La sostenibilità: da obiettivo a requisito del buon governo di un Paese

Questa volta non vi scriverò di indici a confronto, o meglio, mi perdonerete un’interpretazione alquanto ampia della rubrica. A giugno si è parlato della nuova strategia Europa 2020, destinata a sostituire l’Agenda di Lisbona. Nel panel dei Paesi esaminati mancava la Svizzera che spesso, pur non essendo Ue, è inserita nelle graduatorie, utilizzata (come per gli Stati Uniti o la Turchia) come termine di riferimento nel confronto. Tuttavia, in una strategia che fa della sostenibilità il pilastro portante, non si può trascurare la Confederazione Elvetica che sulla sostenibilità ha plasmato buona parte delle proprie politiche di crescita. Che sia sociale, economica, ambientale, la sostenibilità è incardinata nella Carta costituzionale federale; tutte le decisioni, siano della Confederazione, dei Cantoni o dei Comuni, devono tenerne conto. La sostenibilità rappresenta la condizione al contorno entro cui governare la crescita del Paese; la differenza è sottile ma sostanziale. Rispetto ai proclami obamiani o alle scelte ancora disordinate di buona parte dell’Europa, la Svizzera ha elaborato un approccio pragmatico alla sostenibilità; non è un obiettivo, è un requisito, una condizione necessaria ma non sufficiente per la crescita del Paese; tradotto significa che qualunque sia la scelta fatta, è necessario tener conto degli effetti tanto sulle generazioni presenti che vivono il territorio quanto di quelle future. Si scelgono le fonti energetiche, le politiche di sfruttamento del territorio, i programmi urbanistici, le politiche di educazione e informazione in funzione della sostenibilità.

 

Città energeticamente sostenibili
Non ci sono scelte responsabili senza un’adeguata informazione; i cittadini svizzeri, che votano quattro volte l’anno, lo sanno bene. Per loro, a ogni tornata elettorale, c’è un dossier sviluppato da governo, parlamento (l’Assemblea generale), partiti politici, associazioni di cittadini che spiega i pro e i contro del quesito in votazione. Questo approccio vale anche per l’energia. La consapevolezza di rischi e benefici fa sì che le scelte siano quanto più possibile condivise; forse allungherà i tempi delle decisioni, come osservano spesso i cittadini elvetici, ma certamente permette di governare concretamente la crescita. Circa una decina di anni fa, per esempio, l’Eth di Zurigo ha avviato studi accurati per individuare il consumo medio energetico di un cittadino impegnato a conservare gli attuali standard di vita. Ebbene si dimostra che ogni svizzero consuma ogni anno oltre 55.000 chilowattora (KWh), pari a 5.500 litri di gasolio bruciato ogni anno. E’ un po’ come se ogni cittadino tenesse accese per ventiquattro ore su ventiquattro ore, tutti i giorni dell’anno, ben 63 lampadine da 100 Watt del vecchio tipo, quello a incandescenza. Il gruppo di studio e lavoro dell’Eth ha appurato che la potenza media pro capite non dovrebbe superare i 2000 Watt all’anno (cioè 17500 Kwh, pari a 1750 litri di gasolio). Solo così, infatti, il consumo è sostenibile, ovvero non brucia risorse più di quante non ne possano essere prodotte. La Società 2000 Watt sposa questi concetti e sceglie di sviluppare pratiche e procedure che ottimizzino i consumi; il modello, tra l’altro, è stato inserito dal Consiglio Federale svizzero nella strategia di sviluppo sostenibile. Molti i Cantoni che hanno scelto di orientarsi verso questo obiettivo concreto, che traduce in azioni la sostenibilità; le città coinvolte, riunite in un’Associazione, sono oltre 140, tra grandi e piccole. Quando il Comune, a partire dagli edifici pubblici, sviluppa nel proprio regolamento programmi indirizzati verso l’efficienza energetica (famosi gli standard MINERGIE a cui oggi si è aggiunto MINERGIE ECO), ricorre a fonti energetiche rinnovabili, adotta buone pratiche di gestione della propria attrezzatura elettronica, pubblica e privata, sensibilizza la propria popolazione con incontri, opuscoli, assistenza specifica (sono disponibili dei consulenti tecnici), allora sviluppa i requisiti necessari per diventare “Città dell’energia”. In particolare, la targa viene attribuita ai Comuni che hanno realizzato o pianificato almeno la metà dei provvedimenti possibili; per chi è particolarmente virtuoso ed è capace di implementare il 75% delle buone pratiche, c’è il riconoscimento Gold, chiamato European Energy Award Gold. Il percorso non è né rapido né semplice ma stando ai dati e alla crescita continua del numero delle città certificate (molte anche in Germania) sembra riscuotere un ottimo successo. Zurigo, Basilea, San Gallo, Losanna, solo per citare quelle più note, sono già Città Gold.

