FBR incontra Giovanni Pirovano, Vice Presidente ABI

Il sistema bancario italiano è in una fase di profonda trasformazione. O almeno questo è l’auspicio che si fa perché le regole di prima non valgono più di tanto. Peraltro è il sistema mondiale che richiede dei cambiamenti Su questo tema abbiamo intervistato Giovanni Pirovano, Vice Presidente ABI. Un punto di osservazione privilegiato. L’ABI conta 1052 associati tra associazioni di categoria (13), banche (739), intermediari finanziari (217) e altre società (83).

Come valuta lo stato di salute complessivo del settore bancario dopo la crisi finanziaria degli ultimi anni?
Pur scontando ancora gli effetti della crisi sui conti economici, le nostre banche continuano a garantire il loro sostegno al tessuto produttivo del Paese, lavorando al fianco di famiglie e imprese e assicurando un adeguato flusso di credito all’economia. Stando agli ultimi dati previsionali, gli utili netti nei prossimi due anni registreranno una lieve ripresa pari a 5,5 miliardi, che non sarà comunque in grado di modificare significativamente gli indici di redditività riferiti ai livelli raggiunti nel 2009-2010.

 

Le banche si sono fatte carico delle perdite dell’apparato produttivo?
In un contesto di difficoltà delle imprese, le banche non hanno mai fatto mancare il necessario sostegno finanziario alle imprese. Nel corso degli ultimi mesi i prestiti bancari hanno ripreso ad accelerare a seguito di una domanda che va vivacizzandosi. A dicembre 2010 il trend degli impieghi ha segnato un aumento di oltre l’1,6% contro il -2,4% di fine 2009, sui livelli di giugno 2009. C’è di più: in Italia i prestiti alle imprese sono cresciuti più della media dell’Area Euro (-0,4% a fine 2010) e di paesi europei come Germania (-0,9%), Spagna (-1,9) e Francia (+1,4%).

 

Le banche italiane hanno sofferto meno di quelle europee e americane?
Le peculiarità delle nostre banche – le cui attività si basano su clientela retail e finanziamento alle imprese – si sono dimostrate vincenti e hanno consentito al settore di reggere meglio alla crisi internazionale. Grazie alla tradizionale qualità del loro capitale, relativamente migliore rispetto a quella di altri mercati, al più basso utilizzo della leva finanziaria, alla maggiore incisività delle norme prudenziali nazionali e al continuo confronto con l’Autorità di vigilanza.

 

Eppure in previsione di Basilea3 le banche italiane dovranno aumentare il livello di patrimonializzazione con aumenti di capitale.
L’innalzamento dei requisiti patrimoniali previsto da Basilea3 va collegato ai fattori che hanno scatenato la crisi finanziaria: la crisi di liquidità che ha investito i mercati internazionali, il deterioramento della qualità del capitale, l’utilizzo eccessivo della leva finanziaria abusato dalle grandi banche internazionali e l’assenza nei mercati anglosassoni di una rigida vigilanza. Tutti elementi non presenti in Italia dove l’attività delle banche è legata alla raccolta delle famiglie e agli impieghi alle imprese e soggetta all’attenta vigilanza di Banca d’Italia. Con Basilea3 il rigore degli incrementi richiesti nella capitalizzazione delle banche, pur alla portata dei nostri istituti, potrebbe avere conseguenze per la ripresa dell’economia riducendo i finanziamenti. Dobbiamo e possiamo evitarlo.

 

Si rimprovera alle banche italiane di essere meno efficienti delle straniere, ma molte di quest’ultime sarebbero fallite senza l’intervento dello Stato.
Siamo costantemente al lavoro per migliorare ulteriormente i nostri livelli di efficienza e concorrenza, ma questo con la crisi non c’entra nulla. La crisi finanziaria, infatti, ha avuto origine all’estero, dalle banche universali all’ingrosso e quelle di trading diversificato. Gli intermediari finanziari che praticano modelli tradizionali (raccolta e impieghi a famiglie e imprese), tra cui quelli italiani, non sono responsabili ma vittime.

 

La ricchezza delle banche italiane sono le famiglie e non le imprese, donde la crescente attenzione al retail?
Non esattamente. Il core business delle banche italiane ruota attorno ad attività quotidiane di raccolta e impieghi da e verso famiglie e imprese. Basterebbe verificare le masse intermediate su questi due segmenti di mercato per rendersene conto. Proprio questo modello di fare banca ha consentito all’Italia di affrontare la crisi meglio dei concorrenti internazionali, mantenendo un buon livello di solidità. Non abbiamo avuto bisogno di aiuti di Stato e abbiamo messo in campo iniziative uniche in Europa per le famiglie e le imprese in difficoltà.

