L’“ontologia” della Business Intelligence e il ruolo del CIO

Non c’è dubbio, si tratta di un concetto sfruttato e abusato, ma la liquidità è proprio un tratto caratteristico dei primi dieci anni del nuovo secolo; la crisi ha esacerbato questo aspetto, facendo che sì che approdasse anche nelle aziende più piccole; la liquidità organizzativa orienta molte scelte strutturali e di personale e impatta direttamente sull’infrastruttura IT, chiedendo ai responsabili tecnologici competenze inedite per il ruolo. Nelle aziende più grandi, invece, il CIO è costretto a rivedere le proprie agende, aprendosi innanzitutto alla dimensione del business, da cui provengono le richieste pressanti e urgenti. A loro spetta l’onere di tradurre le emergenze in priorità tecnologiche, lavorando con budget che da tre anni a questa parte sono sostanzialmente stabili se non addirittura ridimensionati. Migliorare i processi di business è la priorità di tutti e la Business Intelligence ha un ruolo centrale nella visibilità e nella misura di processi e attori coinvolti, consentendo tra l’altro di impostare cicli di lavoro diversi, in vista di una progressiva ristrutturazione dell’infrastruttura IT. A monte delle considerazioni più tecniche, tuttavia, c’è la dimensione metodologica, da cui dipendono tutte le scelte successive. Vi citerò un altro autore a me particolarmente caro, Sir Karl R. Popper, al quale si deve la “pedagogia dell’errore”. La sola “liquidità”, non temperata da un approccio scientifico all’errore, conduce diritta al relativismo e alla rassegnazione; se tutto cambia, senza alcuna possibilità concreta di incidere sul cambiamento, allora diventa particolarmente difficile progettare infrastrutture che reagiscano con agilità. Dedichiamo dunque un po’ di tempo all’errore, questa preziosa risorsa che permette al nostro sapere di crescere e alimentarsi dell’esperienza altrui. Gli errori si celano ovunque ma scovarli e condividerli significa far crescere la conoscenza. Popper ci ricorda che “dobbiamo cercare costantemente con gli occhi i nostri errori; quando li troviamo dobbiamo imprimerceli bene nella memoria per andare in fondo a essi. Così facendo, autocritica e onestà diventano un obbligo”. Sì, un obbligo, un imperativo metodologico prima ancora che etico, da cui dipende la capacità effettiva di innovare. Come ricorda sempre Popper, l’autocritica è la migliore critica, così come la critica esercitata da altri è necessaria e proficua quasi quanto l’autocritica.

La pedagogia dell’errore nell’IT
Applicare questi concetti all’IT significa costruire infrastrutture trasparenti e dialoganti, in cui le informazioni condivise sono la base su cui costruire il nuovo. È anche in questo senso che la Business Intelligence diventa così una priorità nell’agenda del CIO. Al Symposium IT di Cannes, Gartner ha suggerito ai CIO di trasformare il proprio staff in funzione delle nuove esigenze, individuando persone sempre più versatili, con competenze trasversali, non necessariamente specialisti nell’IT ma capaci di coglierne alcuni aspetti specifici. Le analisi di mercato del febbraio 2009, poi suffragate dalle verifiche di fine anno, indicano inoltre che, a differenza di quanto è accaduto per altri settori, i budget BI 2009 non solo sono stati stabiliti prima degli altri ma hanno goduto di un 25% in più rispetto al livello di spesa del 2008, finalizzato al miglioramento della qualità dati, delle piattaforme dei processi decisionali, della visualizzazione avanzata e delle analisi predittive. Un segnale preciso che sulla condivisione delle informazioni si intende investire anche in tempi di crisi, perché è proprio dalla conoscenza del patrimonio conoscitivo che si impostano le strategie di sviluppo o revisione delle politiche aziendali. Come emerso già nel 2008, la Business Intelligence è sempre più BI e Information Management (BIIM), ovvero governo proattivo delle informazioni. L’obiettivo principale della struttura BIIM è la definizione dinamica della vision, la stessa che ispira la strategia e che permette di declinarla in requisiti del business, in metriche, in rischi e benefici per le persone, i processi, la tecnologia stessa. Le attività richieste da una simile struttura sono cruciali per costruire una vision di successo, coinvolgendo anche l’identificazione e la documentazione dei rischi di business. Ai responsabili IT direttamente impegnati nella BIIM si chiede il rilascio di informazioni che permettano agli utenti di guidare, decidere, misurare, innovare, amministrare e ottimizzare il proprio operato per raggiungere i benefici attesi. È di Gartner il modello del ciclo della attività BIIM, che individua cinque diverse fasi: la vision, la pianificazione, la costruzione, l’operatività e l’utilizzo. Ogni fase è caratterizzata da una serie di azioni chiave a cui se ne associano altre complementari. Tuttavia il cambiamento più profondo osservato nelle iniziative BIIM è proprio la focalizzazione sulla strategia, con l’obiettivo di coinvolgere (e soddisfare) le esigenze di un ampio gruppo di persone e quelle emerse da una vasta gamma di processi e applicazioni interne all’organizzazione. Come per i progetti di Business Intelligence, sempre più iniziative strategiche piuttosto che tattiche, i progetti BIIM richiedono una road map dettagliata che si faccia carico della vision aziendale e sappia sfruttare al meglio la struttura esistente, prodotto dell’implementazione di soluzioni BI tattiche.

