INDICE DI FIDUCIA SUGLI INVESTIMENTI IN INNOVAZIONE TECNOLOGICA La misura della propensione agli investimenti in innovazione tecnologica   “L’impresa è per eccellenza il luogo dell’innovazione e dello sviluppo” – Joseph A. Schumpeter –     Stabile l’indice Ifiit, che si porta a 43,70 punti dai precedenti 43,90 punti del mese di marzo. I comparti dove […]

INDICE DI FIDUCIA SUGLI INVESTIMENTI IN INNOVAZIONE TECNOLOGICA

La misura della propensione agli investimenti in innovazione tecnologica

 

“L’impresa è per eccellenza il luogo dell’innovazione e dello sviluppo”
– Joseph A. Schumpeter –


 

 

    • Stabile l’indice Ifiit, che si porta a 43,70 punti dai precedenti 43,90 punti del mese di marzo.
    • I comparti dove si registrano i più alti livelli di attenzione verso gli investimenti in innovazione si confermano il bancario-assicurativo e l’editoria, parte dell’industria metalmeccanica e del mondo del lusso.
    • Allineata al valore medio dell’indice la propensione all’investimento in Information technology da parte dei comparti: energia, tessile-abbigliamento, trasporti, logistica e commercio.
    • Manifestano una propensione agli investimenti più bassa del valore medio dell’indice i settori: edile-costruzioni, agro-alimentare, telecomunicazioni.
    • Qualche timido risveglio di attenzione da parte delle piccole imprese e del mondo professionale.
    • Sul tema del digital divide, in leggera crescita la percentuale di imprenditori che considera il nostro Paese ancora lontano dagli standard qualitativi di altri sistemi-paese industrialmente più avanzati.
    • La propensione ad investire in innovazione tecnologica conferma il suo stato positivo in Lombardia, nel Veneto e in Emilia-Romagna. In calo in Toscana. Segnali di recpero da Calabria e Puglia. Invariata nelle altre aree del Paese.

    Sentimenti congelati
    Nel mese di marzo si sono condensati eventi e tensioni che hanno congelato i sentimenti degli operatori e hanno contribuito a contenere la propensione agli investimenti, in generale. Il terremoto in Giappone (11 marzo) a cui sono seguiti uno tsunami di devastante potenza e l’allarme nucleare per la centrale di Fukushima hanno scatenato una riflessione sul ruolo dell’energia nucleare. Ne è nato un dibattito di fronte al quale il mondo politico italiano ha deciso di sospendere ogni decisione in merito per almeno un anno, mentre la Germania guidata da Angela Merkel ha invece optato per una riduzione del ruolo del nucleare nella compagine energetica nazionale. Come effetto, la nascente filiera italiana del nucleare – peraltro già strutturata e all’opera all’estero con circa 40 gruppi industriali – ha di fatto azzerato le aspettative di attivazione nel nostro Paese, almeno a breve. Contestualmente, nel nostro Paese è stato avviato un nuovo indirizzo, che prevede la riduzione degli incentivi alle fonti energetiche rinnovabili (in particolare il fotovoltaico), con un parziale disorientamento sia degli operatori, sia degli investitori. E mentre il prezzo dei carburanti è in aumento per le tensioni internazionali, il governo italiano ha deciso di aumentare di due centesimi il costo della benzina al carburante per consentire la costituzione di un fondo con cui finanziarie le iniziative culturali (23 marzo). Su altri versanti della politica internazionale, è dominante la questione libica, con l’avvio di un intervento militare da parte della Nato e dell’Occidente (a partire dal 17 marzo): una guerra dalla durata e dagli esiti incerti che potrebbe comunque mettere a dura prova le visioni diplomatiche e i relativi comportamenti nell’area del Mediterraneo. Come effetto di questa situazione complessa il prezzo del petrolio è salito a 107 dollari il barile (crud oil Nyse, quotazione del 25 marzo). Per i rialzi del prezzo del greggio è tornata a crescere l’inflazione (in Gran Bretagna ha superato il 4%, si attesta al 2,4% in area Ocse e in Italia). Da segnalare anche che nella sera del 23 marzo il primo ministro portoghese Josè Socrates ha rassegnato le dimissioni nelle mani del presidente Anibal Cavaco Silva: il parlamento aveva bocciato il suo piano di misure antideficit chieste dalla Ue e dalle istituzioni finanziarie internazionali. La crisi che ne è seguita ha messo a dura prova l’euro e ha rimesso in discussione la tenuta dei conti nei Paesi europei più esposti al rischio di insolvenza del debito. I prezzi dei CDS (i Credit Default Swaps, i certificati legati al rischio di investimento sui debiti pubblici) sono tornati a crescere per Paesi come Portogallo, Spagna e, in misura minore, Italia. Come effetto sono anche aumentati i differenziali di rendimento tra i titoli del debito pubblico di questi Paesi e i Bund emessi dalla Germania. In questo quadro – che come si vede mostra una complessità crescente – le istituzioni preposte all’osservazione dei trend economici non hanno rivisto o ridimensionato le stime della crescita mondiale: le aspettative restano ancora alte e per il nostro Paese la crescita tendenziale del Pil si mantiene tuttora attorno all’1,1 – 1,2%. In questa cornice congiunturale l’Indice Ifiit si mostra stabile, a 43,70 punti, in leggerissimo calo rispetto alla rilevazione precedente (43,90 punti a marzo).

