Il cloud pubblico non offre le garanzie richieste dal controllo di macchine e processi

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Il Cloud rappresenta la nuova frontiera dell’automazione? Una domanda sempre più ricorrente, sia in ambito manifatturiero che nelle Public Utility, dove i controllo automatizzato richiede sempre più risorse in grado di elaborare l’enorme mole di dati disponibili. I successi del clou nell’ambito dell’It, però, non devono indurre in facili entusiasmi, perché i due settori hanno esigenze significativamente diverse sia per quanto riguarda l’affidabilità che i tempi di latenza. Aspetti che, tra l’altro, devono essere valutati con attenzione anche in funzione della specifica applicazione e, soprattutto, dei possibili rischi connessi alla temporanea perdita di controllo.

In particolare, un primo aspetto da considerare in fase di scelta riguarda la differenza tra cloud pubblico e privato. Il primo mette a disposizione, in modalità IaaS – Infrastructure-as-a-Service, potenza di calcolo e spazio per storage dei dati virtualmente infiniti. Il tutto a fronte di un canone prefissato e un eventuale pagamento a consumo (pay-as-you go). Il tutto gestito da esperti del settore e con server ospitati in strutture create appositamente. In assenza di specifici accordi contrattuali, però, i server del fornitore possono essere in qualunque Paese e questo comporta la totale dipendenza dal fornitore stesso, da cui dipendono anche i tempi di ripristino a seguito di un malfunzionamento.

A questo aspetto si aggiunge quello della sicurezza e del controllo dei dati. Forse a nessuno può interessare il numero di biscotti confezionati, nell’ultima settimana, da un’azienda. Ma un concorrente potrebbe essere disposto a pagare pur di avere i dettagli dell’ultimo prototipo di una linea di packaging o il data base clienti.

Il tutto senza dimenticare che, malgrado le innovazioni tecnologiche, i server soffrono una serie di vulnerabilità, non sempre risolte. A questo si aggiunge il “banale” rischio di guasti, i cui effetti possono essere devastanti se il fornitore non propone adeguati programmi di Business Continuity, che devono necessariamente prevedere una ridondanza basata su macchine geograficamente lontane tra loro.

Del resto i dati forniti dall’International Working Group sulla Resiliency del Cloud Computing, costituito da Telecom ParisTech e dall’Università Paris 13, con il report “Classifica dell’affidabilità del Cloud Computing nel mondo”, devono far riflettere. I 13 più principali fornitori di cloud hanno infatti accumulato un totale di 568 ore di downtime a partire dal 2007. In altri termini, si tratta di cinque giorni all’anno di “dark clouds”.

Del resto un cloud pubblico utilizza lo stesso hardware usato dai normali centri IT, ma in volumi enormi, e l’hardware è interconnesso in modi complessi e nuovi, mai considerati dai suoi progettisti. Prevedere e contrastare modalità di guasto diventa quindi più arte che scienza. Un problema, infatti, spesso si propaga attraverso la rete di un cloud, rendendo la diagnosi e la riparazione estremamente difficili.

Un terzo punto di debolezza è rappresentato dalle prestazioni reali. Un sistema, proprio perché “virtuale”, non dispone di macchine hardware reali e dedicate (se non a fronte di un costo più elevato). Al contrario server fisici, storage e reti sono in condivisione. Può così accadere che il workload di un utente faccia crescere il tempo di risposta di workload vicini, anche se non appartengono a utenti correlati. La prestazione del cloud pubblico, quindi, è solo stimata, ma non può essere garantita.

 

Chi fa da se…

Questi limiti possono essere superanti optando per un’infrastruttura privata. Una scelta che, però, impone la presenza di personale in possesso di skill specifici, ingenti investimenti iniziali e una limitata flessibilità. Anche in considerazione del fatto che l’eventuale necessità dettata da un picco di elaborazione temporanea potrebbe richiedere l’acquisto di ulteriori server, con tutto quello che comporta anche in termini organizzativi.

Costruire una piattaforma affidabile di cloud privato è spesso al di fuori delle capacità dei team IT interni, chiamati a confrontarsi con tecnologie nuove e in continua evoluzione, che richiedono personale estremamente specializzato. Anche per tale ragione, quindi, i principali Vendor stanno proponendo soluzioni di “Private-cloud-in-a-box”, che aiutano a superare parte dei problemi fornendo pacchetti di infrastruttura preconfezionati.