Il principio di “informatività”
Torniamo alla metodologia, torniamo ai principi della logica; l’ibridazione di Business Intelligence e Information Management è l’espressione dell’evoluzione degli approcci metodologici all’analisi aziendale; al tempo stesso è il frutto dello sviluppo incessante delle tecniche di ragionamento. Tempo fa, leggendo “La fenice digitale” (a cura di terrell Ward Bynum e James H. Moor, Apogeo Editore) mi sono imbattuta in un saggio particolarmente stimolante “Computer, visualizzazione e natura del ragionamento” di John Barwise e John Etchemendy che ha approfondito il concetto di informatività, una delle variabili che permettono di definire l’efficienza di un ragionamento. In apparenza nulla di nuovo, soprattutto per chi conosce la teoria della comunicazione degli anni Quaranta (del secolo scorso) di Shannon-Weaver che prevede che la quantità di informazione in un segnale sia misurata dal numero di possibilità eliminate dal segnale stesso. Se però estendiamo questo principio alla logica del pensiero, ci rendiamo conto di quanto l’approccio descritto sia alla base dell’attuale evoluzione tecnologica. Quando il ragionamento produce una dimostrazione, efficienza e complessità – ci spiegano gli autori – sono inversamente proporzionali. E ancora, meno è complessa una dimostrazione, più è efficiente. Per chi ha dimestichezza con la matematica, è la condizione classica in cui la correttezza della soluzione è legata alla semplicità. Quando dai numeri si passa alle parole, ai concetti, osservano gli autori del saggio, l’efficienza si misura dalla riduzione del numero delle possibilità. Letto in chiave BIIM questo è un concetto cruciale, perché significa che a una maggiore informazione (quella resa possibile proprio dalla BI) corrisponde un numero inferiore di possibilità, di situazioni. Tanto più conosco, quanto più precise saranno la mia strategia e le mie decisioni. Tanti più dati possiedo e conosco, quante più alternative posso eliminare da una dimostrazione assegnata, tante più possibilità posso eliminare, migliorando l’efficienza. È questa l’”informatività” di cui parlano gli autori. Se applichiamo questo principio alle procedure decisionali in azienda, cogliamo tutta la criticità dell’infrastruttura BIIM. Barwise ed Etchemendy ci ricordano che “in generale possiamo aspettarci che, più è informativo un passaggio nel ragionamento, minori saranno i passaggi per giungere alla conclusione desiderata”. Non si tratta, è ovvio, di una verità assoluta ma è comunque un’indicazione operativa precisa; più gli enunciati sono informativi più è semplice sezionare un problema complesso in un numero minimo di casi. Ecco perché, in un clima di recessione, i budget della BI e quelli dell’Information Management non subiscono decurtazioni, anzi salgono, in particolare quando si tratta di investire in qualità dei dati e piattaforme di distribuzione a sostegno dei sistemi decisionali. Se poi estendiamo le riflessioni all’efficacia della comunicazione e alla conseguente scelta dei codici espressivi, il ruolo delle interfacce scelte diventa cruciale; non basta distribuire i dati, infatti; è necessario visualizzarli e fare in modo che siano comprensibili con semplicità al proprio target di riferimento.