     

    I settori che mantengono alta (o che risentono del calo degli investimenti in innovazione in misura inferiore) rispetto alla media del Paese
    La propensione ad investire in innovazione tecnologica si mantiene su posizioni elevate per il comparto bancario-assicurativo: alcuni gruppi puntano sull’intensificazione dei prodotti e dei servizi di comunicazione on-line e video e numerosi sono i progetti di sviluppo in tal senso. Analoghe le posizioni dei gruppi editoriali, che stanno progressivamente migrando verso piattaforme tecnologiche che possano garantire la fruizione della comunicazione integrata su più terminali. Intimorisce ancora una volta l’assenza di un efficiente rete a banda larga, che garantirebbe un progresso più distribuito e capillare dei servizi. Su buoni livelli la fiducia delle aziende del made in Italy che sono tipicamente orientate alle esportazioni o che gravitano intorno a filiere costruttive distribuite sul territorio europeo. Leggero recupero anche per il settore del lusso e del laisure, che raccoglie una ripresa degli ordini internazionali.

     

    I settori che mostrano una propensione agli investimenti in innovazione tecnologica allineata ai valori della media nazionale dell’Indice
    Pausa di riflessione per le aziende del settore energia, il comparto che per la prima volta scende da posizioni di forza verso livelli più allineati alla media dell’indice. L’ossatura delle aziende e dei comparti che si mantengono sulle posizione mediane è costituita in gran parte da operatori di alcuni settori tradizionali come il tessile-abbigliamento, la grande distribuzione organizzata e la fliera della logistica e una quota consistente delle medie imprese. Una persistente stabilità si nota anche nella sfera delle aziende legate al trasporto merci, dove i progetti di sviluppo appaiono procrastinati.

     

    I settori che mostrano una propensione agli investimenti in innovazione inferiore ai valori della media generale dell’Indice o che presentano sensibili scostamenti dal livello del mese precedente
    Persistente debolezza del comparto edilizio, che non mostra ancora segnali di un risveglio, come effetto di un ristagno delle attività di compravendita immobiliare: il mercato delle nuove abitazioni si è contratto e il segmento delle ristrutturazioni non evidenzia ancora un recupero di rilievo delle posizioni. Anche il mondo delle telecomunicazioni registra una contrazione della fiducia. Migliora invece la posizione delle categorie professionali e delle ditte individuali, anche se nel complesso rimane comunque al di sotto del valore medio dell’Indice. Continua la debolezza del comparto agro-alimentare, che in questa fase congiunturale appare ingessato su una scarsa propensione all’innovazione.

