Una ricerca dell’Osservatorio Unified Communication & Collaboration, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e dal titolo “Cloud Communication: collaborare al tempo delle nuvole” si propone di dare risposte alle domande poste dalle PMI italiane relative ai servizi cloud.

Le previsioni per il futuro della rete non sono solo incoraggianti, ma addirittura splendide. Tutto merito del cloud computing, la tecnologia introdotta da una generazione di netbook leggeri che sta rivoluzionando il nostro paradigma di pensiero e di lavoro, consentendo l’accesso in tempo reale da qualsiasi luogo a dati, programmi e piattaforme operative. Sempre più il cloud computing si sta affermando come un nuovo modo di accedere al lavoro, alle informazioni e di poterle gestire sfruttando la rete.
Evidentemente i vantaggi ci sono, ma quali sono? Le domande sono ancora le stesse di un anno fa anche se si stanno delineando gli scenari. Eppure le Pmi continuano a chiedersi: quale ruolo stabilire per il cloud e i modelli as a service? Quanto si deve investire e in quali iniziative? Quanto vale il mercato italiano? Gli strumenti consumer vengono utilizzati dalle imprese? Quale ruolo giocano i nuovi tablet e, soprattutto, le soluzioni sono integrate all’interno dei processi aziendali?
A queste domande si è cercato di dare risposta attraverso la presentazione della ricerca dell’Osservatorio Unified Communication & Collaboration. L’evento si è svolto in due momenti: durante la mattinata la presentazione dei risultati della ricerca è stata seguita dalla discussione di case study di aziende che hanno già implementato soluzioni clou. I casi di studio sono stati ulteriormente approfonditi durante la tavola rotonda, cui hanno partecipato sia Cio sia rappresentanti dell’offerta. Nel pomeriggio si è tenuto un workshop di approfondimento.
Cosa cambia con il cloud computing?
I file fino a oggi salvati in locale si trovano, immediatamente disponibili, su server remoti simili a “nuvole”, così come i software usati per crearli. La vecchia immagine della rete, luogo di intreccio di autostrade di informazioni, sarà sostituita da quella di punto di sosta dotato di tutti gli strumenti per proseguire le nostre attività digitali – scrivere testi, ricevere e-mail e telefonare, divertirsi con videogiochi, editare immagini e montare video. Non importa dove e su quale supporto si è iniziato a elaborare un documento: in qualunque momento, da qualsiasi postazione, sarà possibile tramite browser recuperare il file, magari completandolo, oppure proseguire una multisfida online. Testi, foto, video e videogiochi: tutto in una nuvola.
Come hanno intuito i grandi protagonisti del mondo It, la migrazione di prodotti e servizi online rappresenta una grossa opportunità di business dietro cui si cela una precisa strategia di penetrazione del mercato. Da anni Google ha messo a disposizione online Google Docs, il servizio di programmi per elaborare documenti, che ha preparato il debutto del sistema operativo Chrome, interamente basato su cloud computing. Dal canto loro, i “redmondiani” di Microsoft hanno reso disponibili online gratis versioni ridotte ma funzionali dei programmi Word, Excel e Power Point: il servizio è al momento in fase beta ma di sicuro rappresenta una rivoluzione per gli utenti; mentre c’è chi ha già eletto la piattaforma Windows Azure come possibile prodotto di successo del cloud computing, implementabile all’interno delle aziende.
I casi citati sono solo esempi dello scenario attuale, in cui la tendenza al cloud computing sta modificando il nostro modo di pensare e di lavorare. La rete è al momento ricca di programmi e soluzioni orientate, come DropBox che consente di creare una nostra nuvola personale e sincronizzare i dati in essa contenuti con il nostro portatile e il nostro smartphone. È finita l’era dei trasferimenti via e-mail, chiavetta usb e cavi: si apre l’epoca dell’accesso non-stop ai dati.
La vera partita si giocherà però sul fronte della privacy ovvero come mettere in sicurezza i dati e contemporaneamente convincere gli utenti a fidarsi. Se per assicurare la protezione dei dati delle persone può forse bastare la promessa-bandiera di Google “Don’t be evil” a non farne uso improprio, per le informazioni aziendali la questione è molto più complicata. Come è possibile far risiedere i dati delle aziende su server remoti senza temere perdite o usi fraudolenti?
La risposta di Ibm si chiama criptazione omomorfica, una sorta di scatola virtuale che protegge la nuvola e i dati in essa contenuti. Lo schema di cifratura costringe il client remoto a eseguire un programma o completare una ricerca senza decifrare i dati. Craig Gentry, l’ideatore, pare sia riuscito anche a cifrare i comandi. C’è un “ma”: l’operazione richiede una enorme potenza di calcolo e dunque sulla base degli algoritmi di Gentry i ricercatori stanno perfezionando la tecnologia. In attesa delle soluzioni tecnologiche, c’è chi pone questioni etiche – come la necessità di chiedere l’assenso di un giudice prima di accedere ai dati archiviati nelle nuvole – e chi prefigura un modello aziendale in cui il cloud computing coprirà solo parte delle applicazioni.
Nonostante i comprensibili dubbi in materia di sicurezza, l’ascesa del cloud computing sembra però inarrestabile, così come pare inevitabile il passaggio da un monopolio di Microsoft a uno di Google. La partita è aperta.
Per quanto riguarda la riduzione dei costi, si è fatto notare che la tecnologia cloud è pagata da qualcun altro (il fornitore del servizio). Io pago solo per il consumo che ne faccio e solo quando lo uso: oggi uso il cloud e pago, il mese prossimo non lo utilizzerò più e non pagherò più; oggi ho bisogno che solo cinque utenti della mia azienda utilizzino il cloud e io pago solo per cinque persone, il mese prossimo solo due utenti dovranno utilizzarlo e io pagherò solo per due persone. L’investimento iniziale dell’intera infrastruttura non l’ho fatto io e la mia azienda ha risparmiato molti soldi. Si avrà anche una maggiore richiesta di storage: la mia azienda potrà conservare molti più dati rispetto a un sistema informatico privato in sede.
Un solo server o una server farm avranno bisogno di tutta una serie di attività che vanno dalla manutenzione del sistema hardware e software, backup dei dati, disaster recovery, erogazione energia elettrica. Attività che non possono venir meno, pena l’affidabilità del servizio.
Altra question è la certezza dei costi: per utilizzare uno o più servizi in cloud io non devo far altro che pagare un canone al fornitore del servizio, canone fisso che già conosco. Quindi, niente costi nascosti e predicibilità mensile del mio budget. Infine la mobilità: io e miei collaboratori possiamo accedere alle informazioni ovunque ci troviamo, senza dover per forza rimanere alle nostre scrivanie, e in qualsiasi momento.
Si è passati poi ai benefici del cloud sulle economie nazionali. Da uno studio del Cebr (Centre for Economics and Business Research), il Cloud Dividend Report, emerge quale sarà l’influenza del cloud computing su diversi settori settori industriali di Francia, Germania, Spagna, Italia e Regno Unito nel periodo 2010-2015.
Ebbene, i risultati sono molto incoraggianti se si vuole considerare che si prevede che, grazie al cloud, in Europa saranno generati, entro il 2015, ben 763 miliardi di euro e oltre 2 milioni di posti di lavoro. In Italia, il volume d’affari generato sarà di 151 miliardi di euro e i posti di lavoro saranno 456mila. In un momento buio per l’economia europea, questi dati previsionali fanno ben sperare che il cloud si affermerà sempre più grazie a tutti i benefici che ne provengono dalla sua utilizzazione.