Le masse gestite dalla filiera del Private Banking tornano ai livelli pre-crisi grazie alle performance della gestione e al rientro dei capitali scudati

I super ricchi italiani sono in prevalenza imprenditori con oltre 60 anni di età, che si mostrano più preoccupati che in passato riguardo alla congiuntura internazionale, che viene percepita più complessa e rischiosa. L’industria del Private Banking in Italia torna a registrare incrementi degni di significato e il livello delle attività si riporta alla situazione pre-crisi. La massa amministrata di questa importante filiera del sistema del credito è salita dagli 869 miliardi di euro del 2009 agli 896 del 2010 (erano 891 nel 2007), almeno secondo le stime presentate dall’AIPB, l’Associazione Italiana del Private Banking, che raccoglie oltre 80 iscritti tra banche, fondi e istituzioni finanziarie, e che rappresenta, di fatto, l’intero comparto. “Questo risultato – spiega Dario Prunotto, presidente dell’associazione – si spiega solo in parte con gli effetti dello scudo fiscale. Una quota deriva infatti dalle performance della stessa attività”. Sulla base dello studio sono circa 600 mila le famiglie italiane che dispongono di patrimoni finanziari netti superiori ai 500 mila euro. In particolare sono 8 mila sono i privati che hanno a disposizione patrimoni superiori ai 10 milioni di euro. E sono circa 20 mila i connazionali che invece hanno un patrimonio compreso tra i 5 e i 10 milioni. Oltre 170 mila possiedono ricchezze tra 1 e 5 milioni, mentre sono almeno 400 mila le famiglie con una liquidità disponibile tra il mezzo milione e il milione di euro.

 

Il peso degli imprenditori

Nel complesso delle 600 famiglie ricche, però, solo il 45%, quindi poco meno di 300 mila, si rivolge al Private Banking per la gestione dei patrimoni, una percentuale più bassa rispetto a quelle che si presentano in altri Paesi. Per Bruno Zanaboni, segretario di AIPB, “il 39% delle masse gestite dal Private Banking appartiene a imprenditori, spesso non di prima generazione, che hanno un patrimonio finanziario medio pari a 3,5 milioni di euro e un’età che si aggira sui 60 anni”. Dopo gli imprenditori la categoria che può vantare patrimoni rilevanti è costituita dai professionisti, poi vengono dirigenti e dipendenti. Anche le casalinghe sono ben rappresentate, con un 8% di presenza sul totale: un fenomeno che si spiega con il fatto che molto spesso sono le donne a sopravvivere agli uomini, nel senso che le vedove acquisiscono l’eredità dei coniugi defunti. “La crisi – sottolinea ancora Prunotto – ha modificato gli atteggiamenti dei clienti private, che sono ora meno propensi ad investire in azioni e titoli di stato, preferendo piuttosto la liquidità e gli investimenti in obbligazioni societarie, preferibilmente bancarie”. Insomma, è cambiata la percezione del rischio e al poste delle elevate performance viene scelta la tutela del capitale nel lungo periodo, allo scopo di poter preservare la ricchezza anche per le generazioni future o in favore dell’impresa di famiglia.

 

La perdita è alle spalle

“Nel settore più profondo della crisi finanziaria mondiale – illustra Zanaboni – i patrimoni private in Italia hanno perso il 6% del loro valore degli asset di gestione, rispetto ad un calo del 14,2% registrato nel Nord America e il 16,1% della media degli istituti europei on-shore”. Da un’indagine effettuata su un campione di clienti di Private Banking è emerso che la paura di perdere il capitale resta ovviamente al primo posto delle preoccupazioni, anche se il livello di tensione si è ridotto rispetto a quello registrato l’anno scorso. Sono invece cresciute considerevolmente le preoccupazioni relative al sostegno di importanti spese sanitarie e ai rischi connessi alla propria attività professionale. Anche nel 2010, così come nel 2009, si nota una crescita del patrimonio finanziario delle famiglie private “sostenuta prevalentemente da un bisogno di protezione che si riflette in un consistente aumento dei prodotti assicurativi di portafoglio”. E in effetti, la raccolta assicurativa vita distribuita dalle strutture di Private Banking è aumentata del 19% nel corso del 2009, portandosi ad uno stock complessivo di 28 miliardi di euro. Le polizze tradizionali continuano a rappresentare il driver della produzione 2010. Permane una fortissima propensione della domanda verso prodotti e soluzioni orientate alla sicurezza e alla garanzia dell’investimento.

 

Le tendenze mondiali

Per il futuro la sfida è rappresentata proprio dall’eterogeneità dei fini e dei mezzi che questo comparto presenta, con clienti che sono molto esigenti e spesso anche notevolmente acculturati, non tanto e non solo sui prodotti, ma anche sulla complessità dei mercati internazionali. A livello mondiale, secondo le stime dell’Ufficio Studi di AIPB, l’industria del risparmio gestito nel suo complesso vale circa 53 trilioni di dollari con una previsione di crescita verso i 70 trilioni nel 2014. Dopo il crollo registrato nel corso del 2008, la ricchezza mondiale Private è tornata a crescere e nel 2009 ha raggiunto i 39 trilioni di dollari, trainata soprattutto da Asia e Nord America. L’Europa, cresciuta meno rispetto alla media, ha raggiunto i 9,5 trilioni di dollari, perdendo di fatto una posizione nella classifica mondiale, passando dal secondo al terzo posto in termini di asset, a favore dell’Asia che ha raggiunto quota 9,7 trilioni di dollari. La quota parte di investimenti azionari e nel reddito fisso è tornata a crescere dopo la caduta del 2008, rappresentando a fine 2009 il 60% del totale degli attivi finanziari di tipo Private. La capitalizzazione globale è cresciuta del 47,1% nel corso del 2009, a 47,9 trilioni di dollari dopo il calo del 2008. La crescita maggiore si è registrata nei Paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) dove la capitalizzazione è più che raddoppiata.