     

    Il digital divide
    Sale dal 46 al 47% la percentuale degli imprenditori che giudica in aumento il digital divide rispetto agli altri paesi più avanzati. Scende però la quota parte degli scettici, che scivola dal 23 al 19%, mentre è in aumento, dal 31 al 34%, la minoranza degli operatori economici che considera il nostro Paese in recupero o in sostanziale stabilità sul versante del digital divide.

     

    L’innovazione tecnologica nelle diverse aree geografiche
    Qualche segnale di risveglio mostrano alcune regioni meridionali come la Puglia e la Calabria, dove migliora il livello di propensione agli investimenti. Resta su livelli elevati la fiducia nelle aree produttive tradizionalmente forti del Paese: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. In calo invece in zone come la Toscana e l’Umbria. Sostanzialmente stabile nel resto del Paese.

     

    Analisi: La politica degli investimenti dopo la crisi giapponese

    La catastrofe naturale che si è abbattuta sul Giappone e i danni alle centrali nucleari del paese hanno aperto un nuovo fronte di incertezza per l’economia mondiale. La crisi del Giappone rappresenta difatti un ulteriore elemento di freno all’attività globale. Le conseguenze rispetto allo scenario economico del Giappone sono al momento difficili da decifrare. In particolare, secondo il recente bollettino di Analisi congiunturale e previsioni elaborato da ref (marzo 2011), occorre distinguere l’effetto di breve periodo sulla produzione, che sarà con tutta probabilità molto marcato, da quello atteso nei mesi a venire, che sarà caratterizzato anche da attività finalizzate alla ricostruzione, con un conseguente aumento della spesa pubblica. E’ probabile quindi un andamento “a V” ovvero caratterizzato da una caduta del Pil di carattere temporaneo. Naturalmente sarebbe azzardato formulare delle congetture che riescano ad esplicitare il percorso che l’economia seguirà nel corso dei prossimi mesi, data anche l’incertezza sulla gestione degli incidenti alla centrale nucleare di Fukushima. Per ref, le conseguenze economiche della catastrofe passano innanzitutto per l’impatto di breve periodo sui livelli produttivi. La frenata produttiva avviene in un momento particolarmente delicato per l’industria del paese che, dopo avere subito il crollo più ampio fra tutti i maggiori paesi nel corso della recessione, e avendo conseguito un rimbalzo molto pronunciato nel corso del 2009, aveva poi visto la ripresa interrompersi dalla primavera del 2010, con l’inizio di una nuova fase di contrazione dei livelli produttivi. E’ da dicembre che l’industria giapponese ritorna a crescere, in linea con quanto peraltro osservato anche in altre economie del sud est asiatico. Senza avanzare congetture sulla dimensione della caduta della produzione che si andranno ad osservare nei prossimi mesi, è evidente che l’attività economica è completamente bloccata, e che ci vorranno certamente diverse settimane prima di condurre l’industria del paese verso una situazione di apparente normalità. E’ quindi presumibile che i dati di produzione del mese di marzo e probabilmente anche quelli di aprile registreranno una caduta marcata. Del resto, anche per problemi legati all’esigenza di limitare la domanda di energia, molte fabbriche nel paese hanno del tutto interrotto il flusso di produzione. Questo primo tipo di effetto, pur particolarmente marcato, coglie soltanto una dimensione della crisi giapponese, molto limitata temporalmente. Le conseguenze su un orizzonte di qualche mese rifletteranno invece anche il cambiamento nei comportamenti che sarà indotto dai mutamenti nelle aspettative. Questo punto è importante perché coinvolge i comportamenti di tutti gli operatori economici, non solo quelli delle aree interessate in maniera più diretta dalle conseguenze del terremoto. Sebbene le esperienze storiche del