Da alcuni mesi chi legge le cronache sull’andamento dell’economia rimane quanto meno disorientato
dalla difformità delle diverse interpretazioni della attuale fase congiunturale…

È frequente una lettura ottimista, che parte dalla constatazione che la ripresa dell’economia mondiale è oramai in corso, e con particolare evidenza nei paesi emergenti, con riscontri puntuali nell’evoluzione dei corsi delle materie prime; tale lettura ravvisa quindi in queste tendenze le premesse per un recupero delle esportazioni anche delle economie avanzate, avallato dal miglioramento del grado di fiducia delle imprese  industriali anche in Europa; ne riconosce gli esiti nell’andamento crescente degli utili attesi per le aziende quotate in borsa, e in quello ad essi correlato delle rispettive quotazioni. Non pare quindi di descrivere lo stesso mondo quando, abbandonate le lenti rosa del mercato, e inforcato un paio di occhiali scuri, ci si confronta con uno stato sovrano dell’area euro sull’orlo del fallimento; generalizzate perdite di controllo dei saldi dei conti pubblici e conseguenti prospettive di stretta fiscale all’orizzonte in molti paesi; insolvenze e default aziendali con attese di aumento delle sofferenze nei bilanci delle banche; timori di credit crunch; tassi di disoccupazione ancora crescenti in tutta Europa. Naturalmente, la difficoltà a districarsi nel puzzle della congiuntura sono un classico delle fasi come quella attuale, in cui occorre diagnosticare se siamo in presenza di un cambiamento rispetto alle tendenze degli ultimi anni. È proprio l’individuazione dei punti di svolta a rappresentare difatti uno dei passaggi più complessi dell’analisi del ciclo economico.

 

Recessione: è davvero alle spalle?

Se è palese che dal punto di vista degli indicatori congiunturali la recessione è terminata, non si può negare che le eredità che il nuovo ciclo raccoglie dal precedente siano tutt’altro che favorevoli ad una ripresa che si consolida nei prossimi trimestri. Ovvero, l’economia ha svoltato, ma la recessione passata non ha corretto gli squilibri che ne stavano all’origine. Al più si può parlare di una sostituzione, e parziale, di debito privato con debito pubblico, e questo ci spinge a ritenere che il vero banco di prova circa la forza della fase ciclica attuale sarà rappresentato dalle tendenze della seconda parte del 2010, quando inizieranno ad affievolirsi gli impulsi delle politiche economiche di segno espansivo messe in campo dai Governi. Nei numeri della crescita è possibile quindi che la prima parte del 2010 sorprenda anche in positivo, regalandoci un risultato medio superiore a quello che indichiamo nelle previsioni; ma nella seconda parte dell’anno il bias della previsione si sposta verso il basso conducendoci a non escludere che nel 2011 si verifichi una nuova crisi.

 

Alla ricerca di nuovi modelli

Questo scenario prevale a livello internazionale, ma con significative differenze se si guarda alla composizione territoriale della crescita. Le economie emergenti sono attraversate da una solida espansione, quelle avanzate sono ancora indietro nella ripresa. L’area euro pare rispondere meno agli impulsi derivanti da un ciclo internazionale in ripresa, riflettendo in parte problemi di minore presenza sui mercati asiatici. Ma non vi sono solamente fattori di natura congiunturale; la strategia di crescita seguita in Germania ha trainato uno sviluppo delle esportazioni tedesche di cui in Europa non ha beneficiato nessuno durante gli anni passati, nemmeno la stessa Germania. Altri modelli di crescita hanno fallito; la Spagna è entrata in una crisi dalle conseguenze sociali devastanti; la Francia pare tenere meglio, ma ha cumulato una dimensione significativa del disavanzo di bilancio la cui correzione avrà dei costi nei prossimi anni. L’Italia dal canto suo è quello che fra i grandi paesi cresceva già meno prima della crisi, è caduto di più durante la crisi, e recupera meno durante la ripresa. La produzione ristagna, la disoccupazione aumenta, i salari rallentano, il deficit pubblico è su valori critici: dobbiamo essere ottimisti o pessimisti?

 

Ma che tipo di ripresa avremo?

È iniziata una ripresa a doppia velocità, con i Paesi emergenti nelle prime file e gli altri al traino. Le economie avanzate hanno recuperato solamente una parte delle perdite di prodotto subite durante la recessione, e già occorre programmare l’exit strategy delle politiche economiche. L’approccio graduale è consigliato, ma dopo le vicende greche non si escludono terapie più drastiche. La ripresa asiatica, partita al traino delle politiche fiscali, ha sorpreso per intensità. Il ruolo della Cina è stato centrale per trascinare l’area fuori dalla crisi. Ne hanno beneficiato anche le esportazioni americane che, sovrapponendosi agli impulsi della politica di bilancio, hanno innescato una ripresa che parte gravata da un deficit pubblico vicino al 10 per cento del Pil e dagli oltre otto milioni di posti di lavoro andati perduti nel corso della crisi.

 

L’Europa e l’Italia

In Europa la ripresa è delineata con chiarezza dalla fiducia delle imprese, ma ancora poco vivace nei riscontri quantitativi. La minore presenza sui mercati asiatici riduce l’effetto della ripresa internazionale sulle nostre esportazioni. Il mercato del lavoro recepisce con ritardo le conseguenze della recessione. Più difficile la gestione delle criticità in assenza di coordinamento delle politiche dei paesi membri dell’area. Il ciclo italiano si mantiene in linea con quello europeo. La crescita nel biennio 2010-2011 è attesa poco sotto l’1 per cento, frenata dalle difficoltà delle famiglie, che si traducono in una protratta fase di ristagno dei consumi. L’aggiustamento del bilancio pubblico partirà dal 2011, ma con un valore di partenza del disavanzo più alto, e un tasso di crescita più basso, rispetto a quanto atteso dal Governo.