Le nuove tecnologie rappresentano per il mondo della moda un prezioso alleato ma anche una novità con cui confrontarsi, regole alla mano

Le nuove tecnologie e, in particolare, quelle telematiche delle quali Internet e il Web costituiscono, probabilmente, i più rappresentativi testimonial stanno dando vita a una rivoluzione socio-economica senza precedenti per rapidità e intensità.
Non c’è settore dell’economia, dell’imprenditoria e della vita di relazione che possa fondatamente sentirsi al riparo dagli effetti di questa rivoluzione. Non c’è dunque da meravigliarsi se Internet e, in particolare, il commercio elettronico stiano portando scompiglio persino nel settore della moda e del Fashion, isola felice di lusso, ricchezza e qualità. Ma cosa c’entra Internet con la vendita dei prodotti Fashion, oggetto dei desideri proibiti di milioni di uomini e donne che passano e ripassano davanti alle vetrine delle eleganti boutique del centro delle nostre città e provano e riprovano esose borse e scarpe o costosi abiti e occhiali?
Molto, anzi, moltissimo perché la Rete e, ancor di più il commercio elettronico, minacciano di rimettere in discussione il tradizionale assetto delle reti di distribuzione selettiva di questo genere di prodotti.
Per capire gli esatti termini della questione bisogna fare un passo indietro e ritornare a quello che prevede la vigente disciplina europea in materia di distribuzione selettiva di ogni genere di prodotto, Fashion incluso.
Le regole dell’Unione Europea stabiliscono che, in linea di principio, ogni genere di accordo con il quale il fornitore di taluni prodotti, limiti le possibilità per il distributore, membro della propria rete di vendita di vendere liberamente i prodotti a quest’ultimo forniti, costituisca un ostacolo alla concorrenza e debba, pertanto, considerarsi vietato.
In deroga a questo principio generale, tuttavia, in forza di quanto previsto da alcuni regolamenti di matrice comunitaria, prevedono che gli accordi conformi alle previsioni in essi contenute, possano considerarsi leciti benché contenenti talune limitazioni per i distributori.
È ovvio che nel 2011, nell’era della Rete, una delle limitazioni che la maggior parte dei fornitori ambirebbe a inserire nei contratti con i propri distributori riguarda proprio l’utilizzo di Internet: le vendite online, infatti, sono per definizione delocalizzate con la conseguenza che un distributore di Milano, online, può vendere tranquillamente i suoi beni anche in Sicilia, insidiando così il mercato geografico del distributore operante in tale zona al quale, tuttavia, il fornitore chiede di farsi carico dei medesimi investimenti per aprire la propria boutique e caratterizzarla da standard quantitativi e qualitativi in linea con l’immagine del marchio.
Ciò è, a maggior ragione, vero nel caso della distribuzione di prodotti Fashion.
I fornitori e produttori di tale genere di prodotti, infatti, esigono giustamente dai distributori che ambiscono a far parte delle loro reti di vendita, che le loro boutique siano particolarmente lussuose e accattivanti e che siano gestite senza lasciare nulla al caso in accordo con il prestigio dei brand e delle aspettative del tipico consumatore di prodotti Fashion.
Ma che succede se dopo aver chiesto a un distributore di Roma di mantenere una boutique in centro facendosi carico di proibitivi costi di affitto, di arredarla con ogni lusso e confort e, magari, di assumere commesse poliglotte, ci si avvede che i consumatori romani dopo aver guardato, provato e scelto borse, scarpe e occhiali da sole aiutati da professionalissime commesse, salutano e corrono a casa a ordinare gli stessi prodotti online attraverso il sito di e-commerce di un altro distributore o, magari, su Amazon o Ebay? Le conseguenze del nuovo scenario sono evidenti.