passato evidenzino come gli effetti delle catastrofi naturali o di altri eventi drammatici incidano sulle attese per un lasso temporale limitato, la gravità dell’episodio recente potrebbe avere strascichi anche duraturi sul clima di fiducia del paese. In particolare, potrebbero esservi cadute significative della domanda, sia di consumi che di investimenti, e tempi di recupero anche relativamente estesi. Un aspetto sottolineato da diversi commentatori è anche rappresentato dal fatto che la produzione giapponese incide in una misura rilevante su alcune catene produttive all’interno delle quali operano altre imprese di diversi paesi. I paesi che saranno condizionati in maniera diretta da questo effetto sono principalmente quelli vicini del sud est asiatico e la Cina. Naturalmente si tratta di un aspetto importante poiché il blocco delle supply chains dove è marcata la presenza del Giappone avrà effetti sulle aree dell’economia globale che in questa fase parevano descrivere un recupero più dinamico, agendo da sostegno al ciclo globale. Un modo per misurare il peso della struttura produttiva del Giappone sull’offerta globale è quello di rappresentarne la quota sul commercio per i principali settori produttivi. Utilizzando la classificazione standard del commercio internazionale ref osserva inoltre come le quote di mercato del Giappone sul commercio mondiale risultino elevatissime in alcuni settori di specializzazione del paese: in particolare, la produzione giapponese è importante nelle catene produttive dell’auto e dell’elettronica, e in molti settori della meccanica. Il paese interagisce con altre economie che evidentemente risentiranno dell’arresto dell’intera catena produttiva in quanto esportatori a loro volta di intermedi verso il Giappone. Gli effetti dell’interruzione della produzione giapponese avranno quindi ricadute settoriali che possono essere colte sulla base della struttura delle importazioni giapponesi, naturalmente molto più sbilanciata sulle materie prime e alcuni intermedi per la produzione. Naturalmente per ref conta anche l’effetto legato alla caduta della domanda finale del Giappone sulle importazioni del paese e in particolare come mercato di sbocco per le produzioni mondiali di beni di consumo. In alcuni comparti il peso del Giappone sulle importazioni globali è di tutto rilievo, come per le calzature (5.2 per cento), l’abbigliamento (7.9 per cento) e gli articoli da viaggio (11.8 per cento). Il peso del Giappone sulle importazioni mondiali è significativo, pari a circa il 4.5 per cento, con una distribuzione fortemente sbilanciata sull’Asia e i paesi del Pacifico. Gli Stati Uniti (dato complessivo per il 2009) inviano in Giappone il 5 per cento circa del loro export a fronte dell’8 per cento della Cina. Fra i paesi del sud est asiatico quello con la quota di export più sbilanciata verso il Giappone è l’Indonesia (16 per cento), al 10 per cento il peso per la Tailandia, al 6 per la Corea. Il Giappone è poi un mercato cruciale per l’Australia con un peso del 19 per cento sulle esportazioni. Evidentemente l’effetto è molto meno marcato nel caso delle economie europee, per le quali il Giappone ha un peso poco superiore all’1 per cento come mercato di destinazione dell’export. Per l’Italia quindi il peso del Giappone come mercato di destinazione delle esportazioni è piccolo, anche se non va trascurato l’effetto indiretto legato alle nostre esportazioni verso i paesi asiatici che producono per il Giappone, oltre a qualche effetto sulle imprese che, avendo delocalizzato nel sud est asiatico servono il Giappone da quei paesi. Infine, per alcuni settori del made in Italy il Giappone ha un peso non trascurabile, in particolare per la pelletteria, dove il mercato giapponese incide per il 10 per cento e l’abbigliamento (4.2 per cento) oltre ad alcuni comparti della chimica, come la farmaceutica.