 

Nell’attuale contesto economico, quali difficoltà le banche italiane si trovano a fronteggiare nel rapporto con clienti e azionisti?
Oggi il mondo bancario opera in un duplice contesto: da un lato, aumentano le aspettative del mercato, rivolte sempre più a un servizio di elevata qualità e professionalità; dall’altro cresce la difficoltà del settore nel produrre ricavi ricorrenti nell’ambito dei tradizionali comparti di business propri di una banca commerciale.

 

In ogni caso nei prossimi anni qualcosa dovrà cambiare. Su quali leve bisognerà agire per accrescere efficienza e competitività e contenere i costi?
Nel rapporto banca-cliente, il nostro obiettivo è aumentare ulteriormente l’efficienza proseguendo sulla strada della trasparenza semplice: tutelare il cliente vuol dire metterlo in condizione di scegliere consapevolmente il prodotto più adeguato alle sue esigenze, sfruttando gli effetti della concorrenza sui prezzi di prodotti e servizi. L’impegno è rafforzare la collaborazione con le associazioni di imprese e consumatori, sostenendo le sinergie sul territorio.

 

Come valuta l’avvento di nuovi canali di accesso ai servizi bancari?
L’avvento di tecnologia e innovazione in banca ha aperto nuove opportunità che sempre più famiglie italiane hanno deciso di cogliere. Alla concorrenza ad ogni angolo di strada, infatti, oggi si è aggiunta anche quella multimediale, che le banche si fanno mediante i canali alternativi allo sportello tradizionale – internet, telefono e cellulare – moltiplicando le possibilità di confrontare e scegliere tra le diverse offerte. Basti pensare che oggi un conto su due opera anche via internet, cellulare e telefono e che sono oltre 15,5 milioni i conti correnti abilitati ad operare online. Se l’home banking è il canale preferito dalle famiglie, anche telefono e cellulare sono utilizzati sempre più spesso per dialogare con la propria banca: sono oltre 10 milioni i conti abilitati al phone banking (37% del totale) e 6,2 milioni al mobile banking (19%).

 

Lei ha anche la delega per l’Innovazione: come valuta il grado di informatizzazione delle banche nazionali?
Tecnologia e innovazione sono i pilastri su cui poggiano presente e futuro del settore bancario, con strumenti, servizi e canali sempre più moderni, efficienti e sicuri. Su questo fronte possiamo vantare importanti meriti storici: fu proprio una banca nel 1953 ad acquistare per prima un mainframe in Italia e anche oggi, con un quarto degli investimenti complessivi in IT, i gruppi bancari si confermano il comparto produttivo del Paese che investe di più in tecnologia. Per il nostro settore, l’innovazione ha un duplice obiettivo: mantenere elevati i livelli di competitività e soddisfare le esigenze di una clientela sempre più eterogenea. Proprio i desiderata dei clienti, infatti, rappresentano il fattore più rilevante per innescare l’innovazione allo sportello al punto che sempre più banche coinvolgono direttamente i clienti nello sviluppo di nuovi servizi innovativi, anche grazie a strumenti come community online e social network.

 

Quale ruolo possono avere social network, blog e avatar nel rapporto tra banca e cliente?
Il Web 2.0 può avere applicazioni utili e interessanti anche in banca, aprendo la strada ad una concezione più ampia ed evoluta dell’home banking, che poggia su strumenti di “ultima generazione” come blog e chat per realizzare nuove modalità di relazione e di dialogo con i clienti. Su questo tema, uno studio di Abi Lab – il Consorzio Abi per la ricerca e l’innovazione – mette in evidenza come sempre più spesso le banche utilizzino proprio il social network per comprendere i bisogni e raccogliere le indicazioni dei loro clienti. Anche forum e blog aziendali stanno prendendo piede nelle intranet del settore bancario italiano, mentre iniziano a farsi strada allo sportello anche wiki e podcasting.

 

L’impiego dell’informatica non ha però modificato certe abitudini cartacee?
Il settore bancario italiano è un convinto sostenitore del “paperless” e su questo fronte è impegnato da tempo per ridurre l’utilizzo della carta, digitalizzando documenti e procedure, per rendere ancora più efficiente ed eco-sostenibile la gestione documentale. In questo quadro, il nuovo Codice di amministrazione digitale approvato recentemente ha in parte semplificato le procedure di digitalizzazione e conservazione, aprendo nuove frontiere alla gestione documentale, con meno carta e più efficienza. In questa direzione c’è ancora molto da fare, ma sono convinto che lavorando insieme a Pubblica Amministrazione e imprese e con l’aiuto di informatica e tecnologia si potranno trovare risposte sempre più efficaci.