 2004, a sua volta frutto del recepimento della direttiva dell’Unione europea 2001/115/Ce.
Il Codice è entrato in vigore il 1° gennaio 2006, con lo scopo “di assicurare e regolare la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale, nell’ambito delle attività di interscambio documentale della Pubblica Amministrazione e nei rapporti tra quest’ultima e i privati”. La promulgazione del testo legislativo, che nel corso degli anni ha subito diverse modifiche, le più importanti delle quali fanno riferimento all’aggiornamento dei contenuti avvenuta tramite il decreto n.235/2010, ha suscitato reazioni contrastanti tra gli addetti ai lavori. Da una parte si collocano coloro che ne hanno accolto positivamente l’uscita, considerando il Codice un importante atto di riordino della materia; dall’altra, invece, c’è la non minoritaria schiera degli scettici, che criticano la contraddizione esistente tra le enunciazioni di principio del Codice e la scarsità al suo interno di disposizioni operative che ne possano rendere concreta l’attuazione. Inoltre, secondo le voci più “intransigenti” dei critici, con le varie modifiche apportate al Codice dell’amministrazione digitale si sarebbe verificata una degenerazione della ratio originaria del provvedimento di legge, ovvero l’intento di rendere la tecnologia informatica uno strumento per la semplificazione amministrativa. Stando a questa tesi, nel corso del tempo il quadro normativo si sarebbe eccessivamente complicato e, soprattutto, il legislatore avrebbe sottovalutato i rischi legati a un passaggio non abbastanza graduale dall’organizzazione cartacea a quella elettronica, non assumendo, in particolare, adeguate misure per arginare il digital divide e per aumentare il tasso di alfabetizzazione informatica della popolazione.