La disciplina UE
In linea di principio, tuttavia, la disciplina europea della materia impedisce ai fornitori di vietare ai membri delle proprie reti di distribuzione selettiva, di vendere i beni oggetto degli accordi di distribuzione online.
Secondo le istituzioni UE, infatti “Internet rappresenta uno strumento straordinario per raggiungere clienti più numerosi e diversificati rispetto a quanto avverrebbe utilizzando solo metodi di vendita più tradizionali” e per questo, “in linea di principio, a qualsiasi distributore deve essere consentito di utilizzare Internet per vendere prodotti”.
In particolare, secondo quanto stabilito nel recente Regolamento europeo n. 330 del 20 aprile 2010 nessun fornitore può vietare ai propri distributori di vendere i propri prodotti online o perseguire un analogo risultato in via indiretta. Secondo la disciplina UE, costituiscono esempi di questo genere:

 

• un accordo con cui il distributore (esclusivo) impedisca a clienti situati in un altro territorio (esclusivo) di visualizzare il suo sito Internet o che preveda sul proprio sito Internet il reinstradamento automatico dei clienti verso il sito Internet del produttore o di altri distributori (esclusivi). Ciò non esclude la possibilità di concordare che il sito Internet del distributore offra anche una serie di link ai siti distributori e/o del fornitore.

• un accordo con cui il distributore (esclusivo) interrompa le transazioni dei consumatori via Internet una volta accertato mediante i dati della loro carta di credito che il loro indirizzo non si trova nel territorio (esclusivo) del distributore.

 

• un accordo con cui il distributore limiti la proporzione delle vendite complessive fatte via Internet. Questo non esclude, tuttavia, la possibilità che il fornitore richieda, senza limitare le vendite on-line del distributore, che l’acquirente venda off-line almeno una certa quantità assoluta (in valore o in volume) dei prodotti per garantire una gestione efficiente del suo punto vendita «non virtuale», né impedisce al fornitore di assicurarsi che l’attività on-line del distributore rimanga coerente con il modello di distribuzione del fornitore. Tale quantità assoluta di vendite off-line richieste può essere la stessa per tutti gli acquirenti o essere stabilita a livello individuale per ogni acquirente sulla base di criteri oggettivi, come le dimensioni dell’acquirente nella rete o la sua ubicazione geografica.
Si tratta, probabilmente, di una delle opportunità offerte dalla disciplina europea più utilizzata dalle società operanti nel settore del fashion per limitare, almeno, la possibilità di vendere online ai soli membri già appartenenti alle proprie reti di vendita e già in possesso di una boutique fisica, ponendosi, così, al riparo dalle vendite online dei cosiddetti pure player, ovvero quei soggetti che operano esclusivamente online.
 

• un accordo, infine, con cui il distributore paghi un prezzo più elevato per i prodotti destinati a essere rivenduti online dal distributore rispetto ai prodotti destinati a essere rivenduti off-line.

Ciò, però, non esclude la possibilità che il fornitore concordi con l’acquirente un compenso fisso (ossia non un compenso variabile che aumenti in base al fatturato realizzato offline in quanto questo rappresenterebbe indirettamente una doppia tariffazione) per sostenere gli sforzi di vendita offline o online dell’acquirente.

 

Secondo la stessa disciplina europea, tuttavia, il fornitore può vietare al proprio distributore di utilizzare la Rete per andarsi a ricercare, attivamente, clienti al di fuori della propria zona di responsabilità il che, per esempio, accade quando un distributore invia mail a gruppi di consumatori che sa risiedere al di fuori della propria zona o conclude accordi per la pubblicazione di banner indirizzati geograficamente a talune categorie di consumatori residenti al di fuori della propria zona.
Egualmente (e si tratta di un’altra opportunità alla quale il mondo del fashion ha fatto particolare ricorso) in ragione delle peculiarità dei prodotti appartenenti al segmento della moda e del lusso, il fornitore può esigere che il sito Web utilizzato dal proprio distributore per la commercializzazione dei propri prodotto risponda a specifici ed elevati standard qualitativi e quantitativi.