Trasparenza, condivisione, rovesciamento delle gerarchie e rimescolamento dei percorsi decisionali. Le aziende fanno ancora resistenza rispetto a questo scenario, ma dovranno cambiare sotto la spinta delle logiche social, del croudsourcing e delle potenzialità dei meccanismi di collaborazione che moltiplicano la produttività e renderanno il perimetro delle imprese sempre più indistinto e permeabile

Se ne parla con insistenza da almeno un lustro, ma prima che l’economia virasse bruscamente verso il rosso restava un vezzo per inguaribili teorici. Oggi invece quasi tutte le grandi aziende ragionano apertamente di un Business process reengineering che sappia restituire motivazione al personale che si è lasciato alle spalle molti benefit, e reinventare con la necessaria flessibilità strutture troppo ingessate.
Perché la sfida globale si affronta solo con aziende capaci di non chiudersi in sé stesse, di coinvolgere partner, clienti e talvolta perfino concorrenti verso obiettivi comuni.
Sarebbe una vera rivoluzione, come lo è l’uso dei social network nella sfera personale, ma in ambito business le resistenze restano forti e i casi di successo limitati, specie in Italia.

E se le case history a lieto fine nel resto del mondo cominciano a essere numerose, l’applicazione sbagliata di logiche di condivisione ai processi aziendali ha fatto anche vittime eccellenti. Un esempio è quello della Nasa, le cui recenti iniziative per coinvolgere in modo nuovo dipendenti e simpatizzanti sono state dichiarate un fallimento dagli stessi responsabili di queste attività.
Del resto è evidente che le migliori tecnologie non sono sufficienti a indurre cambiamenti così profondi, soprattutto quando manca la volontà da parte del management di mettersi in gioco apprezzando il valore delle scelte collettive.
Ma in che modo un’azienda può iniziare la trasformazione in un’organizzazione bottom-up senza compromettere i processi decisionali?

Il punto di partenza
Una volta accettato il cambiamento, bisogna fare i conti col fatto che il processo non può essere breve, ma progressivo. Ogni strumento di collaborazione introdotto dev’essere rodato sul campo e va fatto accettare dal personale senza troppe forzature, altrimenti si potrebbe perdere la spinta emotiva necessaria per l’aumento della produttività. Talvolta si dovrà anche fare i conti con qualche esperimento fallito e ritentare, con lo spirito di chi sta testando un cammino del tutto nuovo ma sicuramente promettente.
Uno dei salti più difficili è forse l’abbandono della posta elettronica in favore di strumenti di condivisione più sofisticati. In questo la maggior parte delle piattaforme sul mercato aiuta un passaggio graduale integrando il vecchio e il nuovo sistema in un’unica interfaccia user friendly, molto simile ai più diffusi social network.
Fondamentale anche attuare politiche che inducano gli utenti a consultare e compilare aree wiki di condivisione delle conoscenze e a partecipare a blog e zone di discussione, potendovi accedere con facilità anche da dispositivi mobili.
Un’azienda per essere 2.0 deve però aprirsi anche a soggetti esterni ai propri confini, integrando le piattaforme di condivisione con soluzioni di CRM e sperimentando nello sviluppo dei prodotti e nella preparazione delle campagne di marketing soluzioni innovative come il croudsourcing. Questo prevede il coinvolgimento di comunità di professionisti o di fan anche nella definizione di attività del core business. Si tratta di strumenti nuovi, quindi da usare con cautela, ma capaci di esprimere enormi potenzialità.
In questo senso rientra anche un modo del tutto nuovo di concepire la sicurezza, di cui abbiamo parlato molte volte su queste pagine, che prevede di trasferire a un gran numero di soggetti anche informazioni chiave sulle attività dell’azienda, senza preoccuparsi troppo del furto di idee, e mantenendo protetti solo pochi dati essenziali e per il tempo strettamente necessario, in piena logica open data.
Tutto questo ovviamente richiede investimenti, anche se non necessariamente enormi, e si potrebbe pensare come riservato a grandissime realtà.
La verità è che le piccole imprese che sanno unirsi in una rete attraverso questi meccanismi di condivisione, anche attraverso soluzioni molto economiche, possono aspirare a competere in gruppo con grandi realtà, operando come una multinazionale integrata a monte e a valle.

Il premio finale
Risolti ostacoli come l’abitudine del management ad avere il pieno controllo dei percorsi decisionali, la sensazione di frivolezza e di insana commistione tra svago e lavoro collegata all’uso dei social network, e il rischio di eccedere con gli strumenti perdendo immediatezza e vedendo lievitare i costi, l’azienda potrà ottenere un vantaggio competitivo enorme sulla concorrenza.
Diventare un’enterprise 2.0 significa infatti essere pronti al futuro prima degli altri, sviluppare nuovi business più rapidamente, cambiare e crescere in modo naturale al mutare delle condizioni del mercato.
Sono vantaggi che in tempi di burrasca nessuno può ignorare.