    Focus mensile: La ripresa debole dell’IT

    Il mercato italiano dell’It nel 2010 ha mostrato segnali di ripresa, che potrebbe consolidarsi nel corso del 2011. Ma i ritmi appaiono blandi, sia rispetto alle necessità di cambiamenti strutturali del Paese, sia rispetto al gap d’innovazione che scontiamo a livello internazionale, il quale, invece, tende ad approfondirsi. E’ questa in sintesi la fotografia del mercato It che appare nell’ultimo Rapporto Assinform svolto in collaborazione con NetConsulting. “Il ricorso all’innovazione tecnologica continua a rimanere in Italia un fenomeno troppo limitato dimensionalmente e sottovalutato in ambito politico e nei circoli decisionali e, perciò, incapace di funzionare, come avviene nei principali paesi, da leva strategica di crescita e produttività delle imprese, di efficienza e razionalizzazione della spesa pubblica”. E’ il lamento espresso da Paolo Angelucci, Presidente di Assinform, per il quale “si potrebbe dare una rapida ed efficace scossa all’economia puntando a utilizzare l’Ict come fattore di accelerazione dei processi di sviluppo e modernizzazione, così come indica l’Agenda digitale europea”. Tre gli assi di intervento prioritari in questa direzione che Assinform ha individuato e che propone alla politica: 1) creazione di un quadro normativo incentivante lo sviluppo e l’utilizzo dell’innovazione finalizzato alle crescita delle imprese, in particolare di quelle che esportano, centrato sul credito d’imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo e sulla diminuzione dell’Irap, a vantaggio per i settori brain intensive come l’Information Technology, al fine di aumentare l’occupazione qualificata; 2) massimo supporto all’implementazione del Cad (Codice dell’amministrazione digitale), al quale vanno destinate risorse certe in quanto si tratta di un investimento strategico per migliorare la qualità e l’efficienza dell’azione pubblica, con ritorni importanti sulla riduzione della spesa corrente e come piattaforma per accelerare il processo di digitalizzazione delle imprese e l’alfabetizzazione digitale dei cittadini; 3) sostegno ai processi di aggregazione e innovazione delle Pmi, protagoniste per oltre il 90% del nostro tessuto produttivo, ma con oggettive difficoltà a investire in nuove tecnologie. Vanno in questo senso le reti d’impresa e l’innovazione dei distretti su cui si sta impegnando il sistema confindustriale.

     

    Il confronto internazionale
    La preoccupazione di Assinform è giustificata dalla faticosa realtà che vive il settore dell’Ict in Italia: il confronto internazionale lo dimostra. Nel 2010 il mercato mondiale dell’Ict ha ripreso a crescere con un ritmo tornato ai livelli pre- crisi, passando dal – 1,5% annuo registrato nel 2009, al + 4,9% del 2010 (It +4,4%, Tlc + 5,1%), a fronte di una crescita del Pil globale di 5% . In Italia si conferma l’inversione del trend del mercato Ict, la cui crescita, tuttavia, permane negativa: -2.5% a fronte del -4,2% del 2009, per un valore di mercato di 60,2 miliardi di euro. Questo andamento è dovuto principalmente al segmento delle telecomunicazioni che ha subito un ulteriore decremento di -3% (-2,3% nel 2009), mentre la domanda di It ha recuperato 6,7 punti percentuali, rispetto al -8,1% del 2009, con una diminuzione dell’ 1,4% e un valore di 18,4 miliardi di euro, dato che conferma il gap dell’Italia rispetto agli altri maggiori Paesi, il cui mercato, ad eccezione della Spagna, è tornato a crescere positivamente. Il mercato IT è cresciuto, infatti, in Germania del + 2,6%, in Francia dell’1,5%, in UK dell’1,3%, a fronte di una media europea di + 1,2%. Nei Paesi extraeuropei il mercato IT è cresciuto in USA del + 5,1%, mentre in Giappone l’incremento si è attestato a 0,9%. Le stime di Assinform e NetConsulting per il 2011 indicano il consolidamento della domanda It, con una crescita annua intorno a + 1,3% che avrà come fattori di spinta la domanda di hardware (+3,2%), e che si avvarrà anche della ripresa della domanda di software (+1,6%) e di servizi informatici (+0,6%).

