Web Intelligence: le strategie aziendali passano attraverso l’ascolto della rete

Ciascun brand dovrebbe possedere una “reputazione che conta”. Ovvero, nei suoi confronti il consumatore, la gente dovrebbe associare una sensazione di benessere, di sintonia totale. Il tutto non indotto solo ed esclusivamente da leve di marketing tradizionali ossia, campagne di advertising, investimenti cospicui e un attivo market research, in quanto l’obiettivo fondamentale da raggiungere è il cliente. Un soggetto mutevole, non segmentato, piuttosto frammentato e fortemente influenzato da qualcosa di molto profondo e di difficile codificazione: la rete web.

Passaparola: ed è subito community
L’utilizzo di Internet e dei motori di ricerca per reperire opinioni e informazioni non ufficiali di prodotti e servizi risulta in aumento. Il proliferare delle community permette ad un largo pubblico di scambiare velocemente commenti relativi a diversi prodotti e servizi proposti, contribuendo in maniera significativa ad accrescere la notorietà di un brand oppure, a porlo in discussione. In genere, le informazioni confluiscono nell’ambito di siti, forum e blog facilmente rintracciabili attraverso l’ausilio di motori di ricerca che ne favoriscono la visualizzazione attraverso l’inserimento di specifiche indicazioni riferite ad un singolo brand, rafforzando il più delle volte affermazioni già riscontrate, presenti su mezzi di stampa tradizionale. I consumatori si fidano molto delle opinioni che circolano in rete e attraverso queste canalizzano gli acquisti. Una ricerca della Universal McCann rivela che il 30% degli intervistati ha commentato almeno una volta al mese un prodotto o un servizio nell’ambito di blog. Circa il 28% ha inserito giudizi e commenti su siti di e-commerce o di vendite; evidenzia come gli utenti siano in genere fortemente indotti ad esprimere pareri, a condividere esperienze personali e segnala che gli italiani risultano essere quelli maggiormente attivi in tal senso. Uno studio condotto lo scorso luglio da parte della Nielsen riporta inoltre come il 90% dei consumatori prima di effettuare un acquisto chieda consiglio a persone conosciute e che il 70% si fida delle opinioni lette online. Significativa risulta essere la presenza di siti web che si basano sulla condivisione di recensioni da parte degli utenti, alcuni dei quali relativi a settori specifici. TripAdvisor si fonda sull’inserimento di foto e pareri espressi in merito a strutture alberghiere personalmente testate. Urbanspoon raccoglie i commenti di ristoranti presenti negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Australia. E consultando Epinions è possibile trovare giudizi espressi a proposito di autovetture, libri, musica, elettrodomestici e così via.
In Italia una novità recente è rappresentata dalla community “Gli affidabili”, uno spazio in cui è possibile individuare profili professionali – dalla baby sitter all’idraulico – di cui “potersi fidare”; questo attraverso l’inserimento gratuito di una scheda personale con la quale descrivere le mansioni in grado di svolgere e le rispettive attitudini che – attraverso un feed back di commenti e opinioni via via inseriti dagli utenti – possono acquisire nel tempo una specifica “reputazione”. Numerosi risultano essere anche i siti (primo fra tutti Facebook) in cui è possibile utilizzare il tag “I Like” da parte degli utenti per esprimere giudizi nei confronti di un prodotto, un servizio o anche un articolo letto inserendo segnalazioni e trascrivendo opinioni. Le persone parlando di un brand contribuiscono così a delinearne una buona o cattiva reputazione che per tanto non potrà essere condizionata o manipolata facilmente. L’indagine Risky Business: Reputations online riporta che il 67% degli intervistati – tra oltre 700 dirigenti e top executive di tutto il mondo – sente che il buon nome della propria azienda è in pericolo, salvo poi limitarsi a considerare come principale causa di danno i media tradizionali. Il 27% tiene sotto controllo quotidiani, radio e tv, mentre solo il 13% è consapevole del fatto che la rete web è uno strumento attraverso il quale è possibile screditare l’immagine di prodotti, servizi e marchi aziendali.
Come affermano gli autori Charlene Li e Josh Bernoff nel volume Ascoltare l’Onda Anomala “il brand sarà esattamente quello che dicono i clienti e nel contesto dell’onda anomala – ovvero una situazione in cui la gente usa una serie di strumenti per creare legami di vario tipo – il brand sarà condizionato dalla comunicazione che avviene tra i clienti perché in ogni caso sono loro a decidere”. Per cui risulta strategico “ascoltare e non solo ricercare”. La ricerca infatti funziona quando è necessario individuare risposte, ma non quando occorre disporre di customer insight.