 

Il progetto Città dell’energia
 

Confederazione Elvetica 2007 2008
N. Città dell’Energia 152 175
Tot. Abitanti Città dell’Energia 2,55 milioni 2,77 milioni
Nuove città dell’Energia 15 23
N. Città dell’Energia Gold 10 11
Comuni membri dell’associazione Città dell’Energia 286 353
Investimenti effettuati dalle Città dell’Energia 50 Mil CHF 55 Mil CHF 
Tot. nuovi posti lavoro (persone) 200 220
Riduzione anno consumo en. 71 Mil KWh 80 Mil KWh 
Riduzione anno CO2 78.000 T/anno 87.000 T/anno

Fonte: www.cittadellenergia.ch

 

Il nucleare, scelta sostenibile
In Svizzera sono in funzione cinque centrali nucleari, impianti costruiti tra il 1969 e il 1984 (nel mondo ce ne sono 440). Sono capaci di fornire una quota di energia compresa tra il 39 e il 45 per cento del fabbisogno complessivo del Paese, ben al di sopra della media europea, pari al 33 per cento. Rispetto agli abitanti, la Confederazione ha una centrale ogni milione e mezzo (proprio come il Belgio); una proporzione in linea con altri paesi europei, molti dei quali hanno rapporti anche più bassi come la Finlandia che ha una centrale ogni milione e trecentomila cittadini o la Francia, una ogni novecentomila. La politica energetica nucleare elvetica risale al 1946; dal 1957 è incardinata nella Costituzione, mentre la prima Legge sull’energia nucleare è del 1959, più volte rivisitata fino alla versione attuale del 2005 che ha reso ancor più selettivo il processo per il rilascio delle autorizzazioni. Oggi la competenza sull’energia nucleare (art. 90 della Costituzione) è interamente riservata alla Confederazione, in particolare al Consiglio Federale e poi all’Assemblea Federale, con la partecipazione dei Cantoni nelle fasi di osservazioni preliminari al rilascio delle autorizzazioni. Con la legge sul nucleare del 2005 e l’ordinanza specifica associata, una sorta di regolamento attuativo, si è introdotto anche il referendum facoltativo cantonale nel caso di rilascio dell’autorizzazione di massima per i nuovi impianti nucleari, esercitando così la democrazia diretta. Come per tutte le altre fonti energetiche le valutazioni che precedono le scelte sono soggette alla verifiche di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Misure chiare e trasparenti, relativa semplicità organizzativa consentono di completare l’iter di costruzione e messa in esercizio di una centrale nucleare in circa quindici anni, in linea con quanto già si fa negli altri paesi europei. Diamo allora insieme un’occhiata all’iter; ogni fase rappresenta tra l’altro un’ulteriore valutazione della sostenibilità del progetto. Si comincia con l’individuazione del sito e la richiesta dell’autorizzazione di massima, su cui si esprime il Consiglio Federale prima, l’Assemblea generale poi, tutto ciò dopo consultazione pubblica del Cantone in cui sorgerà l’impianto e dei Cantoni e Comuni limitrofi. Ottenere l’autorizzazione non è affatto un diritto; richiede piani di sicurezza dettagliati (ricordate, generazioni presenti e future dei cittadini non devono soffrire delle scelte attuali), il piano di ciclo di vita dell’impianto e il piano di smaltimento delle scorie. Tutti gli oneri ricadono in capo all’ente – soggetto che richiede l’autorizzazione che, in media, attende dai 4 ai 5 anni, anche nel caso in cui il Cantone coinvolto scelga di ricorrere al referendum facoltativo per consultare direttamente i cittadini. Superata questa prima fase, è la volta della domanda di licenza di costruzione che prevede nuove perizie sulla sicurezza, a cura dell’Istituto federale per la sicurezza nucleare e richiede la decisione finale a cura del Datec, il Dipartimento di competenza; anche in questa fase sono necessari in media 4 anni che si aggiungono a quelli della prima fase.
Solo a questo punto si può passare alla costruzione dell’impianto che richiede dai 4 ai 6 anni. A realizzazione ultimata, è tempo per la quarta e ultima fase, quella della richiesta della domanda di licenza d’esercizio; dopo ulteriori verifiche sulla sicurezza, il deposito pubblico dei risultati perché tutti i cittadini interessati ne prendano visione, eventuali osservazioni integrative, il Datec rilascia la licenza finale, quella che permette l’avvio del reattore, tutto questo in genere dopo 4 anni dalla chiusura del cantiere.
 

 

Le 141 centrali nucleari dell’UE

 

Paese N. Centrali Nucleari
Francia 59
Regno Unito 19
Germania 17
Svezia 10
Spagna 8
Belgio 7
Repubblica Ceca 6
Finlandia 4
Bulgaria 2
Lituania, Olanda, Romania, Slovenia 1

 

Gli impianti nucleari in funzione in Svizzera

 

  In funzione dal Caratteristiche impianto
Beznau I 1969

Potenza: 365 MWe

Tipo di reattore: ad acqua pressurizzata
Raffreddamento: diretto, con acqua di fiume

Beznau II 1972 Potenza: 365 MWe
Tipo di reattore: ad acqua pressurizzata
Raffreddamento: diretto, con acqua di fiume
Mühleberg 1972 Potenza: 365 MWe
Tipo di reattore: ad acqua bollente
Raffreddamento: diretto, con acqua di fiume
Gösgen 1978 Potenza: 970 MWe
Tipo di reattore: ad acqua pressurizzata
Raffreddamento: torre di raffreddamento
Leibstadt 1984 Potenza: 1’165 MWe (dal 26.8.02)
Tipo di reattore: ad acqua bollente
Raffreddamento: torre di raffreddamento

Fonte: www.bfe.admin.ch