    Hardware e infrastrutture
    La relativa ripresa del mercato italiano dell’IT è fortemente caratterizzata da una sostanziale novità: l’accentuato risveglio della domanda di tutte le componenti tecnologiche dell’It, e in particolare dell’hardware che, dopo anni di costante calo, nel 2010 ha messo a segno una crescita di + 2,8%, con un recupero di ben 17,6 punti percentuali rispetto all’anno precedente chiuso con una perdita di – 14,8%. La dinamica dei grandi server (Sistemi High End), la cui domanda è cresciuta del 18,4%, indica che molte imprese, soprattutto di dimensioni medio grandi, hanno avviato processi di rinnovamento del proprio parco tecnologico. Questo dato si riflette nella crescita positiva della domanda di software infrastrutturale: a fronte di un comparto del software che nel suo complesso ha chiuso il 2010 con -0,9%, il software di base è cresciuto del +0,4, recuperando cinque punti percentuali rispetto all’anno precedente, mentre il middleware di + 0,6% con un recupero di 2,6 punti percentuali. La crescita del mercato hardware è stata, inoltre, trainata sia dalle vendite di PC che di nuovi device, come i tablet, presso imprese e individui. I Personal Computer mettono a segno un incremento di + 15,7% delle unità vendute, recuperando oltre 15 punti percentuali di crescita rispetto al 2009. All’interno di questo segmento di mercato, notevoli sono i risultati dei desktop che con una crescita di +10,4% recupera poco meno di trenta punti percentuali e dei server, che passano da -20,9% del 2009 a +2,4% del 2010, mentre i portatili con + 9,4% di crescita subiscono per la prima volta dopo anni in salita una lieve flessione nella crescita (+10,1% nel 2009). Il 2010 è anche la prima volta dei tablet che si impongono all’attenzione con 428.570 unità vendute. Il mercato delle telecomunicazioni ha subito una calo del 3% che ha portato il valore del mercato a 41.8 miliardi di Euro. Le telecomunicazioni stanno subendo in questa fase gli effetti del progressivo calo dei prezzi e delle tariffe dovuto all’elevata concorrenza tra gli operatori che penalizza la crescita sia del mobile (-3,2%) che del fisso (-2,6%). L’andamento a valore del mercato non rende, perciò, conto della crescita della penetrazione e dell’utilizzo dei prodotti e dei servizi di telecomunicazioni che, in realtà, anche nel 2010 è stato molto intenso. Le vendite di smartphone sono ammontate a più di 4 milioni di unità, valore doppio rispetto al 2009, gli accessi a larga banda sono aumentati del 6,9% superando i 13 milioni di unità e la crescita a valore degli accessi a Internet da rete fissa è stata del 7,4%.

     

    (Elaborazione del documento di sintesi a cura di Paolo Gila, Supervisor Ifiit Research)

     

     

    Questo documento è una sintesi della ricerca mensile che viene effettuata su un campione qualificato e rappresentativo dell’economia italiana. Lo studio viene curato da Ifiit Research, la divisione Ricerche di mercato del Gruppo Mat Edizioni. L’indice e la sintesi mensile sono recuperabili gratuitamente attraverso il sito www.bitmat.it. Coloro che, come aziende o come privati, volessero approfondire gli aspetti della ricerca Ifiit o avvalersi della struttura di Ifiit Research per compiere sondaggi, rilevazioni, ricerche di mercato o altro, possono rivolgersi a:

    Ifiit Research
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    Tel. 02 56609380
    www.bitmat.it