Un’analisi ad hoc
L’ascolto consente infatti di acquisire un insieme vasto di conoscenza della quale ciascuna azienda potrà usufruire attraverso l’impiego di apposite tecnologie in grado di canalizzare le informazioni in un flusso omogeneo facilmente consultabile e gestibile. Conseguenza del tutto naturale di questo fenomeno è la richiesta, sempre più frequente, da parte delle aziende di avvicinarsi allo studio del social media o meglio alla lettura degli user generated content, (materiale disponibile sul web e prodotto da utenti invece che da società specializzate) per cogliere e conoscere “ciò che si dice” in rete dei propri marchi, prodotti o persone. Intensa, frequente e molto attuale si profila pertanto la richiesta di una specifica attività di brand reputation management, ossia di un’analisi di tutti i contenuti circolanti online per valutare l’indice di popolarità e il grado di reputazione associato alla propria azienda. L’esigenza di conoscere a fondo, in maniera puntuale e con cadenza regolare l’opinione attribuita a singoli brand, eventi, fenomeni, servizi e personaggi nasce dalla chiara consapevolezza di quanto la rete sia umanamente impenetrabile nella sua globalità a causa delle sue caratteristiche e di come, pertanto, sia strategicamente fondamentale delegare a tecnologie specificamente abilitate, intelligenti e innovative il riconoscimento automatico di opinioni, commenti e giudizi ovvero qualsiasi categoria concettuale significativa e rilevante associata al singolo campione da monitorare. La sfera web si presenta infatti stabile, ovvero i contenuti pubblicati al suo interno permangono a lungo e possono essere facilmente intercettati da numerosi utenti attraverso l’ausilio di motori di ricerca. Le informazioni presenti nel web sono soggette a una rotazione continua e questo presuppone un monitoraggio costante della rete. Il Web 2.0 si configura come la forma interattiva più ampia e maggiormente influente. Quelle che apparentemente risultano profilarsi come fonti esigue e insignificanti si potrebbero rivelare pericolose poiché facilmente in grado di collegarsi ad altre di più ampio respiro e fortemente autorevoli, con la conseguenza di ampliare l’eco di una news fornendo numerosi spunti di discussione. Del resto la caratteristica principale del Web 2.0 – e che ne delinea il suo punto di forza essenziale – è quella di raggiungere velocemente un vasto pubblico con ciò che ne consegue.

Buone pratiche aziendali
Ciascuna azienda, se intende percepire gli andamenti del mercato, cogliere le informazioni, conoscere e convivere insieme ai competitor, prendere atto dei propri punti di debolezza ed apprezzare quelli che gli vengono attribuiti come elementi di forza, dovrà necessariamente ascoltare in modo attivo le informazioni che provengono dal web, raccogliere e mappare quotidianamente i commenti espressi a proposito del proprio brand, linee di prodotto, campagne di promozione e postati all’interno di blog, forum, social network e canali multimedia, luoghi di incontro virtuale degli utenti della rete per conoscere in modo dettagliato il sentiment espresso nei propri confronti e rispetto alla concorrenza, trasformando quindi il bagaglio informativo in dati qualitativi e quantitativi in grado di delineare trend, tracciare posizionamenti e percepire la propria collocazione all’interno di specifici segmenti di mercato.
Fronteggiare l’attuale situazione economica implica anche accrescere il patrimonio informativo, individuando nell’ambito di milioni di contenuti circolanti online quelli reputati pertinenti e strategici rispetto al settore in cui si opera, utilizzando data mining e realizzando la cosiddetta knowledge extraction, ossia l’estrapolazione di quei dati reputati come indispensabili, in grado di evidenziare una serie di correlazioni significative, rilevanti e strategiche. Una vera e propria best practice di Business Intelligence abilitata grazie all’impiego di software innovativi e intelligenti in grado di intercettare, rielaborare e analizzare informazioni destrutturate trasformandole in dati statistici facilmente visionabili attraverso portali Internet dedicati e personalizzati. E non solo. Per gestire in modo efficace questa nuova fonte di conoscenza sono necessarie anche nuove figure professionali con competenze evolute in ambito informatico e tecnologico, capacità analitiche di tipo qualitativo e statistico, conoscenza puntuale di quelle che sono le problematiche connesse al settore marketing e che siano inclini all’ascolto dei clienti con i quali si trovino ad interagire. Il tutto per supportare quella nuova disciplina conosciuta come Web Intelligence, capace di offrire contributi efficaci in quanto abilitata a percepire anticipatamente quelle che potrebbero essere – da parte degli utenti web – le scelte di acquisto di prodotti e servizi, sulla base dell’analisi dettagliata di opinioni reputazionali e fatti circolanti online e attraverso i quali le aree marketing e comunicazione sono in grado di reperire informazioni e sulla base delle quali successivamente possono pianificare ed implementare strategie efficaci in quanto basate sui giudizi reali espressi dai consumatori nell’ambito del web. L’attività di monitoraggio eseguita quotidianamente è in grado di fornire una serie di informazioni da integrare con l’insieme dei dati di cui generalmente ogni azienda già dispone per realizzare iniziative rispondenti alle esigenze dei consumatori e dedotte attraverso l’analisi attenta delle opinioni spontaneamente elaborate dagli utenti web. Si presenta come un’attività certamente articolata che richiede competenze e professionalità specifiche, tecnologie software innovative e infrastrutture hardware rilevanti che vengono proposte da nuove realtà aziendali in grado di trasformare la complessità in una nuova opportunità di business. In tal senso si rileva la presenza di nuove società specializzate nel monitoraggio analitico dei contenuti della rete che offrono consulenza, servizi e prodotti a supporto della Web Intelligence la cui mission è fornire ai clienti nuova conoscenza utile per il raggiungimento dei loro obiettivi di business e generata attraverso l’analisi puntuale e quotidiana dei contenuti presenti e rilevati nel web attraverso l’impiego di tecnologie innovative, infrastrutture dedicate e competenze specifiche in grado di sollevare il cliente dall’onere di gestire laboriose complessità. L’esigenza di ascoltare il web in linea generale si sta diffondendo nell’ambito di svariati settori dalla finanza al commercio e all’industria fino ad interessare la Pubblica Amministrazione centrale e locale e anche il mondo politico. La Web Intelligence è destinata ad acquisire un peso rilevante anche in considerazione del fatto che quella fascia di popolazione giovanile costituita dagli under 18 e definita dei nativi digitali – ossia di coloro che considerano il web come la fonte primaria di conoscenza e d’informazione per le loro scelte di acquisto e per la formazione delle loro opinioni – a breve è destinata a trasformarsi in quella dei consumatori attivi.